Lotta all’evasione: quante volte è stata invocata come soluzione finale ai problemi dell’Italia, quante volte è stata utilizzata per fornire fittizie coperture a provvedimenti magari giusti, ma costosi? La lettura di Colpevoli evasioni (Università Bocconi Editore, 2017) di Vincenzo Visco, è un ottimo esercizio per separare il grano dal loglio su questo tema.

Perché colpevoli? Certo, evadere è una colpa, una violazione della legge. Ma credo che l’autore si riferisca non tanto all’evasore, quanto ai governi responsabili delle politiche tributarie che non hanno saputo o voluto mettere in atto con intelligenza, onestà e determinazione le azioni necessarie per risolvere il problema. Non a caso il sottotitolo è Le tasse come questione non solo tecnica. Un volume impegnativo ma molto chiaro, diviso in sei densi capitoli, che merita lo sforzo di chi non sa troppo di fisco e che offre importanti proposte e motivi di riflessione anche agli esperti.

Nel primo capitolo, Evasione e teoria economica, si richiamano importanti concetti di base. L’evasione

deriva direttamente dalla natura dell’attività pubblica nell’economia, dalle indivisibilità connesse con la produzione di beni e servizi pubblici, dalla conseguente dissociazione tra benefici derivanti dalle attività pubbliche (garantiti comunque in tutto o in parte a tutti i cittadini) e i costi necessari al loro finanziamento (imposte). Tale dissociazione opera sia producendo una consapevolezza limitata della effettiva utilità dei servizi, sia perché fornisce l’occasione e l’incentivo per tentare di scaricare su altri il costo collettivo.

Ciò vale soprattutto per un Paese, come l’Italia, con scarso senso civico, nella cui struttura produttiva hanno un peso eccessivo microimprese, piccolo commercio, lavoro autonomo, spesso precario, e dotato di un’amministrazione pubblica poco efficiente e dinamica. Nel capitolo si espone anche quanto il mainstream economico, fondato sull’assioma di egoistica razionalità del cittadino, ha cercato di dire sul tema. Forse poco, ma vale tuttavia la pena di ricordarlo: l’evasione dipende dalla probabilità di essere scoperti e dalla severità delle pene.

L’economia sommersa, strettamente connessa all’evasione, è oggetto del secondo capitolo. Qui si spiegano in modo chiaro i metodi utilizzati per le stime, incerte e difficili, ma che portano a identificare con sicurezza il poco invidiabile primato del nostro Paese nella diffusione del fenomeno: stime molto alte quelle fatte da studiosi e istituzioni internazionali (circa il 25% del Pil), meno penalizzanti quelle proposte dall’Istat (12%), comunque più elevate di quelle relative ai maggiori Paesi sviluppati.

Chi, quanto, dove si evade è il cuore del terzo capitolo, che contiene un resoconto molto accurato delle tecniche di stima. La sintesi della letteratura sul tema è molto chiara. Dice Visco:

Sull’evasione si sa praticamente tutto, ammontare, distribuzione territoriale, chi evade di più e di meno: non evadono i redditi di capitale, interamente tracciati e tassati alla fonte attraverso il sistema bancario, ma soggetti ad aliquote ridotte; poco i lavoratori dipendenti e pensionati (essenzialmente per straordinari o attività secondarie in nero), non molto le imprese industriali in senso stretto; molto le costruzioni, il commercio, gli alberghi e i ristoranti, i servizi; un po’ meno le professioni; molto più le imprese piccole rispetto a quelle di maggiori dimensioni e più strutture (che viceversa eludono quando e come possono); come ammontare è (molto) più elevata al Nord, ma in percentuale delle basi imponibili è maggiore al Sud; le imprese maggiormente integrate nel mercato internazionale evadono meno delle altre ecc.

In questa sintesi emerge un’importante idea. L’evasione è minore laddove è possibile utilizzare lo strumento della ritenuta alla fonte effettuata da un soggetto terzo (ad es. la banca per i redditi di capitale, il datore di lavoro e l’Inps per reddito da lavoro e pensioni).

Ma arriviamo alla sostanza del problema: che fare? Anzitutto, avverte l’autore, cosa non fare o pensare. Nel capitolo quarto ci si sbarazza in modo definitivo della convinzione, ancora assai diffusa tra politici, giornalisti e cittadini, che il grimaldello per abbattere l’evasione sia nel contrasto di interessi, che si potrebbe creare dando la possibilità, negli scambi di beni e servizi soggetti a Iva, di detrarre quanto speso, in tutto o in parte, dal reddito imponibile delle imposte dirette. Il lettore è invitato a prendere carta e penna e seguire con calma gli esempi numerici proposti, impegnativi ma chiari, che dimostrano l’infondatezza di questa tesi. La sostanza è questa: fintanto che il fisco cede un euro (consentendo una detrazione all’acquirente), questi e il venditore del bene o servizio potranno sempre trovare il modo di evadere e di ripartirsi il surplus messo a disposizione dallo Stato.

