L'11 settembre è morto il filosofo americano Marshall Berman, autore e lecturer del «il Mulino» (sua infatti fu la seconda delle Letture del Mulino, dopo quella inaugurale di Norbert Elias; la tenne nel 1986 e la intitolammo Perché il modernismo oggi). Il suo libro più importante, tradotto in Italia sempre dal «Mulino», è Tutto ciò che è solido svanisce nell'aria. L'esperienza della modernità (rieditato nel 2012). Al di là dei ricordi più ufficiali (come ad esempio questo), ci piace riportare le parole che su Berman scrisse Edmondo Berselli (in Adulti con riserva, p. 170):
«Ho conosciuto Berman a metà degli anni Ottanta, e con lui e Ugo Berti siamo andati a Venezia a visitare una storica mostra sui futuristi. Berman ammirava ogni bruttura architettonica nella campagna ferrarese, fabbriche dismesse, ruderi industriali, esclamando:"Look at that beautiful building, it's so modern!". Tutto il moderno gli piaceva. Era un fanatico della modernità. Aveva il volto dell'ebreo cosmopolita: era una specie di elefante barbuto, nello stesso tempo goffo e agile, divertentissimo da osservare mentre in un bar veneziano mangiava la pizza con le mani impiastricciandosi le dita, se le le ficcava in bocca sporcandosi la barba senza minimamente preoccuparsene; e per scattare una foto al campanile di San Marco, alla ricerca della giusta inquadratura, si sdraiava per terra, abbastanza felice, lui che era uno uomo sfortunatissimo, perseguitato da disgrazie terribili, una specie di Giobbe della modernità».
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