Chi di scuola si occupa con competenza e passione ha apprezzato diverse cose del progetto di riforma del governo, pur giudicandolo migliorabile. D’altra parte, molta opposizione appare strumentale: o si limita a privilegiare le assunzioni degli insegnanti precari oppure ce l’ha con il governo Renzi per altre ragioni. Ma come si può migliorare il progetto attuale, che già valorizza l’autonomia della singola scuola, nel costruire la propria offerta formativa e quindi la più idonea squadra di docenti?
L’aspetto finora più trascurato (ma è una caratteristica tradizionale del nostro sistema educativo, dove gli studenti sono presenti… quasi per sbaglio), è quello didattico cum valutazione degli studenti. Il nostro modello tradizionale è, infatti, quello di programmi uguali per tutti gli studenti, con la possibilità di “andare a lezione privata” e/o di “riparare a settembre” per chi non riesce altrimenti a raggiungere il livello minimo della classe di appartenenza. L’alternativa – preferita in altri Paesi, che hanno sistemi educativi migliori del nostro – è invece quella dello studente che si dedica allo studio delle materie in cui ha la valutazione relativamente migliore, riducendo l’impegno per le materie nei cui confronti non ha sufficienti talenti (non a caso la “parabola dei talenti” nel Vangelo di Matteo è da tempo una delle più controverse!). Perché questa diversa impostazione non viene accolta in Italia, dove resta dominante l’idea di eguaglianza, vale a dire la convinzione secondo la quale dalla scuola i nostri giovani escano il più possibile in tutto uguali?
In proposito, tre aspetti meritano ancora di essere sottolineati.
1) Anzitutto dovremmo riconoscere che, a distanza di vent’anni, il Rapporto Unesco della Commissione presieduta da Jacques Delors (Learning: the Treasure Within, 1996) è ancora attuale. Dovremmo rileggerlo prima di metter mano a una riforma del sistema educativo, che se non è organica allora è inutile, quando non pericolosa.
2) D’altra parte osserviamo che, nel progetto del governo, dal modello di massima uniformità ci si muove verso un modello di autonomia scolastica (anche grazie agli aumentati compiti e alle maggiori responsabilità previste per i dirigenti scolastici), ma non si ha il coraggio di indicare in modo esplicito che ciò si consoliderà e si accentuerà nel tempo, man mano che le strutture saranno in grado di “meritarsi” un’autonomia maggiore. In altre parole, la provocazione c’è, ma sembra di breve portata.
3) Sul tema specifico della valutazione, bisognerebbe riconoscere – come si ricava dalla migliore tra le altrui esperienze – che il modo preferibile per valutare gli insegnanti non è quello degli “ispettori ministeriali”, né – tanto meno – quello del comitato misto di valutazione (docenti, genitori, studenti), dei quali parla il progetto del governo. Ma, semmai, è quello di una valutazione ben fatta ed esauriente (con esami scritti, anonimi e corretti da una Commissione nazionale), che misuri i progressi realizzati dagli studenti stessi.
Dovremmo tutti condividere la conclusione di Jacques Delors del Rapporto Unesco del 1996: learning is the treasure. Solo questo dovrebbe essere valutato.
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