Questo articolo fa parte dello speciale Meno parlamentari: sì o no?
La legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari non è inserita nel quadro di riforma dello Stato volto a rendere più trasparente ed efficiente il lavoro parlamentare e lascia aperta la questione – essenziale – della revisione della legge elettorale. Essa, soprattutto, non è inserita in un quadro di riforma costituzionale volto ad avvicinare l’Italia all’Europa, e i cittadini e gli Enti locali alle istituzioni democratiche.
L’Italia, alla vigilia della presentazione del piano nazionale finalizzato all’utilizzo dei fondi messi a disposizione attraverso tutte le misure decise dall’Unione europea per rispondere alle conseguenze della pandemia, deve dimostrare di saper ridurre i costi di funzionamento della macchina legislativa e burocratica e, soprattutto, di saper aumentare la velocità del processo decisionale, anche attraverso modifiche sostanziali nel doppio passaggio parlamentare.
Ma questi risultati si possono conseguire e rendere comprensibili all’opinione pubblica solo se inseriti in un quadro di ampie riforme costituzionali delle istituzioni parlamentari e di una nuova legge elettorale. La via maestra è la trasformazione dell’attuale Senato in un Senato federale che implica un aggiornamento dei rapporti fra Stato e Regioni e del ruolo degli Enti Locali, in particolare delle città metropolitane.
Una riforma del Senato in questa direzione può prendere la via di una rappresentanza paritetica delle Regioni (ad esempio, 2 per ciascuna Regione, come avviene per il Senato americano, che porterebbe a un Senato di 40/42 senatori, che dovrebbero essere eletti a suffragio diretto nelle singole regioni), o di un sistema di rappresentanza in proporzione alla popolazione, come previsto per il Bundesrat tedesco (un Senato composto da circa 70 senatori che, nel caso tedesco rappresentano tuttavia i governi dei Länder).
Una simile riforma condurrebbe a una significativa riduzione del numero dei senatori, a cui si aggiungerebbero i senatori a vita e di diritto, avvicinandosi ai numeri previsti dalla Legge costituzionale su cui i cittadini sono chiamati a esprimersi il 20-21 settembre (da 275 a 245 parlamentari in meno, a seconda della via seguita).
Un progetto di riforma di questo tipo, inserito nel piano che il governo deve presentare all’Ue, manterrebbe l’impegno alla riduzione del numero dei parlamentari, con i relativi risparmi, ma salvaguarderebbe l’attuale livello di rappresentanza democratica per la Camera dei Deputati aprendo la via alla partecipazione degli enti territoriali al Senato.
La transizione energetica e ambientale, se deve avere successo, come dimostra la lettera che lo scorso mese di febbraio 60 sindaci europei hanno inviato alla Commissione europea, richiede il coinvolgimento degli enti territoriali, con la loro responsabilizzazione.
Infine, se è vero che la riforma costituzionale qui prevista dovrà affrontare passaggi difficili, è anche vero che non sarebbe credibile un Paese che pretende di gestire in maniera oculata i fondi europei e non sapesse portare a termine, in tempi rapidi, una riforma che è anche una delle condizioni per spenderli al meglio.
Con questa proposta inserita in una prospettiva europea, una vittoria del “no” al referendum aprirebbe la strada a una più ampia riforma costituzionale e sarebbe un importante contributo alla prospettiva di un’Italia federale in un’Europa auspicabilmente federale.
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