È appena uscito per le edizioni de «Il Sole 24 Ore» Le madri della Costituzione, un volume di Eliana Di Caro che raccoglie ventuno sintetiche biografie delle donne che presero parte all’Assemblea costituente. Gli studi di diritto costituzionale e storia contemporanea hanno scandagliato l’ingresso delle donne nella sfera pubblica (A. Rossi Doria, Diventare cittadine. Il voto delle donne in Italia, Giunti, 1996 e G. Galeotti, Storia del voto alle donne in Italia, Biblink, 2006) e i lavori preparatori della Costituzione, giungendo ad analizzare il contributo delle costituenti alla redazione della Carta (Fondazione Nilde Iotti, L’Italia delle donne. Settant’anni di lotte e di conquiste, Donzelli, 2018; B. Pezzini e A. Lorenzetti (a cura di), 70 anni dopo tra uguaglianza e differenza. Una riflessione sull’impatto del genere nella Costituzione e nel costituzionalismo, Giappichelli, 2019; M. D’Amico, Una parità ambigua, Cortina, 2020), ma chi fossero le elette nella prima Assemblea rappresentativa dell’Italia repubblicana è noto a pochi.
Alcune foto individuali e di gruppo delle deputate del 1946 sono state scattate da Patrizia Gabrielli (Il primo voto, Castelvecchi, 2016) e da Maria Teresa Antonia Morelli (Le donne della costituente, Laterza, 2007). L'età media era di quarant’anni; la più giovane, Teresa Mattei, ne aveva 25, la più anziana, Lina Merlin, 59. Sei erano nate alla fine dell’Ottocento e le altre all’inizio del Novecento, uno spartiacque che segna la compresenza di due generazioni: quella che si era formata nell’Italia prefascista e aveva iniziato a militare nei partiti nati a cavallo tra Otto e Novecento, e quella che giunse all’impegno politico nel corso della Seconda guerra mondiale, assecondando l’urgenza di combattere il regime. In linea con le divisioni ideologiche del tempo, la maggior parte delle costituenti apparteneva alla Democrazia cristiana e al Partito comunista, ciascuno dei quali contava nove deputate, c’erano poi due socialiste e un’esponente del Fronte dell’uomo qualunque. Nella provenienza geografica le regioni settentrionali e quelle dell’Italia centrale quasi si equivalgono (rispettivamente con nove e otto elette), seguono il Sud e le isole (con tre). Nonostante la forte differenziazione sociale il numero di laureate – dodici – era sensibilmente alto, se confrontato ai dati dell’Italia dell’epoca. In parte condiviso sarà anche il destino politico: salvo per le due che termineranno nel 1948 la propria esperienza in Parlamento (Teresa Mattei e Ottavia Penna Buscemi), le altre saranno rielette per una, due o più legislature. La carriera politica più longeva sarà quella di Nilde Iotti, eletta fino alla XIII legislatura e presidente della Camera dei deputati dal 1979 al 1992.
Il libro della Di Caro racconta le vite di donne pioniere della partecipazione politica attiva in un Paese che riconobbe il suffragio universale solo tra nel 1945-1946, e al contempo espressione dei profondi cambiamenti che avevano già investito la società, con il coinvolgimento delle donne nel mondo del lavoro e nella vita pubblica
Il libro della Di Caro racconta le vite di ventuno donne del secolo scorso, pioniere della partecipazione politica attiva in un Paese che riconobbe il suffragio universale solo tra il 1945 e il 1946, e al contempo espressione dei profondi cambiamenti che avevano già investito la società italiana, con il coinvolgimento delle donne nel mondo del lavoro e nella vita pubblica. Il comune schema narrativo – la famiglia di origine e quella di approdo, la formazione, l’impegno politico, l’ingresso in Costituente, il prosieguo della vita pubblica e il ricordo di un familiare – consente l’emersione di almeno cinque linee di continuità: la centralità dell’istruzione, la militanza antifascista, la sensibilità per i diritti delle donne, la proiezione europea e il legame tra famiglia e politica.
C’è chi studia in conseguenza della militanza politica, nelle scuole di partito (Teresa Noce) o negli anni del carcere (Adele Bei), chi avendo pochi mezzi termina faticosamente le scuole e giunge all’Università (Nilde Iotti), chi – sostenuta da una tradizione familiare – può scegliere la sede universitaria ritenuta migliore (Maria De Unterrichter Jervolino). A dispetto dall’estrazione sociale lo studio ricorre come elemento cruciale del percorso di vita, strumento di crescita e di emancipazione, al quale anche chi ha meno mezzi avverte l’esigenza di dedicarsi, e prosegue per molte con la scelta dell’insegnamento di professione (Bianca Bianchi e Laura Bianchini).
