Se, come nel film "Ritorno al futuro", fossimo proiettati all'indietro di due secoli saremmo certamente assordati dal silenzio. Ma fino a quando la nostra società è stata pervasa dal silenzio? E da quando il rumore ha iniziato ad accompagnare le nostre attività quotidiane cambiando un paesaggio sonoro immutato da secoli? La rivoluzione industriale prima e quella tecnologica poi hanno introdotto il rumore come uno dei segni più evidenti del "progresso che avanza". {C}Così, fra Otto e Novecento, il fracasso delle industrie, il rombo delle automobili e degli aeroplani, il frastuono della musica, quello della politica di massa nonché il rumore delle guerre hanno invaso l'orizzonte, diventando una sorta di religione laica della modernità. Con la complicità, invero, di un "uomo rumoroso" il quale, a partire dagli anni del boom economico, costituisce un tipo antropologico che non solo sopporta ma si adatta al rumore e ne fomenta l'espansione. Fino a trasformarlo in uno dei caratteri distintivi dell'epoca contemporanea.
Stefano Pivato insegna Storia contemporanea all'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo". Con il Mulino ha pubblicato "Il nome e la storia" (1999), "La storia leggera" (2003), "Il Touring Club Italiano" (2006), curando inoltre "In bicicletta. Memorie sull'Italia a due ruote" (2009).
Collana "Intersezioni", Bologna, il Mulino, pp. 192, euro 14.
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