Le pagine del Viaggio in Italia del Mulino dedicate al Friuli-Venezia Giulia offrono alcuni spunti di riflessione sui quali vorremmo tornare, perché toccano temi e prospettive importanti per la regione ma anche per tutto il Paese. Essi riguardano in particolare il tema dell’autonomia speciale, che ha giustificazioni che vanno aldilà del solo Friuli.
Dopo un iniziale rifiuto, che lasciava impregiudicata la questione delle tutele minoritarie, l’Assemblea Costituente è arrivata alla decisione fondativa a seguito dell’adozione del Trattato di pace e in vista della necessità di una soluzione istituzionale che contemplasse, al momento dell’auspicato ritorno di Trieste all’Italia, una ricomposizione unitaria di questa zona di confine. Le scelte concrete su forme e condizioni dell’autonomia venivano, però, rinviate a tempi migliori. Il problema è stato così affrontato ex novo nei primi anni Sessanta, al momento dell’adozione dello Statuto differenziato, nella prospettiva di legare la ripresa del porto di Trieste (significativa la previsione del relativo Ente porto nello Statuto) alla crescita industriale di Udine e Pordenone, nel quadro di una rete di infrastrutture che collegasse l’Europa centrale alle tradizionali destinazioni della portualità giuliana.
L’autonomia rappresentava qualcosa di più di uno strumento di conservazione. Nell’imminenza dell’istituzione delle regioni ordinarie prospettava, invece, un ambizioso disegno di governo dell’intero territorio regionale suscettibile di continui aggiornamenti e correzioni, come dimostrano gli eventi del post-terremoto e la recente riforma statutaria che abolisce le province e rafforza l’unità regionale. Dimenticarlo significa percorrere la via di quel friulanismo artificiale e intellettualistico denunciato da Antonio Massarutto, come significa dimenticare che molti degli sviluppi di cui si ragiona hanno un senso solo se consideriamo il Friuli nel suo legame con Trieste, sul terreno della ricerca, della proiezione europea della cultura (si pensi alla prossima esperienza di Trieste come capitale europea della scienza) e dello stesso sviluppo turistico (non vi è manifestazione regionale di rilevanza internazionale come la Barcolana).
I padri costituenti nell’intento di saldare il Friuli a ciò che restava della Venezia Giulia con un assetto istituzionale speciale muovevano dalla consapevolezza delle conseguenze drammatiche della guerra su questa area di confine, ma guardavano anche alle ragioni di una maggiore integrazione economica tra due aree diverse per storia e cultura. Dunque una visione lungimirante che ha palesemente portato buoni frutti a tutti. Il problema è che le giustificazioni dell’autonomia speciale inevitabilmente cambiano con il cambiare del contesto. Esistono ancora buone ragioni per attribuire oggi al Friuli-Venezia Giulia una autonomia speciale? Noi crediamo di sì.
Per comprendere questa scelta conviene por mente alla collocazione geopolitica del Friuli-Venezia Giulia. È l’unica regione italiana incastonata in una vasta area d’Europa che ha conosciuto, pure in un passato non troppo remoto, profondi stravolgimenti politici, economici e demografici. E di ciò porta i segni, di quelli lontani e di quelli recenti. Essa si è trovata a ridosso delle sanguinose guerre balcaniche. In regione vive un consistente gruppo di immigrati dai Balcani, che qui si sono rifugiati. Come la Sicilia, è stata ed è una delle più importanti porte di ingresso di immigrati, pure essi in fuga spesso da conflitti nazionali. Ma c’è dell’altro. È la regione d’Italia che attraverso Trieste, ma non solo, mantiene rapporti intensi di varia natura, da un lato con l’Europa centrale e, dall’altro lato, con tutta la sponda orientale dell’Adriatico, dall’Istria in giù. Per altro in Istria vive ancora una vivace minoranza italiana, di cui ci si dimentica troppo spesso. Quanti sanno, per esempio, che a Pola c’è la sola università in lingua italiana fuori dai confini statali?
È inoltre la regione d’Italia dove è presente una autoctona, significativa minoranza di lingua e cultura slovena, che svolge un importante ruolo di ponte tra la cultura e l’economia italiana e quella dei Paesi vicini. In particolare potrebbe svolgerlo ancora di più in un contesto di rafforzata cooperazione, anche tra i porti dell’Alto Adriatico, necessaria per fare fronte all’affacciarsi nel Mediterraneo della Cina. Ragioni dunque geo-politiche e anche geo-economiche, ma forse le prime sono quelle decisive. Dopo Berlino 2014, Vienna 2015 e Parigi 2016, finalmente il vertice sul processo di integrazione dei Balcani occidentali (il cosiddetto processo di Berlino promosso dalla Germania) si è tenuto a Trieste nel giugno 2017, seguito da un molto partecipato forum della società civile. Finalmente bisogna dire perché i Balcani occidentali, e in generale l’Europa sud-orientale sembrano usciti dall’attenzione dell’opinione pubblica italiana, nonostante le cause dell’instabilità non siano affatto risolte, come dimostra il recente articolo di Florian Bieber su "Foreign Affairs" (A Way Forward for the Balkans?, 6.2.2018).
La storia e la geografia hanno collocato il Friuli-Venezia Giulia in un’area con cui l’Italia intrattiene rapporti, ma di cui spesso non coglie né i problemi né le potenzialità. L’autonomia speciale può essere una risorsa non solo per chi vive in regione, ma anche per un Paese troppo spesso dimentico che esiste un confine orientale.
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