Mentre stavo leggendo Le fragili alleanze. Militanti politici e classi popolari a Napoli (1962-1976) di Luca Rossomando (Monitor edizioni, 2022), è giunta la notizia della scomparsa di Percy Allum, lo storico britannico autore di Potere e società a Napoli nel dopoguerra (Einaudi, 1975), un libro celebre che scavò nelle dinamiche della città partenopea da Lauro ai Gava: classi sociali, clientelismo, ruolo dei grandi partiti. Allora un grande editore capiva la necessità politica di un libro storico di intervento, anche perché quel libro aveva un mercato, oggi la cosa appare molto più difficile.
Rossomando non è uno storico di professione, non ha un posto in accademia, ma è piuttosto un animatore sociale e culturale, oltre a esercitare il mestiere di educatore. Classe 1971, è il punto di riferimento delle attività editoriali di Napoli Monitor (la rivista "Lo stato della città", la collana di libri, il sito), ma in questo caso si è fatto storico a tutti gli effetti per ricostruire il lavoro di alcune minoranze attive in città che si formarono in quegli anni.
Fu un’epoca in cui si poteva ancora sperare per Napoli un destino diverso da quello attuale, in cui non ci si crogiolava nel mito della propria eccezionalità. L’autore ha fatto ricorso, con molta sapienza, a quasi una cinquantina di testimonianze orali che sono state necessarie per integrare una bibliografia piuttosto scarna, insieme agli scritti militanti di Fabrizia Ramondino e del gruppo napoletano di Lotta Continua (Carla Melazzini, Cesare Moreno, Goffredo Fofi, che fu a Napoli per alcuni anni), unito dall’esperienza della Mensa per i bambini proletari. Il periodo considerato – dal 1962 al 1976 – è quello in cui si svuota parzialmente il centro storico (il più grande d’Europa), nascono nuovi quartieri periferici, si installano insediamenti industriali come l’Alfasud a Pomigliano d’Arco, in cui l’università diventa di massa. In mezzo c’è il fatidico Sessantotto, che per Napoli non fu tuttavia una data periodizzante, anche se i suoi effetti si prolungarono nel decennio successivo come avvenne, con modalità diverse, nelle altre grandi città d’Italia.
Il tema che attraversa il libro è il tentativo di rendere partecipi alla vita politica, o meglio, alla polis, chi ne era stato fino a quel momento escluso: sottoproletari, una parte del proletariato, donne e bambini
Il tema che attraversa il libro è il tentativo di queste minoranze di rendere partecipi alla vita politica, o meglio, alla polis, chi ne era stato fino a quel momento escluso: sottoproletari, una parte del proletariato, donne e bambini. Il volume ha una necessaria premessa storica: gli anni dell’immediato dopoguerra, quando la città è in condizioni disperate e il Pci, che a Napoli ha avuto in Giorgio Amendola il suo leader di riferimento, organizza il Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli, accolti in genere da ospitali famiglie di compagni emiliani. È la prima iniziativa in cui il Pci esercita una funzione di sussidiarietà allo Stato.
Togliatti, che nel 1944 sbarcò a Napoli dall’Urss, esercitò un grande fascino sui giovani intellettuali in città (tra questi, ancora tra noi, Giorgio Napolitano e Raffaele La Capria) e i loro stati d’animo sono narrati in due libri bellissimi come Il mare non bagna Napoli di Annamaria Ortese – segnatamente l’ultimo capitolo – e Mistero Napoletano di Ermanno Rea. Lo stesso Rea ha dedicato un libretto, Il caso Piegari, ai giovani intellettuali del Gruppo Gramsci che consideravano la trasformazione dello Stato secondo gli insegnamenti di Lenin il fulcro del loro impegno, non assecondando così le indicazioni che arrivavano da Roma di insistere sulla Questione meridionale come impegno più urgente. L’autore rintraccia i fermenti ideologici di quel gruppo in alcuni esponenti della sinistra meno allineata degli anni Sessanta.
Il libro è diviso in cinque parti (Baraccati, Studenti, Bambini, Operai, Disoccupati) e segue un andamento cronologico, oltre ad essere arricchito da fotografie d’epoca.
