Ci sono dei libri che per qualità dell’analisi, profondità storico-comparativa e capacità di discussione di tante implicazioni del tema trattato sono da segnalare all’attenzione del lettore, anche non specialista; è questo il caso di Poverty in Italy, pubblicato da Chiara Saraceno, David Benassi ed Enrica Morlicchio con la Policy Press di Bristol e del quale è in preparazione l’edizione italiana.
La povertà è un fenomeno multidimensionale: di questa pluralità di aspetti gli autori riescono a dare evidenza non solo ricorrendo agli strumenti e alle analisi delle scienze sociali, ma analizzandone anche le dimensioni territoriali e urbane, le connessioni con la regolazione del mercato del lavoro e con le dinamiche della politica. Aprendo spazio a ulteriori analisi: ad esempio a quelle che possono leggere le relazioni fra povertà, comportamenti riproduttivi e tendenze demografiche, o a quelle fra l’organizzazione delle politiche di welfare, il finanziamento delle amministrazioni comunali e le loro capacità di erogare servizi.
Nel libro vengono ripercorsi non solo il dibattito teorico sui diversi «regimi» di povertà esistenti nei Paesi europei, ma anche la storia delle politiche italiane. Il «regime» italiano di povertà si caratterizza per la segmentazione del mercato del lavoro e per l’esistenza di una forte differenziazione territoriale, a cui corrisponde una parallela disparità nella fornitura di servizi; per un welfare che si appoggia molto sulla solidarietà nell’ambito della famiglia estesa e sulla divisione del lavoro per genere, così come sulle Fondazioni e il terzo settore (però anch’essi molto differenziati territorialmente). L’esito ne è non solo una rilevante dimensione della povertà, ma anche una sua forte concentrazione geografica, un'alta incidenza di lavoratori poveri e soprattutto una vasta estensione della povertà minorile.
Il libro è molto importante sotto i profili politico e politico-economico. Dal primo punto di vista, esso propone una lettura netta della povertà: essa non è frutto di «sfortune personali o comportamenti inadeguati», ma di «meccanismi economici e sociali». E dunque, come ha recentemente scritto Elena Granaglia, «la povertà cessa di essere solo un attributo personale. È, al contrario, frutto di un processo sociale». Una lettura che contrasta frontalmente con alcune interpretazioni molto diffuse nel nostro Paese, particolarmente vivaci dopo l’introduzione del reddito di cittadinanza (Rdc), che legano la condizione di povertà ad atteggiamenti individuali di «pigrizia» e ne deducono implicazioni per le politiche. Per cui un presidente di Regione di centro-sinistra ha sostenuto che «la politica dovrebbe farli alzare dal divano e farli andare a lavorare» e un economista ha suggerito di utilizzare i percettori del reddito di cittadinanza per «fare le siringhe» nella campagna vaccinale.
Gli autori mostrano con grande evidenza di dati che la povertà italiana odierna è anche un fenomeno molto articolato; e in particolare, come Saraceno argomenta convincentemente da tempo, non è strettamente legata alla mancanza di lavoro. Ci sono vaste fasce di popolazione, italiana e straniera, al Nord e al Sud, in condizione di povertà nonostante vi siano percettori di reddito nella famiglia. È il fenomeno, crescente, dei lavoratori poveri (working poor). E da quest’analisi gli autori traggono un’implicazione decisa, ma nient’affatto scontata nel dibattito pubblico italiano: «la convinzione che un aumento dell’occupazione generi automaticamente una riduzione della povertà può rivelarsi un’illusione». Quando un mercato del lavoro come quello italiano presenta un’incidenza così forte di posizioni precarie e sottopagate, quando non irregolari, il tema non è solo «il» lavoro ma anche «quale» lavoro. ""La convinzione che un aumento dell’occupazione generi automaticamente una riduzione della povertà può rivelarsi un’illusione"
Una convinzione alla luce della quale viene condotta nel libro un’analisi articolata delle recenti politiche e in particolare del reddito di cittadinanza. Gli autori sono netti; per loro è un bene che nella situazione attuale il Rdc copra una quota rilevante di coloro che già erano in condizione di povertà; ma, allo stesso tempo, sottolineano i gravi problemi nel disegno della misura, a partire proprio dalla sua finalizzazione lavoristica.
Un aspetto fondamentale del fenomeno in Italia, nonostante la sua crescente diffusione anche nelle aree più forti del Paese, è la forte concentrazione al Sud, e in particolare nelle regioni meridionali tirreniche, a partire da Campania e Sicilia. Essa è frutto del minore sviluppo economico, e quindi occupazionale, delle regioni meridionali. Ma anche, molto, proprio del «regime» italiano. Come sempre ciò che rileva per le sorti del Mezzogiorno non sono solo (o tanto) le politiche con una diretta finalizzazione territoriale ma le grandi scelte che l’Italia ha compiuto e compie nelle sue grandi politiche.
