C’è un episodio, nella vita di Mario Lodi, che credo abbia la capacità di illuminare l’intera sua esistenza. È il gennaio del 1945, la Seconda guerra mondiale sta per volgere al termine, Lodi è stato catturato dal comando tedesco per sospetti atti di sabotaggio alla linea ferroviaria e si trova a camminare con un soldato che ha il compito di condurlo in caserma per l’interrogatorio. I due, dopo essere rimasti a lungo in silenzio, iniziano a conversare: condividono ricordi d’infanzia, rievocano i piatti cucinati dalle loro madri e, in particolare, la bontà del risotto con il brodo di corvo. Lodi, tra le altre cose, si ritrova a raccontare di quando suo padre gli insegnò a cacciare. E così, non appena si imbattono in un corvo accovacciato su un ramo, il milite - quasi riuscisse già a sentire il profumo di quel piatto - mette il fucile in mano al prigioniero e gli chiede di prendere la mira. Lodi spara. Sta imbracciando ancora l’arma quando il soldato si avvicina all’animale per raccoglierlo. Il prigioniero è armato, il militare distratto e inerme. Intorno non c’è anima viva. Solo il silenzio. L’occasione giusta per premere il grilletto e tornare in libertà. Ma non parte nessun colpo: senza dire niente, i due si incamminano di nuovo verso la prigione.
La vocazione pacifista e la fiducia nell’uomo sono alla base della personalità di Mario Lodi. Nasce a Piadena, un paese prevalentemente rurale tra Mantova e Cremona, il 17 febbraio 1922. «Mia madre diceva che quella notte era nevicato e faceva freddo, e mi si era gelato il naso, e lei vi soffiava sopra il fiato caldo e mi avvolgeva nei panni scaldati con la pietra, nella stanza fredda», ricorderà. Infanzia e giovinezza restano per lui segnate dall’avvento del fascismo. La divisa da balilla gli stava stretta. Era una vergogna, gli confidava il padre, ma purtroppo era l’unica possibilità per poter andare a scuola. Fu proprio grazie alla figura paterna e ai suoi discorsi, in perenne disaccordo con quelli della maestra fedele al regime, che Lodi sviluppò una sensibilità crescente nei confronti dell’antifascismo, dei temi della giustizia, della libertà e di quelli che - col finire della guerra - diventarono i valori alla base della futura Costituzione. Fu sempre grazie all’educazione ricevuta in famiglia, che si fece sempre più salda in lui la convinzione di quanto l’istruzione fosse centrale nella vita di un individuo e di una comunità.
Lodi sviluppò una sensibilità crescente nei confronti dell’antifascismo, dei temi della giustizia, della libertà e di quelli che sarebbero diventati i valori alla base della Costituzione
La testimonianza di quegli anni, vissuti in solidarietà col movimento partigiano, dandosi alla macchia, ma anche affrontando giorni di prigionia, trova spazio nel romanzo Il corvo: un racconto autobiografico sincero e commovente destinato a bambini e ragazzi, come buona parte della produzione letteraria di Mario Lodi. La storia non termina col sopraggiungere della Liberazione: si narra dell’atmosfera di festa che inebriava i giovani nei mesi successivi, i quali finalmente potevano diventare artefici del loro futuro e protagonisti della storia. Insieme ad altri coetanei, Lodi sarebbe stato tra i fondatori del Fronte della Gioventù piadenese e si sarebbe occupato del prestito dei libri e della rassegna stampa («la voglia di sapere è incontenibile», scrive ricordando quel periodo).
La vocazione pedagogica e culturale di Mario Lodi inizia ad assumere una nuova forma quando, nel 1948, superato il concorso statale, diventa maestro di ruolo a San Giovanni in Croce (vi rimarrà per alcuni anni, fino al trasferimento a Vho nel 1956). Segue l’avvicinamento al «Movimento di cooperazione educativa» che si ispira alle idee del pedagogista francese Celestin Freinet. Da quel momento Mario Lodi farà dell’aula scolastica il luogo privilegiato nel quale praticare la giustizia e mettere a punto il suo ideale per cui «l’essere umano non è di proprietà di nessuno», schierandosi contro i vari tentativi di controllo e subordinazione da parte della società, non ultima la televisione che venne aspramente condannata da Lodi per il suo distogliere i bambini da altre attività formative.
La filosofia del maestro di Piadena ruota intorno al concetto di «uomo sociale», ossia un individuo che, messi da parte arrivismo, individualismo ed egoismo, sappia creare «una società nuova, fondata sulla collaborazione e sulla solidarietà degli uomini, invece che sulla competizione e sul profitto». Ed ecco che la scuola, nella costruzione di questo ideale, ha da fare la sua parte: durante le sue ore in classe, il maestro lascia che i bambini possano esprimersi liberamente e raccontare il loro quotidiano. È in questo modo - portando la vita dentro le quattro mura di un’aula - che i più piccoli possono confrontarsi su alcuni temi e imparare a condividere e a sostenere le proprie opinioni, in un percorso ideale che nasce in classe per arrivare alle assemblee popolari, quindi alla politica. «La tecnica della conversazione diveniva fondamentale - annota Lodi nella sua raccolta di saggi Cominciare dal bambino - discutere, difendere le proprie idee diventava la qualità di fondo dell’uomo sociale».
