Nell’hinterland della metropoli meneghina, all’interno della biblioteca comunale di Novate Milanese, una sera di novembre mi trovo in cerchio con una cinquantina di persone per assistere alla presentazione e discussione del libro Maschilità smascherata, l’esperienza del gruppo Gnam a cura di Marco Forlani, edito da Prospero Editore per la collana il Mosaico.

Gnam, oltre a essere onomatopea dell’attività conviviale che ha riunito questo gruppo di uomini dagli anni Novanta, è l’acronimo di Gruppo non violento di autocoscienza maschile. Influenzati dai percorsi di autocoscienza femministi degli anni Settanta, questi amici si riuniscono da trent'anni a Milano per delle sessioni di confronto sulle maschilità e la loro costruzione e decostruzione. Partendo da esperienze intime perché “il personale è politico”, gli autori (Marco Forlani, Michele Giussani, Luca Milani, Marco Musso e Roberto Raimondo) ci raccontano la genesi, la strutturazione, i metodi, le strategie e l’evoluzione di un percorso che, pur rimanendo ristretto e legato a una dimensione privata e protetta, ha visto persone entrare e rimanere, e altre attraversare questo spazio solo temporaneamente.

In una società ancorata a stereotipi di genere ben strutturati, il gruppo Gnam riflette su fenomeni quali la violenza maschile sulle donne, soffermandosi su alcune sue variabili come il catcalling, lo stalking, il mansplaining, il ricatto psicologico, la violenza economica, il silenziamento, il controllo, fino ad arrivare allo stupro e al femminicidio. Alla ricerca di “un’altra maschilità”, lo Gnam si sofferma sulla pluralità delle maschilità, partendo dalla maschilità egemonica concettualizzata da Raewyn Connell nel 1996.

La maschilità egemonica, strutturata su ideali quali la pragmaticità, il successo e l’impermeabilità emotiva, rimane appannaggio di un certo tipo di maschio – bianco, eterosessuale, cisgenere, abile, di classe media – che non deve confrontarsi con processi quali sessualizzazione e razzializzazione in quanto con il proprio corpo è paradigma dello standard normato. Si parla anche di altre maschilità, come quelle complici all’interno di un sistema patriarcale che persiste a stigmatizzare, silenziare ed emarginare quantə non siano conformi allo stereotipo del “maschio che non deve chiedere mai”.

Lo Gnam si trova all’interno di una rete chiamata Maschile plurale, presente sul territorio italiano, che riflette sui temi trasversali alla decostruzione della maschilità e degli stereotipi di genere

Al contrario, la condivisione, l’ascolto, l’emotività e l’accettazione/espressione dell’inadeguatezza sono elementi centrali all’interno del percorso dello Gnam al fine di decostruire schemi e percorsi di genere che contraddistinguono la socializzazione maschile, come ad esempio l’obbligo morale di non piangere per non risultare “una femminuccia” e quindi violare quel patto di genere che esige che gli uomini non esprimano emozioni. Lo Gnam si trova all’interno di una rete chiamata Maschile plurale, presente sul territorio italiano, che riflette sui temi trasversali alla decostruzione della maschilità e degli stereotipi di genere, con un background di appartenenza ai gruppi non violenti e pacifisti degli anni Ottanta-Novanta. Il loro percorso parte proprio da quel rifiuto del militarismo e della leva obbligatoria, in quanto obiettori di coscienza che si autoescludono da un percorso obbligato, che portava a quel tempo al cameratismo maschile “da caserma”.

Ma è sulla discussione sul libro con lə partecipantə alla presentazione che è anche interessante soffermarsi. Il pubblico si complimenta, domanda, commenta, suggerisce, ma la sua voce rimane prettamente femminile. In effetti, esclusi il sottoscritto, due degli autori presenti e l’editore, sono solo 9 i maschi su 51 persone presenti in sala. La prospettiva maschile sugli argomenti appena presentati fatica a emergere, se non con qualche battuta che stempera una tensione percepibile da quelle braccia maschili conserte, che richiamano un gesto di chiusura o di autoprotezione, mentre ascoltano gli interventi delle donne in sala, apparentemente molto più a loro agio a prendere la parola. Possiamo ipotizzare che vi sia ancora una profonda fragilità a esporsi, anche quando i maschi consensualmente – o almeno si suppone che sia così – partecipano a un evento di questo tipo.

