Tra gli effetti del terremoto giudiziario seguito all’operazione Mondo di Mezzo, avviata nel dicembre 2014 dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Roma, va annoverato lo scioglimento del X Municipio - Ostia, deciso dal Consiglio dei Ministri il 27 agosto. Come spesso accade dopo un’inchiesta giudiziaria che suscita molto scalpore e che coinvolge l’amministrazione locale, il Prefetto ha nominato una commissione d’accesso agli atti per valutare l’esistenza di eventuali infiltrazioni mafiose. Nella sua relazione su Ostia il Prefetto è apparso categorico, riscontrando “una rilevante contiguità tra il presidente del X Municipio e i sodali di Mafia Capitale […] soprattutto in relazione all’affidamento del servizio di verde pubblico” (Ansa, 10 luglio 2015).

Per la prima volta in 25 anni la normativa sullo scioglimento delle amministrazioni per infiltrazioni mafiose colpisce un ente del governo sub-comunale. Come ha mostrato Vittorio Mete, la geografia dei decreti di scioglimento rappresenta una fonte privilegiata per l’analisi dei rapporti tra organizzazioni mafiose e circuiti politico-amministrativi. Con il caso di Ostia questa geografia si apre al quarto livello di governo. Roma è stata tra le prime grandi città a concedere, in modo compiuto, ampie deleghe ai suoi quindici Municipi; al decentramento comunale ha fatto seguito una certa enfasi partecipativa, individuando nel quartiere la sede più consona per la democrazia locale. Esperienze positive, in alcuni casi, come mostrano i volumi curati da Ernesto D’Albergo nel 2007 e da Massimo Paci nel 2008. Tutt’oggi i Municipi romani restano un’antenna delle istituzioni, anche sui temi della legalità e della trasparenza. Subito dopo la vittoria di Ignazio Marino, tutti i presidenti dei Municipi capitolini hanno sottoscritto il protocollo Municipi Senza Mafie, promosso dall’associazione antimafie daSud quale “impegno concreto su cinque temi strategici: appalti, corruzione, gioco d’azzardo, beni confiscati, formazione e istruzione”. Anche il presidente di Ostia, intervistato dai quotidiani locali, manifesta con orgoglio la sua adesione. In effetti Ostia ha una storia criminale peculiare, con una spiccata densità mafiosa ampiamente riconosciuta da almeno un trentennio. Ci sono gruppi autoctoni, ma anche propaggini di Cosa Nostra e Camorra radicati con interessi nel sistema delle concessioni e della vigilanza degli stabilimenti balneari, nel racket, nell’usura e nel traffico di stupefacenti. Insomma, non un quadro idilliaco, e il presidente del Municipio non sembra esserne venuto a capo: come denuncia la stessa daSud, a un anno di distanza il protocollo non viene recepito, rendendo vano l’impegno preso. Anzi, il mini-sindaco – secondo gli inquirenti – sarebbe stato coinvolto in un affare promosso da Mafia Capitale, per appalti relativi ai servizi di potatura delle piante e di pulizia delle spiagge.

La dinamica corruttiva che emerge dalle vicende svelate dalla magistratura è esemplificativa del modus operandi del sodalizio capitolino, centrato sull’interazione tra metodo corruttivo e metodo intimidatorio e su un approccio impudicamente bipartisan nei rapporti con la P.A.. Mafia Capitale – come osservato dal procuratore Pignatone – detiene una certa forza di intimidazione per i suoi tratti di originarietà, incarnati prevalentemente nella figura di Massimo Carminati, anima criminale e nera per il suo passato nell’eversione neofascista romana culminata nel fenomeno criminale della Banda della Magliana. Ma l’affermazione di Mafia Capitale si deve prevalentemente ai suoi tratti di originalità, che gli inquirenti situano nella spiccata capacità di infiltrarsi nella cd. “area grigia”. Riprendendo una formula avanzata da Rocco Sciarrone (si vedano in particolare i lavori da lui curati sui rapporti tra mafie ed economie locali), le ordinanze della Dda romana individuano la forza del clan proprio nella capacità di accumulare e impiegare “capitale istituzionale [che risiede in] un sistema di relazioni con uomini politici, apparati burocratici, soggetti appartenenti a vario titolo alle istituzioni”. A questo mondo si rivolge Salvatore Buzzi, anima imprenditoriale e rossa del sodalizio: la sua costellazione di cooperative conta milleduecento dipendenti e 60 milioni di fatturato l’anno.