La prima forma di intervento sociale avviene, nei primi anni Sessanta da parte di alcuni sacerdoti coraggiosi come Mario Borrelli, "il prete degli scugnizzi", affiancati dal volontariato cattolico. Agiscono tra i baraccati che provengono dallo svuotamento del centro storico, riempiendo il vuoto della politica che si ricordava di quei cittadini soltanto in periodo elettorale. Le celebri abitudini di Achille Lauro, il sindaco che segnò gli anni Cinquanta, furono perfezionate dalla Dc nel decennio seguente, con la pratica dell’assegnazione delle case popolari. Anche il Pci, il principale partito di opposizione, si limitava a svolgere il lavoro politico nell’ambito circoscritto delle sezioni. In questo vuoto nacquero iniziative dal basso, spesso di impronta cattolica, che presero una colorazione politica con la contestazione alla guerra del Vietnam da parte dei gruppi pacifisti legati alla figura di Aldo Capitini e di una piccola parte di studenti universitari. Dopo il Sessantotto, le forme di lotta si radicalizzarono con l’occupazione degli alloggi prima delle assegnazioni comunali. Le testimonianze raccolte dall’autore tra chi frequentò l’Università Federico II tra gli anni Sessanta e i Settanta segnalano soprattutto un’occasione mancata. Chi fece politica a livello universitario spesso lasciò poi la città, proseguendo i propri studi e la propria carriera all’estero. La possibilità di un ricambio di classe dirigente, con l’inserimento di qualcuno che non provenisse dalle solite famiglie note in città, dalla borghesia delle professioni, dalla gerarchia dei partiti, allora ferrea, fu perduta.
Nel frattempo nacquero altre esperienze. In anticipo sui tempi fu la parabola di Fabrizia Ramondino (1936-2008), che nel 1962 fu tra le fondatrici dell’Associazione Risveglio Napoli. La scrittrice ha raccontato questa esperienza – “Abbiamo fiducia nelle forze interiori delle persone”, fu l’assunto da cui si partì – ne L’isola dei bambini (1998), un piccolo, bellissimo libro che mette in luce lo spirito pionieristico che animava quel gruppo. Più avanti, come forma di autoeducazione, furono letti i testi di Don Milani, Paulo Freire, Ivan Illich. Il momento culminante delle iniziative dedicate all’infanzia è stata la Mensa dei bambini proletari nel quartiere centrale di Montesanto, che si aggregò intorno al gruppo napoletano di Lotta continua (Geppino Fiorenza, Cesare Moreno, Carla Melazzini, la stessa Ramondino, Goffredo Fofi). Attraverso di essa viene fatto un lavoro politico sul quartiere, nasce il doposcuola. L’idea è che i bambini sono il nucleo della nuova società. Un po’ di quella atmosfera, che durò per tutti gli anni Settanta, si è riversata nel film L’intrusa (2017) di Leonardo Di Costanzo. In quel decennio ci fu l’elezione di Maurizio Valenzi a sindaco di Napoli (1975), ma il dialogo di una giunta che aveva suscitato grandi attese con le esperienze più libertarie che provenivano dalla società civile si interruppe presto. Anche il gruppo della Mensa di Montesanto, con l’affermazione di un femminismo più militante, conobbe delle spaccature, ma soprattutto, con gli anni Ottanta, la figura dell’assistente sociale si professionalizzò.
Anche se lavorare in fabbrica, con la certezza di uno stipendio, restava un miraggio per chi proveniva dalle insicurezze della campagna, a Pomigliano le cose cominciarono presto ad andar male: accuse reciproche tra operai e dirigenti nella gestione quotidiana della fabbrica
La fabbrica dell’Alfasud di Pomigliano d’Arco contribuì a cambiare il tessuto sociale dell’area napoletana. Erano passati poco meno di vent’anni dall’insediamento della Olivetti di Pozzuoli. Si trattava ora di aprire un’azienda di proprietà dello Stato, dove l’assunzione avveniva molto più facilmente attraverso la raccomandazione di un politico. Lavorare in fabbrica, con la certezza di uno stipendio, restava un miraggio per chi proveniva dalle insicurezze della campagna. Tuttavia, a Pomigliano le cose cominciarono presto ad andar male: accuse reciproche tra operai e dirigenti nella gestione quotidiana della fabbrica. Proprio il giorno dell’inaugurazione del nuovo impianto il giovane operaio Antimo Manzo accusò tutta l’operazione di “colonialismo interno” davanti al presidente del Consiglio Emilio Colombo. Di fronte alle accuse di scarsa produttività, di guasti tecnici, i sindacati e il Pci proposero alla proprietà la cogestione della fabbrica che, naturalmente, fu respinta. L’industrializzazione dell’area napoletana fu messa sotto la lente di ingrandimento dal Centro di coordinamento campano che fece dell’inchiesta sociale – “parlare e ascoltare” – uno strumento di lavoro politico. Tra gli animatori del Centro c’erano Giovanni Mottura, proveniente dai torinesi "Quaderni Rossi", Enrico Pugliese, formatosi alla Facoltà di Agraria di Portici, legata al nome di Manlio Rossi-Doria e con cui creò un collegamento, e Fabrizia Ramondino. La stessa Ramondino dedicò un libro, Napoli. I disoccupati organizzati (1977), a un fenomeno che non ebbe riscontri in altre città italiane.
