La scuola è di nuovo nell’emergenza. Tutti gli studenti e le studentesse delle scuole superiori sono tornati alla didattica a distanza; nelle regioni “rosse”, che aumentano con il passare dei giorni, seguono le lezioni da casa anche gli alunni e le alunne delle seconde e terze medie; regioni e comuni in alcuni casi dispongono in modo autonomo di lasciare a casa anche le bambine e i bambini di infanzia e primaria. Il nostro timore è che possano prevalere, nei governi nazionali, regionali o locali, quelle forze politiche che si sono più volte espresse per un lockdown generalizzato che includa anche la scuola. In ogni caso, la chiusura delle scuole rischia di durare fino a dopo Natale.
A pagare le conseguenze di tutto questo saranno come al solito i ragazzi e le ragazze, in particolare quelli e quelle più fragili o con un contesto familiare o sociale critico. Aumenteranno fenomeni purtroppo già presenti prima del virus: povertà educativa e diseguaglianze. La posta in gioco è il futuro di intere generazioni: le stesse alle quali stiamo chiedendo in prestito i soldi per affrontare l’emergenza.
Siccome il segmento più in sofferenza è quello dei bambini e delle bambine la prima cosa che chiediamo con forza è di considerare solo come extrema ratio la chiusura della scuola dell’infanzia e della primaria. Si investano quindi tutte le risorse necessarie in termini di supporto sanitario (priorità alla scuola per i tamponi) e logistico (spazi e trasporti per prima cosa).
La seconda richiesta è di iniziare da subito a programmare il recupero del tempo scuola perso. Il tempo scuola in presenza perso è enorme: dal 5 marzo al 10 giugno 2020, 75 giorni, che diventano 84 per quelle regioni in cui il lockdown è iniziato il 25 febbraio. A questi vanno sommati i giorni persi in questo anno scolastico almeno a partire dal 24 ottobre, cioè da quando è iniziata la riduzione al 25% del tempo scuola in presenza alle superiori. Se si aggiunge la pausa estiva, che è stata troppo lunga anche in questo anno di emergenza, il quadro è molto grave.
Questa situazione non è più sostenibile. La didattica a distanza di questi mesi è uno strumento di emergenza, che ha permesso, grazie all’impegno e alla professionalità di molti docenti e dirigenti, di alleviare la sofferenza del sistema di istruzione, ma non è adeguata per periodi prolungati. Va continuata, migliorata, resa socialmente equa, ma non può essere l’unica risposta.
La nostra proposta è questa: iniziamo a calendarizzare settimane per il recupero del tempo scuola perso a causa di queste interruzioni, pensiamo cioè a rimodulare i periodi di vacanza e allungare l’anno scolastico molto oltre il 10 giugno. Va fatto in modo flessibile e differenziato, a seconda delle regioni, anche interrompendo quando occorre l’attività a distanza, per consentire a studenti e docenti di prendere un po’ di respiro.
Un calendario «europeo», caratterizzato da vacanze estive più corte (quando il virus è meno aggressivo) e sospensioni dell’attività di alcuni giorni durante l’anno. Aiuterebbe ulteriormente far sì che il personale in servizio rimanga il più possibile nelle stesse classi anche per il prossimo anno scolastico, in modo da consentire una programmazione dei recuperi più distesa e che includa per lo meno anche i primi mesi del prossimo autunno.
Ci sono mille problemi tecnici e organizzativi, ma dobbiamo farlo. Altrimenti anche quest’anno scolastico sarà perso. Questo è un appello rivolto a tutti i soggetti che hanno responsabilità in ambito scolastico: rappresentanti politici, partiti, sindacati, associazioni, tecnici ecc. A tutti chiediamo di promuovere una campagna nazionale per salvaguardare il più possibile infanzia e primaria e per il recupero del tempo scuola perso, perché non solo il Governo e il Parlamento, ma tutta la società, si facciano carico della priorità di salvare il futuro del paese.
[Questo intervento riprende l'appello promosso da “Condorcet. Ripensare la scuola”. Chi intenda sottoscriverlo può farlo compilando il modulo]
Riproduzione riservata