Ecco, l’affare che coinvolge il primo cittadino di Ostia presenta tutti questi tratti: nasce dall’interazione di politici di diversi schieramenti, supervisionata da Carminati e finalizzata a incanalare fondi regionali verso le cooperative collegate a Buzzi. Su iniziativa di un consigliere regionale Pdl intraneo al sodalizio (unico politico indagato per 416bis), coadiuvato da dirigenti di diversi dipartimenti della P.A., vengono orientate risorse regionali verso il Comune di Roma. Successivamente, a livello comunale, i consiglieri Pd predispongono tutti gli atti idonei a destinare tali fondi verso il X Municipio di Ostia. Perché proprio Ostia? Perché è presidiato da amministratori che Buzzi ritiene compiacenti. Nelle intercettazioni si legge: “c’ha fatto avere un sacco de soldi sul Municipio de Ostia...e il Municipio de Ostia stanno a prepara’ gli atti per darli tutti a noi.. […] ha dato 1 milione di euro al Comune di Ostia […] per il verde […] deve ritornà tutto a noi perché una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso...quando il Presidente del Municipio che io c’ero andato a parlà...sta facendo gli atti per darceli tutti a noi”. In cambio degli atti, il presidente avrebbe ricevuto circa 30mila euro. Nel marzo 2015, prima ancora del mandato di arresto, il minisindaco si dimette sostenendo che “senza aiuti sul litorale non riusciamo a combattere contro le bande che si sono infiltrate dappertutto”. Questa è tuttora la sua linea difensiva e vale assolutamente il principio della presunzione di innocenza.

Il Mondo di Mezzo apre una serie di rompicapo in merito, prima di tutto, all’eventuale riconoscimento di una mafia romana autoctona e all’efficacia del 416bis per reprimere le commistioni tra criminalità politico-amministrativa e criminalità organizzata. Così come chiama in causa l’utilizzo spurio dello strumento cooperativo a fini criminosi (sul punto si veda il recente contributo di Paolo Pombeni). Tra i tanti, meritano una breve riflessione altri due elementi che attengono alla politica (e alle politiche). Sul primo fronte: così come registrato in altre città italiane (si pensi ai lavori di Luciano Brancaccio sul ceto politico rionale a Napoli) anche nel quarto livello di governo si insinuano gli effetti perversi della personalizzazione: una competizione elettorale fatta di eletti privi di appartenenza, che ridefiniscono, all’occorrenza, i propri riferimenti politici. Anche nel livello di governo sub-comunale si è dunque sedimentato un ceto autoreferenziale, stabile e tendenzialmente predisposto all’autoriproduzione, che veicola un’interazione elettore/eletto centrata sullo scambio elettorale. Un quadro del genere pone serie ipoteche sugli entusiasmi partecipativi, sviliti in meri sostegni retorici per arginare la distanza tra cittadini e istituzioni che intacca persino gli enti più prossimi al territorio, primo fronte istituzionale per l’esercizio della pratica democratica. Sul secondo fronte: le politiche urbane appaiono fortemente influenzate da una commistione tra amministrazione, criminalità organizzata e imprenditori della cooperazione, che veicola risorse pubbliche verso quei municipi i cui rappresentanti sono disposti a vendere le proprie funzioni. Inevitabile prefigurare gli effetti perversi sulla capacità dei Municipi di produrre beni collettivi in settori cruciali per la qualità della vita come la gestione dei rifiuti e del verde, l’accoglienza dei migranti, i trasporti e l’arredo urbano.