Nati a seguito dell’emergenza sanitaria legata al colera (autunno 1973), momento in cui la rivolta popolare si saldò ai gruppi extraparlamentari, i disoccupati seguirono due strade. Una piccola parte contribuì alla nascita dei Nap (Nuclei armati proletari), l’unico gruppo terroristico di origine meridionale; la stragrande maggioranza si costituì nei Disoccupati organizzati, un mix di analfabeti, semiscolarizzati e forza lavoro intellettuale non occupata che formò una forza sociale mettendo sotto accusa il lavoro nero e le logiche clientelari che ormai riguardavano, sempre più indistintamente, tutti i partiti. Il Pci li accusa di "plebeismo", mentre i sindacati, dopo un primo momento, se ne distaccarono perché rifiutavano le tradizionali dialettiche del potere. I Disoccupati Organizzati inventarono forme di lotte creative, ma finirono anch’essi per istituzionalizzarsi. Rossomando chiude il libro con il 1976, l’anno in cui nelle elezioni politiche il Pci quasi appaiò la Dc, e che a Napoli vide la giunta Valenzi, che aveva inizialmente suscitato tante speranze, ripiegarsi un po’ alla volta su quello che, a livello nazionale, venne definito "consociativismo".
In realtà la chiusura del volume è affidata all’analisi di due libri fuori dal coro che l’autore molto opportunamente recupera: il sorprendente Lettere a Louis Althusser dall’interno del Pci (1969) di Maria Antonietta Macciocchi, resoconto della campagna elettorale delle politiche 1968, e La fontana rotta di Thomas Belmonte, giovane antropologo americano che soggiornò a Napoli tra gli anni Settanta e gli Ottanta. Macciocchi, che il Pci aveva paracadutato da Parigi a Napoli, dopo i primi comizi accolti nell’indifferenza, capì che bisognava scendere dal palco e raccogliere le voci dei presenti, soprattutto delle donne, le loro istanze, e farsene portavoce. È un cambio di paradigma, una rivoluzione copernicana per un partito che fino ad allora aveva fatto opera pedagogica "dall’alto". Macciocchi viene poi eletta deputata ma si ritrova presto isolata all’interno del partito, anche per una infatuazione per la Cina di Mao, e non verrà ricandidata nelle successive elezioni.
Altrettanto originale è il libro, di recente ripubblicato da Einaudi, scritto da Belmonte, che, nel suo soggiorno, vive accanto a una famiglia delle classi popolari. Il suo è un caso di osservazione partecipata: il padre e i figli sono temporaneamente occupati, mentre è la madre a dare un assetto stabile al nucleo. Belmonte non riscontra tuttavia un matriarcato, piuttosto osserva che il popolo di Napoli non è toccato dalla politica, al massimo è partecipa di un patriottismo civico (viene in mente il tifo per il Calcio Napoli). Quando Belmonte torna, nel 1983, gli effetti del terremoto hanno cambiato la fisionomia della città, la diffusione della droga ha distrutto quel mondo, mentre la camorra ha fatto un salto di qualità.
Quello che mi pare accomuni tutte le categorie prese in considerazione da Rossomando è la presenza dei vari gruppi sul territorio, l’azione nei diversi contesti della città, a differenza della politica, sempre più rinchiusa nelle proprie stanze. Sono esempi che possono essere seguiti ancora oggi? Il lavoro di Napoli Monitor ne è una risposta. Questo bel libro, destinato a restare, gli offre una consapevolezza storica.
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