Un altro tema su cui è necessario soffermarsi è il tema del corpo, del sesso e della sessualità. Gli autori raccontano come questi siano tra i temi più spinosi, che hanno creato più disagio all’interno del gruppo e su cui sono emerse più riserve e resistenze e come il rapporto con il sesso per la loro generazione di maschi sia stato, da un lato, influenzato da un’educazione cattolica in cui l’esplorazione del proprio piacere era fortemente stigmatizzata e, dall’altro, dall’approdo della televisione berlusconiana, fatta di donne oggetto e dall’idea del maschio prestante e penetrante. Trattare di sesso e delle sue componenti più intime appare ancora un tema molto delicato, sebbene i percorsi di autocoscienza praticati da più di un trentennio.

Il rapporto con il sesso è stato, da un lato, influenzato da un’educazione cattolica in cui l’esplorazione del proprio piacere era fortemente stigmatizzata e, dall’altro, dall’approdo della televisione berlusconiana, fatta di donne oggetto e dall’idea del maschio prestante e penetrante

Ed è sul tema dell’omosessualità che la fragilità sembra emergere in maniera ancora più acuta. Se l’omofobia è pubblicamente e politicamente condannata, altra cosa è fare i conti con la propria omofobia interiorizzata. Quella paura di essere fraintesi nei gesti della propria quotidianità è ancora pervasiva, e rende complesso uscire da schemi di genere in cui ad esempio il rosa è il colore femminile o i gesti di affettuosità e tenerezza svirilizzano e possono farti additare come “fr***o”. Il contatto fisico tra maschi rimane relegato principalmente ai momenti entusiastici legati alle attività sportive o conviviali di gruppo. Tutto il resto è sconveniente e potenzialmente ambiguo.

“Per noi maschi eterosessuali liberarsi dell’omofobia […] è anche un’occasione per poter vivere la maschilità scrollandoci finalmente di dosso barriere e condizionamenti che puzzano di muffa” scrivono gli autori e, per quanto vero, è necessario constatare come il sessismo, la misoginia, la “checchofobia” siano fenomeni permeati e riprodotti anche all’interno della comunità gay maschile, come ha scritto Cirus Rinaldi in Rimani maschio finché non ne arriva uno più maschio e più attivo di te.

Le conclusioni – per quanto parziali e generali – che possiamo trarre sono che l’esperienza del gruppo Gnam, e della rete Maschile plurale, è essenziale e deve evolversi e diversificarsi, come già sta avvenendo con alcuni gruppi. Questa evoluzione, sia quantitativa sia qualitativa, dovrebbe estendere il proprio lavoro di (auto)critica e riflessione a spazi eterogenei come scuole, luoghi di lavoro, di intrattenimento, centri anti-violenza, centri di uomini maltrattanti, programmi televisivi e così via. L’obiettivo deve essere quello di rendere quei maschi che rifiutano o rifiuteranno di confrontarsi con le questioni legate alla propria maschilità partecipi e protagonisti di circoli virtuosi di ascolto, condivisione e messa in discussione. Nessuno è potenzialmente colpevole , ma tutti dobbiamo essere responsabili.

In una società dove una parte della popolazione giovanile vive con più serenità la fluidità di genere, dove sesso e sessualità sono esplorati nelle loro multiformi sfaccettature, è fondamentale effettuare un lavoro anche di attenzione linguistica. Fino a quando, ad esempio, sarà normale utilizzare il termine “mammo” per indicare un genitore di genere maschile che è presente nel lavoro di cura domestica e affettiva, non avverrà una decostruzione bensì una riproduzione degli stessi schemi di genere. Quella persona con quel ruolo di cura in una forma attiva, presente, partecipata, affettuosa all’interno di un contesto famigliare non si chiama “mammo”, ma padre. Un padre, un maschio, un uomo può essere tale anche se esprime tratti caratteriali, comportamentali, estetici che storicamente sono stati essenzializzati come femminili.

Il genere è relazionale, la maschilità non scorre nelle vene, ma è parte di un percorso di socializzazione e apprendimento che può e deve prendere strade differenziate. Elementi quali consenso, rispetto delle diversità, autodeterminazione, ascolto, dialogo devono diventare centrali nella costruzione del sé in relazione allə altrə, soprattutto dal momento che emerge sempre più come evidente che anche gli uomini – più o meno consapevolmente – sono vittime oltre che carnefici di un sistema patriarcale che li congela in comportamenti, relazioni, attitudini in cui soffrono e che li portano ad agire violenza, contro se stessi e contro altre soggettività, donne in primis. Il tasso di femminicidi è sempre molto elevato: in Italia dall'inizio dell'anno a novembre 2022 sono state uccise 52 donne. Il tasso di suicidio maschile è al contempo più alto rispetto a quello femminile. E le cause di questi comportamenti sono state individuate nella connessione degli uomini con la propria mascolinità (per cui, in momenti di difficoltà, gli uomini tendono a chiudersi in sé e non chiedere aiuto a professionistə della salute mentale).