Dal 1945 a oggi quattro sindaci comunisti, poi uno del Pds-Ds e quindi due del Pd: la storia politico-amministrativa di Reggio Emilia è stata caratterizzata prima dalla forza della sinistra (Pci e Psi, ma con i comunisti spesso oltre il 50%) e poi da quella del centrosinistra. Ma in questa ricostruzione schematica gli elementi di continuità, che pure sono innegabili, rischiano di far perdere di vista il fatto che quasi tutto è cambiato.

La Reggio roccaforte rossa in cui il Partito decide tutto non c’è più da un pezzo: è un luogo comune buono solo per i resoconti “di colore”. Quella Reggio non c’è più perché non c’è più il partito che ne costituiva il perno. Il Pd conserva – è vero – un certo radicamento: gli oltre 25 mila votanti (su 500 mila residenti a livello provinciale) alle primarie del marzo scorso non sono poca cosa di questi tempi. Ma si tratta di modalità di partecipazione episodiche: nulla di paragonabile rispetto alla vita dei partiti di massa di un tempo. Le altre forze politiche sono evanescenti, in certi casi addirittura invisibili, con l’eccezione del M5S.

La Reggio Emilia che si prepara al voto amministrativo del 26 maggio è dunque una città in cui la politica è meno importante che in passato. Una città più aperta alle influenze esterne. A poco più di vent’anni dal ritorno dell’Università, nel 1998, attraverso l’ateneo a rete di sedi con Modena, oggi Reggio conta 6 mila studenti universitari. Le scuole dell’infanzia e Reggio Children richiamano ogni anno quasi 5 mila educatori e insegnanti da tutto il mondo. Gli immigrati non comunitari sono 28 mila, il 16,5% dei 170 mila residenti. La città e il territorio sembrano aver reagito alla crisi economica. Le esportazioni della provincia di Reggio sono passate dai 6,4 miliardi del 2009 ai 10,7 del 2018: il 27% in più del picco pre-crisi registrato nel 2008. Nello stesso periodo il risparmio finanziario (depositi più titoli a custodia) è balzato da 25 a 28,3 miliardi di euro. Ma questi numeri non dicono tutto. La recessione, in realtà, ha lasciato segni profondi: ha colpito le aziende che producono e vendono solo o prevalentemente per il mercato interno, ha mortificato il commercio al dettaglio, ha amplificato la precarietà del lavoro. 

Una crisi nella crisi è quella del settore delle costruzioni. Fra la metà degli anni Novanta e la metà del decennio scorso, Reggio ha vissuto una crescita edilizia impetuosa e talvolta disordinata, che ha divorato le campagne a sud della città, trasformando in pochi anni piccole frazioni in agglomerati con migliaia di residenti. Alla base c’era l’idea di una città capace di crescere anche sotto il profilo quantitativo. La cementificazione è avvenuta sotto gli occhi di tutti, nel silenzio quasi generale: il Comune ha fatto incetta di oneri di urbanizzazione, tante famiglie proprietarie di terreni agricoli resi edificabili si sono trovate fra le mani un tesoretto, gli immobiliaristi hanno fatto affari d’oro, le imprese di costruzioni e le agenzie immobiliari hanno lavorato a più non posso. Poi la bolla è scoppiata ed è arrivato il contrappasso. Nell’arco di qualche anno il settore delle costruzioni è stato pressoché cancellato. Quasi 6 mila posti di lavoro sono andati perduti, l’attività edilizia è crollata dell’85%.

Lo schianto più fragoroso, però, è stato quelle delle cooperative di costruzioni. Prima Cmr, poi Orion, quindi Open.Co, Coopsette e Unieco: tra il 2012 e il 2017 la presenza storica della cooperazione reggiana nel settore delle costruzioni è stata annientata. Il crollo ha avuto poco a che fare con fattori locali e molto con le dinamiche del settore a livello nazionale. Gli ingenti patrimoni immobiliari accumulati nell’arco di decenni (in qualche caso addirittura di un secolo) non sono serviti a nulla di fronte a una drammatica crisi di liquidità che impediva di pagare gli stipendi e i fornitori. Insieme alle aziende e ai posti di lavoro, sono andati in fumo circa 75 milioni di prestito sociale. Le altre cooperative, da Coop Alleanza 3.0 fino alle piccole cooperative sociali, si sono “autotassate” per due volte, raccogliendo 33 milioni per attenuare le perdite subite dai soci prestatori delle coop di costruzioni. Ma è probabile che queste vicende, in termini elettorali, finiscano per essere messe sul conto del centrosinistra. Una parte della sua base sociale si è sentita tradita da dirigenti che non hanno saputo o potuto evitare un epilogo tanto infausto.

