In un’epoca che ha consegnato la figura dell’intellettuale organico al dimenticatoio, appare chiaro come proprio alcune figure considerate strutturalmente «disorganiche» abbiano svolto una funzione centrale di orientamento critico e di ancoraggio riguardo a forme nuove, e per lo più singolari, di impegno civile. Non in termini partitici, e neppure movimentistici, ma quali coscienze critiche di una società europea sempre più afflitta e straziata nel corso di questi ultimi anni, attraversata da veleni e pessime tentazioni.Allergico alle ideologie novecentesche – di cui aveva denunciato il carattere oppressivo, le degenerazioni realizzate e la programmatica volontà di annichilimento della libertà e personalità degli individui – geneticamente irregolare e inquietoUno di costoro, allergico alle ideologie novecentesche (di cui aveva denunciato il carattere oppressivo, le degenerazioni realizzate e la programmatica volontà di annichilimento della libertà e personalità degli individui), geneticamente irregolare e inquieto, è stato Tzvetan Todorov, nato a Sofia il 1o marzo 1939 e scomparso a Parigi il 7 febbraio scorso, all’età di 77 anni. Uno studioso versato negli attraversamenti disciplinari e predisposto alla contaminazione. Un autentico «umanista contemporaneo» – come venne definito in Francia – e un instancabile intellettuale pubblico, neoilluminista, europeista e antitotalitario. Un teorico della letteratura, storico delle idee (categoria che lui stesso prediligeva rispetto a quella di filosofo) e saggista. Un accademico «a 18 carati» – giunto nella Ville Lumière nel 1963 per il dottorato, fu allievo di Roland Barthes e poi approdò al Cnrs (il Centre national de la recherche scientifique), intraprendendo una brillante carriera che lo avrebbe portato a diventare direttore del Centre de recherches sur les arts et le langage presso l’Ecole des hautes études en sciences sociales – ma profondamente insofferente nei confronti di qualunque espressione esacerbata di accademismo. Una figura insignita di molti riconoscimenti per i suoi plurimi contributi ai saperi sociali – tra i quali possiamo ricordare il Premio Principe delle Asturie per le Scienze sociali, il Premio Charles Lévêque dell’Accademia francese di Scienze morali e politiche, il Premio Maugean dell’Académie Française (assegnato annualmente all’opera che viene giudicata «maggiormente utile al bene pubblico») e l’italiano Premio Nonino – e vocata alla rottura degli steccati tanto nel sapere quanto nel modo di pensare la società (per farla migliore) e l’umanità (per renderla «più umana»).
[L'articolo completo, pubblicato sul «il Mulino» n. 2/17, pp. 313-317, è acquistabile qui]
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