Portando la vita dentro le quattro mura di un’aula, i più piccoli possono confrontarsi su alcuni temi e imparare a condividere e a sostenere le proprie opinioni, in un percorso ideale che nasce in classe per arrivare alle assemblee popolari, quindi alla politica
Parlare, argomentare, esprimersi sono attività in grado di portare i bambini a prendere dimestichezza con le parole. Un’attenzione per la linguistica che lo porterà ad abbracciare il punto di vista di Tullio de Mauro, che auspicava per le nuove generazioni «un uso creativo» della lingua. I due collaborarono anche nella stesura di un manuale dal titolo Lingua e dialetti. L’impostazione che Lodi vuole conferire alla didattica, inoltre, si oppone allo stile autoritario della scuola tradizionale, alla logica del voto e della bocciatura («Io non boccio mai e ricevo quindi tutti gli anni gli “scarti di lavorazione” del collega che mi precede»). Obiettivo di Lodi con l’avvio di ogni anno scolastico è fare in modo che ciascun alunno possa raggiungere risultati sufficienti: tutti devono avere la possibilità di intraprendere un percorso di studi che sappia valorizzare i propri punti di forza. La scuola di Lodi, e di tutto il Movimento di Cooperazione educativa, non mette al centro la mera nozione, ma punta alla curiosità e all’interesse nei confronti della ricerca, la sola in grado di promuovere una mentalità critica. Scrive: «Il miglior metodo per capire che cos’è la democrazia è quello di incominciare a viverla dentro la scuola (e la famiglia) il più presto possibile, responsabilizzando i ragazzi a tutti i livelli, dando loro la possibilità di discutere e decidere riguardo la vita in comune».
Questo voler trasmettere il senso di comunità portò il maestro a conferire un’eccezionale apertura alle sue lezioni. La scuola si apriva al territorio e il territorio entrava nella scuola. Nelle pagine de Il paese sbagliato Lodi racconta dell’uscita di una sua classe nell’officina dove lavora il padre di un’alunna. Il titolare e un operaio accolgono la comitiva impaurita a causa dei rumori: in classe i bambini avranno modo di annotare le loro impressioni e tradurre i suoni dell’officina in poesia. L’aula diventa poi il luogo dove, partendo da quel che accade nelle case o in paese, i bambini si confrontano sul tema della morte, sulla vita delle piante, curano la corrispondenza con i coetanei (tra cui gli studenti di don Lorenzo Milani a Barbiana) e avanzano proposte per l’Amministrazione comunale. Ogni esperienza di vita si traduce poi in una pagina di diario o in un articolo di giornale. Il racconto diventa una costante nelle scuole di San Giovanni in Croce e di Vho. D’altronde, si riferiscono a quegli anni alcune delle opere più celebri: il già citato Il paese sbagliato e C’è speranza se questo accade a Vho.
Appartengono a questo periodo anche alcuni racconti per l’infanzia entrati nell’immaginario di molti bambini come Cipì, Bandiera e La Mongolfiera.
Lodi racconta dell’uscita di una sua classe nell’officina dove lavora il padre di un’alunna. Il titolare e un operaio accolgono la comitiva impaurita a causa dei rumori: in classe i bambini avranno modo di annotare le loro impressioni e tradurre i suoni dell’officina in poesia
L’esperienza scolastica di Lodi si conclude nel 1978 con il pensionamento. Il maestro di Piadena, però, non smetterà di dare il suo contributo alla società civile. Sarà promotore e collaboratore di diversi progetti dedicati all’infanzia, verrà insignito nel 1989 della laurea honoris causa in Pedagogia dall’Università di Bologna, fonderà a Drizzona la «Casa delle arti e del gioco», luogo che ancora oggi, dopo la sua scomparsa il 2 marzo 2014, ne ricorda l’impegno e svolge un ruolo attivo nel campo dell’educazione.
Molti di noi conservano un ricordo di Lodi legato ai primi anni di scuola. Il suo pensiero, però, si proponeva di andare oltre l’infanzia e riguardava tutti. «La scuola continua nella vita di ognuno come partecipazione alla vita del tutto umano e sociale: della natura di cui si è parte, dei grandi problemi che travagliano la specie umana, del futuro che insieme stiamo preparando». Sarebbe utile, molto utile, non dimenticare il lavoro di questo maestro e il suo esempio. Oggi, che avrebbe compiuto cent’anni, e nei giorni a venire.
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