Capita spesso che un antico edificio sia abbandonato e rischi l’estinzione. Meno frequente che nelle stesse condizioni si trovi un intero comparto urbano monumentale, come avviene a Spoleto in una vasta area (17.000 mq) entro la cinta muraria medievale, comprendente un edificato di rilevante interesse storico-artistico e architettonico sedimentato dall’età romana al XVIII sec. Ne fanno parte l’anfiteatro del II sec. a. C., tre chiese e due grandi monasteri con tre chiostri. Una vicenda storica in un arco temporale di quindici secoli spiega le singolarità del luogo: la pluralità delle situazioni spaziali, la convivenza di scale dimensionali, di materiali, di soluzioni formali. L’uso di più lunga durata, quello monastico, è stato la causa della insularità dell’intera area rispetto al tessuto urbano.
Se per un monumento isolato l’intervento di recupero può limitarsi al “restauro di salvataggio”, per un insieme come quello spoletino vanno individuate destinazioni armonizzabili con la permeabilità fra luogo e città, rispetto alle quali le molteplici identità del complesso equivalgono ad altrettante “occasioni” di funzioni ed equilibri nuovi. L’auspicabile recupero dell’area è dunque esemplare di quella rigenerazione urbana che la cultura internazionale della città indica da tempo come un aspetto fondamentale della rivitalizzazione dei centri storici. Per renderla operante restano però da superare pastoie burocratiche che finora ne hanno impedito l’avvio.
Per oltre un secolo usata come caserma, dismessa e poi abbandonata, l’area è stata sdemanializzata e ceduta al Comune. I lavori di consolidamento e restauro, che comportano una spesa di oltre cinquanta milioni di euro, sono stati eseguiti solo in minima parte. Una querelle tra amministrazioni su modalità e tempi di utilizzo delle risorse, attribuite e poi disperse nei meandri della finanza pubblica, ha finito per mantenere lo stato di abbandono e non dare seguito al progetto di riuso dell’area, formulato nel 2005 da una commissione tecnico-scientifica nominata dal Comune. Il progetto prevedeva l’apertura di un “Polo di Alta Formazione Integrata” per la conoscenza, tutela, conservazione e valorizzazione dei beni culturali, che aveva ricevuto il sostegno della cittadinanza e di istituzioni pubbliche, in prima fila l’Istituto centrale del restauro e la diocesi di Spoleto, e il patrocinio della presidenza della Repubblica.
La nuova amministrazione comunale ha opportunamente riaperto il dibattito su riqualificazione e riuso dell’area e il suo finanziamento. Si ripropone così il ruolo del Polo come perno di una visione strategica che punta a restituire vitalità a spazi degradati e alla loro riaggregazione dinamica al resto della città, anche attingendo ai fondi europei che privilegiano progetti innovativi di interesse pubblico in grado di generare ritorni economici e consentire forme di project financing. Considerata la rilevante dimensione dell’area e la sua vocazione legata a singolari caratteri morfologici, appare sempre più evidente l’utilità di integrare l’attuale proposta comunale di riuso, fondata univocamente su attività connesse al rischio sismico, con il progetto del Polo, proiettato sull’intera gamma delle cause di degrado dei beni culturali e sulle relative provvidenze, che richiedono azioni coordinate e profili formativi innovativi.
Si tratta di rispondere al crescente fabbisogno di canali di livello terziario per formare/aggiornare professionisti della cura del patrimonio culturale attraverso la ricomposizione degli approcci teorici con quelli pragmatici e una didattica basata sull'integrazione di metodi scientifici e contenuti multidisciplinari, impartiti attraverso corsi residenziali e laboratori interattivi. Una didattica aperta a discipline giuridiche e politico-economiche utili alla corretta applicazione dei principi di tutela e valorizzazione.
La figura formata dal Polo è quella di un professionista che, impegnato nell’intervento su un monumento o su un complesso di edifici storici, agisce in un “regime” di cooperazione fra storici dell’arte, archeologi, architetti, restauratori, muovendosi a suo agio in un ampio spettro di funzioni (inclusi gli adempimenti amministrativi e gestionali connessi ai rapporti con altre istituzioni e con soggetti privati). Rispetto ai corsi biennali di perfezionamento limitati a 18 soggetti della "Scuola dei beni e delle attività culturali e per il turismo" aperta di recente a Roma dal Mibac, il Polo di Spoleto si caratterizza per una gestione autofinanziata e una maggiore flessibilità organizzativa della didattica. L’ampia platea di destinatari di corsi interdisciplinari e residenziali (almeno 50 allievi) disporrà di laboratori in cui lo storico e il tecnico dialogano su un oggetto della cui complessità hanno piena consapevolezza, con proficue occasioni di confronto tra approcci teorici ed esperienze operative, e di arricchimento di capacità analitiche e progettuali. Inoltre, l’attivazione di corsi e tirocini in un area monumentale in restauro offre il vantaggio di verificare sul campo la funzionalità del rilievo “critico” e l’efficacia di procedure di consolidamento e recupero con tecniche antisismiche di nuova generazione, in coerenza con i principi della “conservazione programmata”. Allestimento di spazi per attività didattiche e di ricerca, iniziative scientifiche e culturali, e offerta di servizi aggiuntivi aperti al pubblico comporteranno il progressivo coinvolgimento di artigiani e imprese locali e un aumento di attrattività dell’area, abilitandola a volano per lo sviluppo dell’intera città.
In definitiva si tratta di un progetto articolato, modulare ed emblematico di soluzioni praticabili con buone prospettive di successo nei processi di rigenerazione urbana di aree degradate dal decorso del tempo o colpite dal sisma, purché la rivitalizzazione fisica dei luoghi si accompagni a quella del tessuto sociale e delle relazioni economiche e culturali.
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