La maggior parte delle costituenti si è schierata contro il regime fascista, una scelta che ha portato molte a prendere attivamente parte alla Resistenza, e che per alcune ha significato affrontare il carcere, il confino o l’esilio. Anche in questo caso traiettorie di vite diverse finiscono per convergere, mostrando la radice antifascista della Costituzione italiana.
Per tutte l’impegno in politica, prima e dopo il 1946, è segnato dall’attenzione per la condizione femminile, centrale anche nell’associazionismo di quegli anni, basti ricordare che a sinistra dello schieramento politico nascono prima i Gruppi di difesa della donna (1943) e poi l’Unione donne italiane (1945), mentre risale al 1944 la creazione del Centro italiano femminile (Cif) che raccoglie le formazioni femminili di area cattolica. Lo sguardo sui diritti delle donne è organico e riguarda il lavoro, la politica e la famiglia, temi sui quali in Assemblea costituente si sviluppa un ampio dibattito confluito nella formulazione degli articoli 29, 31, 37 e 51 della Carta. La riforma del diritto di famiglia improntata sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, il progressivo superamento di ogni distinzione tra figli nati fuori e dentro il matrimonio, la sequenza di leggi a sostegno delle lavoratrici madri e della maternità, l’apertura alle donne della carriera prefettizia e della magistratura, l’introduzione di strumenti volti a garantire un’equilibrata composizione degli organi rappresentativi sono tutti passaggi intimamente collegati al principio di eguaglianza sancito dalla Carta e al sapiente coordinamento orizzontale che le costituenti riuscirono a realizzare per declinarlo nell’ambito dei rapporti etico-sociali, economici e politici.
Un profilo inatteso è la dimensione europea che ricorre in molte biografie. Non c’è solo chi è nata fuori dall’Italia (Nadia Gallico Spano), ma anche chi ha vissuto il travaglio derivante dalla provenienza da un territorio conteso e dall’appartenenza a due culture (Elisabetta Conci), chi all’estero ha trovato rifugio per fuggire il regime sfruttando la rete internazionale del partito (Teresa Noce), chi vi ha combattuto sposando la causa della Guerra civile spagnola (Maria Montagnana ed Elettra Pollastrini), chi vi ha lavorato (Maria Agamben Federici). Nel complesso, le storie delle costituenti raccontano un’Italia che ben prima dei processi d’integrazione europea che sarebbero nati dopo la Seconda guerra mondiale è uscita dai confini del proprio Paese.
Nel complesso, le storie delle costituenti raccontano un’Italia che ben prima dei processi d’integrazione europea che sarebbero nati dopo la Seconda guerra mondiale è uscita dai confini del proprio Paese
Il rapporto tra famiglia e politica abbraccia una pluralità di considerazioni. La maggior parte delle costituenti si muove nel solco politico della famiglia di origine; la maggiora parte di esse è sposata con figli, a dimostrazione che l’impegno politico è oramai alla portata di tutte, anche delle madri di famiglia, e ben cinque condividono l'esperienza costituente con il coniuge. Si tratta di Rita Montagnana e Palmiro Togliatti, Teresa Noce e Luigi Longo, Angela Guidi e Mario Cingolani, Maria De Unterrichter e Angelo Raffaele Jervolino, Nadia Gallico e Velio Spano, ai quali potremmo aggiungere anche Adele Bei e Domenico Ciufoli, che tuttavia giungono all'elezione già consensualmente separati. Questa coincidenza è legata a rapporti personali che nascono in conseguenza della militanza politica e si intrecciano con quella, ma forse anche a una novità quale l’ingresso delle donne nelle istituzioni «attutita» dalla presenza dei mariti. Nei fatti, la prossimità tra pubblico e privato non pare aver sempre giovato al percorso politico delle costituenti. I partiti, inoltre, assumono le vesti di famiglie putative, e in quanto tali offrono formazione e protezione, ma non risparmiano ingerenze nella vita affettiva e sanzioni verso chi sceglie di seguire la strada dell’autonomia (Lina Merlin e Teresa Mattei). Sullo sfondo, infine, emerge la difficoltà di conciliare cura della famiglia e impegno politico, talvolta implicitamente nel racconto delle lunghe separazioni dai figli, talvolta espressamente nei ricordi filiali divisi tra il desiderio di una maggiore presenza e l’orgoglio per il contributo materno a un passaggio decisivo della vita del Paese.
Le vite delle costituenti restituiscono il fermento democratico che era presente in Italia ben prima del 1946 e che ha reso possibile la nascita della Repubblica, raccontano le coordinate politiche dell’Italia che verrà, e lo fa a suo modo anche la presenza di un’eletta del Fronte dell’uomo qualunque, ma soprattutto testimoniano un’emancipazione femminile oramai in atto e il valore aggiunto di una presenza istituzionale – prima di allora inedita – che riesce ai veicolare nei luoghi della rappresentanza la visione del mondo di chi fino ad allora ne era escluso.
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