L’espansione edilizia degli anni Novanta è uno dei fenomeni che hanno favorito gli affari di un nutrito gruppo di imprenditori contigui alla criminalità organizzata calabrese. L’inchiesta “Aemilia” della Dda di Bologna e i processi che ne sono scaturiti hanno portato alla luce, a partire dal 2015, l’esistenza di una cosca ‘ndranghetistica legata ai Grande Aracri di Cutro (Crotone), operante in gran parte dell’Emilia ma con base fra Reggio e Brescello. Le sentenze hanno accertato rapporti del clan con imprenditori locali, professionisti ed esponenti delle forze dell’ordine. L’ex capogruppo del Popolo della Libertà in Consiglio comunale è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Dalle indagini non è emerso invece il coinvolgimento di rappresentanti dell’amministrazione comunale e del Pd, ma da più parti al partito di maggioranza è stata mossa un’accusa politica: quella di avere sottovalutato i segnali allarmanti, di aver chiuso gli occhi di fronte all’infiltrazione.

Su questi temi e su questi sentimenti cercano di far leva in campagna elettorale Roberto Salati e Rossella Ognibene. Salati è il candidato sindaco del centrodestra. Piccolo imprenditore con interessi nell’immobiliare e nell’edilizia, titolare di uno studio fotografico, Salati è una figura completamente nuova per la politica reggiana. A convincerlo a candidarsi è stato Gianluca Vinci, plenipotenziario della Lega in Emilia e deputato del Carroccio. Rossella Ognibene, avvocato, è invece da tempo schierata con il M5S. Alle politiche del 4 marzo 2018, candidata alla Camera nel collegio della provincia di Reggio, mancò l’elezione per poco, battuta con scarto ridotto dalla rivale del Pd. Ora ci riprova. Il Pd, da parte sua, ricandida il sindaco uscente Luca Vecchi, eletto nel 2014 al primo turno. Commercialista, 46 anni, Vecchi ha cancellato dagli strumenti urbanistici quasi 3.500 appartamenti: 2,4 milioni di metri quadrati di aree edificabili sono così tornate agricole.

I cavalli di battaglia di centrodestra e M5S sono la necessità di un ricambio, le difficoltà della residenza e del commercio nel centro storico e la sicurezza. Il sindaco uscente può vantare a buon titolo risultati non trascurabili: il Centro oncoematologico, gioiello della sanità emiliana; l’inizio del recupero della grande area industriale dismessa delle ex Officine Reggiane attraverso l’insediamento di aziende specializzate in ricerca; il boom della stazione Mediopadana, unica fermata dell’Alta velocità fra Bologna e Milano. A ben vedere, l’eredità del modello reggiano – se così vogliamo chiamarlo – è presente nel sistema dei servizi: nelle scuole dell’infanzia, nella sanità, nelle istituzioni culturali, nelle farmacie comunali che ogni anno finanziano con 10 milioni di euro i servizi assistenziali. Elementi che giocano a favore del sindaco uscente. Dall’altra parte, però, va riconosciuto che anche qui il clima che si respira nel Paese e la voglia di un cambiamento favoriscono invece i suoi sfidanti. In passato, a Reggio, nel passaggio di testimone tra un sindaco e l’altro, la sinistra è apparsa per lo più in grado di tenere insieme continuità e cambiamento. Oggi più che mai, è forse questo l’aspetto decisivo.

 

[Questo approfondimento sulle amministrative di maggio tocca le quindici città più popolose in cui si rinnovano i Consigli comunali: BariBergamoCesena, Ferrara, FirenzeFoggia, Livorno, Modena, PerugiaPescara, PratoReggio Emilia, insieme a Cagliari e Sassari dove, in ragione dell’autonomia dell’Isola, si voterà il 16 giugno.]