Come ben noto, a seguito della sua evoluzione storica, (magistralmente ricostruita tempo fa da Maurizio Ferrera e altri) il sistema di sicurezza sociale italiano è altamente categoriale e fortemente orientato verso le pensioni, molto basato sugli effetti delle solidarietà familiari. In un Paese con un passato e un presente occupazionale così diverso fra regioni questo lo rende molto meno incisivo nel Mezzogiorno. Altre forme di protezione sociale sono più deboli, hanno subito tagli anche molto rilevanti nell’ultimo decennio e soprattutto sono lasciate all’azione delle amministrazioni locali. Qui i temi del libro posso essere integrati con considerazioni più di natura economica. Non solo la spesa storica per il welfare locale è molto minore dove la povertà è maggiore, e cioè nel Mezzogiorno, come documentato nel volume; ma le tendenze politiche degli ultimi anni, con una scelta di fondamentale importanza di cui si è discusso troppo poco, hanno portato a cristallizzare la situazione, riconoscendo per principio maggiori fabbisogni di spesa alle realtà territoriali in cui c’erano già più servizi. Tema che fortunatamente la nuova Commissione tecnica sui fabbisogni standard, grazie anche all’azione del suo nuovo presidente Arachi, sta provando a rivedere sul piano tecnico e a porre all’attenzione della politica. Come ha mostrato Emanuele Pavolini la corrispondenza che c’è in Italia fra minore reddito fra i territori e minore fornitura di servizi non si ritrova negli altri grandi Paesi europei.
Questo è uno dei due temi particolarmente scottanti che il libro ha il merito di evidenziare. Al primo, infatti, non si sfugge: la concentrazione della povertà al Sud è stata storicamente un rilevante ostacolo a intense misure per contrastarla. È un tema anche affrontato direttamente da Cristiano Gori nella sua bella ricostruzione del policy-making italiano nell’ultimo decennio, alla luce della radicata convinzione che i dati sovrastimino la povertà al Sud, che le famiglie ce la facciano comunque e che in ogni caso in quei territori le amministrazioni non sarebbero capaci di mettere in atto interventi adeguati.
L’altro grande, scottante, tema che emerge è quello del «partito dei poveri». Quali forze politiche si battono per i diritti dei più deboli? Per ragioni storiche e ideologiche che il libro ricostruisce, le forze politiche e sindacali della sinistra italiana sono state sempre fredde nei confronti di politiche dirette contro la povertà, puntando a combatterla indirettamente attraverso un incremento dell’occupazione. E non è un caso che pur avendo il centro-sinistra negli ultimi anni messo in atto sperimentazioni molto interessanti con sostegno all’inclusione attiva (Sia) e con il reddito di inclusione (Rei), anche per merito di Maria Cecilia Guerra, queste sono state dotate di risorse finanziarie relativamente modeste. Un forte intervento si è avuto solo grazie al Movimento Cinque Stelle: la misura più decisa di contrasto alla povertà, il Rdc, è stata introdotta dal governo giallo-verde. LeLe forze politiche e sindacali della sinistra italiana sono state sempre fredde nei confronti di politiche dirette contro la povertà, puntando a combatterla indirettamente attraverso un incremento dell’occupazione
Il libro si chiude con riflessioni sulla povertà ai tempi del Covid-19. Fornisce ancora una volta una chiave di lettura importante, dato che ad avviso degli autori la pandemia sta principalmente esacerbando le distorsioni del welfare italiano che già esistevano. Ma certamente i tempi che stiamo vivendo sono estremamente preoccupanti anche da questo punto di vista: il timore dell’accentuarsi di questo fenomeno, dell’emergere di nuove povertà è giustificato. In particolare, della povertà educativa alla quale Saraceno sta dedicando un’intensa attività pubblicistica; non è tanto un tema di didattica a distanza o di impegno o meno dei docenti, ma la questione è che le fasce degli studenti più deboli, per provenienza familiare, sociale e territoriale sono ancora più a rischio oggi di maturare vuoti e carenze che possano determinarne l’abbandono degli studi o apprendimenti del tutto in sufficienti. Specie nei quartieri più disagiati di regioni come la Campania, dove le scuole sono chiuse dal 21 marzo 2020, e nonostante l’intensa attività che realtà come Con i Bambini stanno realizzando.
Resta la speranza che questo grande shock possa rimescolare le carte anche da questo punto di vista e portare a una maggiore condivisione della necessità di misure strutturali e permanenti a favore delle fasce più deboli della società, a un sensibile riequilibrio – in nome dell’uguaglianza fra i cittadini scolpita nella Costituzione – nelle capacità di erogazione dei servizi nelle diverse regioni, e quindi a revisioni tecniche profonde tanto dei meccanismi di finanziamento delle politiche sociali dei comuni quanto dello stesso Rdc. Il libro di Saraceno, Benassi e Morlicchio ci fa capire bene che cosa si può fare e perché bisognerebbe farlo.
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