Nei pochi giorni (ma per alcuni è stata piuttosto una manciata d’ore vertiginose) che hanno separato la notizia del cruento incidente occorso a Luca Serianni da quella della sua morte, molti di coloro che l’hanno conosciuto sono tornati ai ricordi più vividi che si affacciavano alla memoria. Alcuni li hanno fissati scrivendoli o raccontandoli frammentariamente, nel timore che il poco tempo che rimaneva – come si è capito fin da subito – fosse un varco ancora socchiuso che stava per serrarsi. Una corsa contro il tempo, come quella che in molti hanno spesso fatto a Roma, verso la Sapienza, per raggiungere finché c’era ancora posto in aula le lezioni di storia della lingua italiana che, sovente concluse da un applauso, sono state per quasi quattro decenni il centro radiante della vita e dell’opera di Serianni.
La sua popolarità era a prima vista difficilmente conciliabile con l’imagine di uno studioso serio e compassato, poco incline alla ricerca di un successo mediatico ammiccante e modaiolo
L’annuncio della sua scomparsa ha suscitato in Italia sensazioni e reazioni del tutto inusuali per un professore universitario, massime d’una disciplina per solito lontana dai circuiti più spettacolari e in sé votata a un’eco modesta, apparentemente inadatta a far breccia nelle emozioni del vasto pubblico delle persone ben istruite ma prive di un’inclinazione tecnica o di una specializzazione puntuale. La sua popolarità era a prima vista difficilmente conciliabile con l’imagine di uno studioso serio e compassato, poco incline alla ricerca di un successo mediatico ammiccante e modaiolo. Indisponibile a eccessi d’informalità, e però dotato di un’affabilità così naturale e insieme potente da renderlo – per paradosso – familiare persino a chi non lo aveva mai incontrato, e lo aveva conosciuto solo leggendolo o ascoltandolo da lontano (in molti se ne sono resi conto e lo hanno osservato con stupore proprio nei suoi ultimi giorni).
È un riflesso, appunto, della sua capacità di comunicazione e, come si direbbe con parola oggi invalsa, di un’empatia fuori dal comune; un riflesso della dedizione incondizionata all’insegnamento, cui egli assegnava l’importanza di una missione vitale che svolgeva con la stessa cattivante efficacia quando aveva di fronte centinaia di ascoltatori o quando era seduto a un tavolo con pochi; sia che parlasse con i suoi studenti di Lettere, sia che si rivolgesse – come fece migliaia di volte – a una platea d’insegnanti di scuola desiderosi d’aggiornarsi.
Tutto ciò sarebbe stato forse altrettanto vero s’egli si fosse dedicato a qualsiasi altra disciplina, ma acquisiva un’efficacia quadratica grazie alla lingua italiana che era strumento e insieme oggetto di ciò che spiegava: elemento, cioè, che convalidava la solidità delle sue lezioni sull’italiano nel momento stesso in cui le presentava in un italiano inimitabile per autorevolezza e freschezza.
In alcuni dei suoi libri emergono chiaramente le ragioni della capacità di influenzare così a fondo il pubblico delle persone di cultura, modificandone anche alcune inveterate abitudini scolastiche. La sua grammatica (uscita per la prima volta nel 1988) adotta una impostazione tutta tradizionale e la rivisita in modo ragionevole e misurato, perché documentato, coerente. Essa ha saputo superare la diffusione e il gradimento di qualsiasi altra grammatica, scolastica o non scolastica, ed è divenuta un punto di riferimento dialettico anche per chi non ne condivide o ne condivide solo in parte i presupposti teorici peraltro dichiarati con nettezza e assunti senz’alcuna oltranza: quelli di un’opera normativa, pensata per guidare e dirigere utenti non professionali ma avvertiti. Serianni credeva fermamente nell’importanza della norma grammaticale, intesa non come legge immutabile ma come pratica sanzione dell’uso, continuamente rinegoziata e storicamente determinata. Riprendendo e declinando in modo parzialmente nuovo il concetto di norma fissato da Eugenio Coseriu in opposizione a quello di sistema, egli stesso la paragonò al comune senso del pudore: una nozione giuridica evolutiva, che coinvolge più ancora gli usi che le forme di una lingua nella comunità.
Sul successo di quella grammatica – e delle opere che le sorsero idealmente attorno, dalle versioni adattate o ampliate ai vocabolari, dalla mirabile Prima lezione di grammatica (2006) ai molti scritti sull’insegnamento dell’italiano a scuola – si costruiscono le basi dell’autorevolezza di Serianni presso un pubblico fatto di scolari e di studenti, di insegnanti e di scriventi per lavoro, di scrittori e di lettori d’ogni tipo. Un pubblico che include quello più ristretto di linguisti e filologi, presso il quale Serianni andava tracciando, a cavaliere dei due secoli, un percorso parallelo, non meno rilevante.
