Sono molti i risvolti legati all’elegante libriccino di Marzia Coronati Spiriti liberi. Quattro fedeli dalla vita spericolata – edito da Com nuovi tempi e accompagnato dalle illustrazioni di Vittorio Giacopini.

Iniziamo da quello che si insinua nel décalage fra titolo e sottotitolo: sobrio e impegnativo il primo; a effetto mediatico-musicale, si potrebbe dire, il secondo. Non perché i quattro medaglioni di vita raccolti nel volume (Giovan Battista Franzoni, Lidia Pöet, Tullio Vinay e Mario Alberto Rollier), che rappresentano bene l’avventura umana di spiriti liberi, non narrino di esperienze che conobbero anche il rischio del pericolo (in particolare quelle di Vinay e Rollier), ma perché nessuna di queste vite si riconoscerebbe nella neanche troppo latente citazione di Vasco Rossi.

E questo ci porta sul secondo risvolto che merita di essere messo in luce: abbiamo un bisogno quasi disperato di storie, perché viviamo in un’epoca che ha prima distrutto ogni narrazione e poi non è stata più capace di ricostruirne alcuna. Al massimo, oggi, ogni esemplarità ideale di vita è ridotta al rango di spot, di intermezzo pubblicitario. Per questo le vite dei quattro personaggi si lasciano leggere come qualcosa di accattivante, di lungamente atteso – insomma, di qualcosa che ci manca.

Non che il cattolicesimo nostrano manchi di figure all’altezza di quelle proposte nel volume di Coronati – quello che manca è però l’abilità della Chiesa cattolica italiana di farle funzionare nel modo avvincente e riuscito che è l’esito da sottolineare di questa impresa di informazione

Il registro della narrazione è però più fedele allo spirito del sottotitolo, forse perché nasce come programma radiofonico, approdando alla doppia forma mediatica del podcast e del libro. Oggi le storie di vita sembra possano raccontarsi solo a prezzo di molte semplificazioni, facendoci perdere così la complessità del lavoro umano che richiesero per approdare a quello che furono. Con una certa perdita del senso della storia se, come accade qui, ci si galvanizza soprattutto quando si trova il nostro presente nei tempi passati.

Questa innegabile capacità di ognuna delle storie raccontate di essere il germe di qualcosa che è oggi (quasi) un dato di fatto, rischia di essere annacquata da questa fascinazione per ciò che del passato trova la sua conferma nel nostro presente. Questo non toglie il merito del volume, che è soprattutto quello di lasciarci cogliere come le evidenze di oggi sono state conquistate a lacrime e sangue da generazioni passate di spiriti liberi – che seppero attraversare l’impresa del vivere mosse dall’ingiunzione di un dovere verso un domani che non era il loro.

Ingiunzione che per tutte e quattro le storie raccontate si radica nella dimensione civile di una convinta fede religiosa

Ingiunzione che per tutte e quattro le storie raccontate si radica nella dimensione civile di una convinta fede religiosa e di legame con una Chiesa – quella valdese – per Pöet, Vinay e Rollier direttamente e per nascita; più in obliquo e per fatti contingenti per Franzoni, monaco benedettino e abate di San Paolo fuori le mura negli anni del Concilio, dopo la sua riduzione allo stato laicale.

Si lascia alle parole dei personaggi, e soprattutto alle loro vite, il compito di affermare che l’espunzione di ogni referenza al trascendente è ciò che ha prosciugato lo spirito contemporaneo occidentale di quel respiro di cui ha bisogno per generare il nuovo secondo giustizia e non solo per opportunità di calcolo. L’altra tesi non esplicitata del volume è che la fede e l’appartenenza ecclesiale (valdese, a differenza del cattolicesimo) ha generato e genera in Italia processi di civiltà all’altezza di quella dignità che deve essere riconosciuta all’umano.

Questo ci permette di apprezzare un ulteriore risvolto di questo libro agile ed elegante: che definirei come l’investimento strategico della Chiesa valdese nella dimensione culturale della fede e della sua presenza in Italia. Investimento che è nelle sue corde da tempi antichi e non sospetti, ma che oggi si vede molto di più a causa della miseria culturale in cui versa la Chiesa cattolica italiana. Una semplice operazione, intorno alla quale si convocano competenze professionali ben prima che confessionali, confeziona un’immagine della fede e della Chiesa valdese che la pone nel nucleo incandescente dei grandi processi storici italiani del XIX e XX secolo.

Non che il cattolicesimo nostrano manchi di figure all’altezza di quelle proposte nel volume di Coronati – quello che manca è però l’abilità della Chiesa cattolica italiana di farle funzionare nel modo avvincente e riuscito che è l’esito da sottolineare di questa impresa di informazione.

Non che il cattolicesimo nostrano manchi di figure all’altezza di quelle proposte nel volume di Coronati – quello che manca è però l’abilità della Chiesa cattolica italiana di farle funzionare nel modo avvincente e riuscito che è l’esito da sottolineare di questa impresa di informazione

Al centro dell’operazione sta il lavoro intelligente della rivista «Confronti», diretta da Claudio Paravati. Lavoro di qualità possibile perché in esso si investe, a differenza di quanto spesso avviene nel mondo cattolico dell’informazione culturale e religiosa.

In questo senso la parabola di Franzoni, e di molti altri che come lui negli anni che seguirono il Concilio abbandonarono la Chiesa cattolica, potrebbe essere in un qualche modo esemplare: quando in Italia la Chiesa cattolica lascia dei vuoti, nonostante la qualità di ciò a cui si rinuncia, la formica della Chiesa valdese riempie abilmente gli spazi e se li intesta. È molto probabile che qualcosa del genere accadrà in Italia anche per il nesso fra fede, cultura e informazione nel giro di non molti anni.

Quando in Italia la Chiesa cattolica lascia dei vuoti, nonostante la qualità di ciò a cui si rinuncia, la formica della Chiesa valdese riempie abilmente gli spazi e se li intesta

Come dice Paravati nella presentazione, dopo quarant’anni di lavoro informativo su carta, con Spiriti liberi (e i podcast) il progetto della rivista si è ampliato, facendo un primo passo verso quella multimedialità che è oramai pratica comune dei maggiori gruppi di informazione culturale e religiosa a livello globale. Oltre ad averci fatto ascoltare/leggere percorsi di vita catturati da un’idealità che non demorde, e che ha speso la propria storia per la giustizia della vita di altri, questo attestarsi della rivista «Confronti» al livello delle dinamiche mediatiche a cui deve accedere anche l’informazione di qualità italiana, culturale e religiosa, è forse il risvolto più importante di un progetto che si è fatto anche libro.