Sul piano scientifico, gli interessi del Serianni studioso, inscindibili da quelli dell’insegnante degli italiani, non solo coprono l’intero arco della storia della lingua, ma lo affrontano con metodo variegato e sempre personalissimo, estendendo e ridisegnando il perimetro di una disciplina ancora giovane che le due generazioni di storici della lingua italiana a lui anteriori (Serianni aveva tredici anni quando uscì la fondativa Storia di Bruno Migliorini) avevano cominciato a definire. Ovunque siano giunti gli studi di Serianni, la Storia della lingua italiana si è accasata, tanto che questa disciplina identifica oggi di fatto i propri dominî (cronologia, metodi, problemi e taglio del lavoro) con i campi da lui visitati.
L’agenda della storia della lingua nella sua prassi di ricerca attuale è quasi interamente riconducibile al lavoro svolto da Serianni a partire dalla fine degli anni Settanta: lo studio dei volgari antichi italiani; la grammatica storica dell’italiano; la questione della lingua; la grammaticografia e la lessicografia; l’italiano letterario e quello degli scriventi colti; l’articolazione interna della lingua e i linguaggi settoriali; i rapporti con la filologia italiana (intesa come trattamento e comprensione profonda dei testi); l’applicazione all’italiano di teorie e dottrine generali, come la linguistica testuale; i rapporti tra linguistica e insegnamento scolastico; gli usi sociali della lingua, soprattutto di quella contemporanea. Sono direzioni esplorate tutte da Serianni e da lui indicate a una quantità d’allievi diretti o indiretti superiore a quella di qualsiasi altro collega, presente o passato. Egli è in effetti l’ultimo esempio d’un tipo di maestri che forse solo il secolo scorso ha potuto produrre per una favorevole congiunzione di fattori scientifici, politico-organizzativi e di struttura sociale.
Tra gli architetti, negli scorsi anni Novanta, di una corale Storia della lingua italiana pubblicata in tre tomi da Einaudi, Serianni rappresenta nel modo più compiuto una fase degli studi in cui la disciplina fondata da pionieri nati nell’Ottocento, come Bruno Migliorini e Giacomo Devoto, ha conosciuto una dilatazione che con termine medico si direbbe diastolica. Si è espansa, ha raggiunto in pochi decenni una complessità non inferiore a quella di materie dal pedigree universitario ben più antico. Si è ramificata in scuole distinte e complementari, conoscendo un dibattito interno stimolante, mai scaduto nella polemica fine a sé stessa o nella gazzarra academica, da cui gli storici della lingua sono rimasti perlopiù miracolosamente indenni. In questo clima avevano potuto vivere i discendenti della seconda generazione, quella dei nati nel primo quarto del secolo, da Maria Corti a Gianfranco Folena, da Arrigo Castellani a Ignazio Baldelli, dei quali Serianni raccolse l’eredità.
Gli schemi della medicina – di cui Serianni, figlio d’un medico, era appassionato conoscitore: è attraversando questo campo, tra l’altro, ch’egli ha introdotto categorie linguistiche come quelle di tecnicismo collaterale e tecnicismo specifico – potrebbero far imaginare ora una fase di sistole, di contrazione. Di semplificazione anche, se il lascito di Serianni dovesse risolversi in una stagione di epigoni. Mai come in questo momento, forse, la storia della lingua italiana è esposta ai rischi di una crisi, che potrebbe essere il paradossale portato dell’impetuoso sviluppo che essa ha conosciuto grazie al magistero suo e di studiosi nati, come lui, entro la metà del Novecento.
La vita civile e culturale italiana – di cui Serianni è stato più che un protagonista, un custode e uno stimolatore incessante – chiedono ora di proseguire il lavoro con l’operosità che è stata sua
Compito non solo ideale, ma anche concreto e praticamente urgente delle nuove leve di ricercatori è dunque continuare a spostare i confini della disciplina, senza cedere né alla leggerezza di nuove mode, né alla tentazione della nostalgia celebrativa, o di un inerte culto della memoria. Se, come è stato scritto, la storia delle lingue è inevitabilmente un’operazione teleologica, orientata dai percorsi delle comunità dei parlanti – e degli scriventi –, il seguito della storia d’Italia e gli avanzamenti della linguistica dovranno ora aprire ulteriori strade e nuove prospettive. Per i bilanci retrospettivi ci sarà tempo: la vita civile e culturale italiana – di cui Serianni è stato più che un protagonista, un custode e uno stimolatore incessante – chiedono ora di proseguire il lavoro con l’operosità che è stata sua.
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