Blitz della finanza, limiti all’uso del contante, studi di settore – altri strumenti proposti o messi in atto per limitare l’evasione – sono passati in rassegna e valutati nei loro pro e contro (ma con più forte sottolineatura di questi ultimi). Della strategia più complessa, gli studi di settore, su cui ci si è concentrati negli ultimi vent’anni – ora abbandonata per passare a strumenti che dovrebbero favorire l’adempimento volontario degli obblighi tributari (la cosiddetta tax compliance) – si sottolineano non tanto i difetti dell’idea, quanto la cattiva e discontinua gestione, un comportamento che sembra caratterizzare molte vicende dell’azione fiscale italiana.

A proposito della disincentivazione all’uso del contante, pur ritenuta non inopportuna, si osserva che conta maggiormente la possibilità di conservare traccia delle operazioni effettuate negli scambi. Emerge qui un concetto chiave dell’analisi e delle proposte del libro: la tracciabilità delle operazioni.

Si discutono poi anche altri luoghi comuni sull’evasione. Molti ritengono che le imprese, soprattutto se piccole, siano «costrette» a evadere per restare sul mercato; altri sostengono che il fisco sia troppo oppressivo per adempimenti e livello delle aliquote. L’evasione «necessaria per sopravvivere» è però criticata con nettezza: se l’evasione è condizione necessaria per resistere sul mercato con dimensioni di impresa inefficienti, non appare lungimirante proseguire con questo improprio sostegno, soprattutto se si ha presente l’unanime consenso sulla dimensione troppo piccola delle imprese del nostro Paese.

Nel capitolo quinto si passa alle proposte di riforma. L’attenzione è concentrata sull’Iva, l’imposta sugli scambi di beni e servizi, che insieme all’Irpef produce la maggior parte del gettito (più del 60% delle entrate tributarie): un’imposta a carico di chi compra, ma la cui evasione è causa anche di quella delle imposte sui redditi di chi vende. Mettere sotto controllo l’Iva, utilizzando in modo più coordinato e stringente i concetti di tracciabilità e di ritenute alla fonte effettuate da terzi, è l’idea-forza di Visco. L’Iva è un’imposta sul consumo di beni e servizi, concepita per essere a carico del consumatore: chi vende non dovrebbe avere alcun interesse a non emettere fatture regolari e a evadere. Se si accetta di pagare in nero l’idraulico, ai fini dell’Iva, il principale «colpevole» è il cliente, anche se è vero che l’idraulico fa la proposta per occultare ricavi che influirebbero sulle sue imposte sui redditi. L’Iva è un’imposta plurifase: è cioè riscossa a rate, nelle diversi fasi del ciclo produttivo che va dalla produzione al consumo finale, in proporzione al valore aggiunto prodotto in ciascuna di esse. In ogni fase l’impresa che vende paga allo Stato la differenza tra l’Iva riscossa dai suoi clienti e l’Iva pagata per gli acquisti. L’idea originaria, introdotta all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, era che in tal modo vi fosse un interesse a richiedere fatture regolari per potere vantare il diritto a detrarre l’Iva pagata a monte. Come ben documenta il libro, questo incentivo si è rivelato debole ed eludibile. Sono stati messi in atto molti stratagemmi di evasione (mancata fatturazione lungo l’intera filiera, creazione di fatture false per aumentare le detrazioni, caroselli fiscali sull’estero, fino alla spudorata riscossione dell’Iva dal consumatore e il suo mancato versamento del gettito allo Stato). In anni recenti, soluzioni a questi comportamenti sono state avviate, molte di esse proposte dallo stesso Visco, anche se non sempre attuate in modo completo ed efficace. Alludo, scusandomi per l’ermetismo e la semplificazione, allo split payment e al reverse charge, modalità che spostano il dovere di versare l’imposta sul compratore.

L’idea di fondo del libro è che la soluzione dell’evasione dell’Iva e, a cascata, poi, delle imposte sui redditi richieda un nuovo assetto legislativo, amministrativo e tecnologico. Cruciale è la messa in atto di provvedimenti, quali ad esempio lo scontrino telematico, l’obbligo di pagamento con carta elettronica e, più in generale, una più completa trasmissione telematica delle informazioni relative alle fatture e altre informazioni rilevanti per l’accertamento. La tecnologia esiste – sostiene Visco – e non vi sono ragioni per non applicarla, anche in tempi relativamente brevi. Solo sul fronte dell’Iva, l’applicazione sistematica di queste proposte potrebbe portare a 20-25 miliardi di recupero.

Ma c’è di più. Una volta realizzato un corretto assetto della trasmissione telematica, il meccanismo a stadi della riscossione dell’Iva potrebbe essere utilizzato per incorporarvi un sistema di ritenute alla fonte relative alle imposte sui redditi degli operatori implicati nelle varie fasi del processo produttivo. La proposta è senza dubbio ingegnosa, anche se non vanno sottovalutati, pur essendo percepiti, i rischi di concentrare la riscossione soprattutto nella fase finale degli scambi, ove attualmente è più concentrata l’evasione. La scommessa per il successo sta tuttavia nella costruzione di meccanismi di trasmissione telematica efficiente.

Certo l’attività di accertamento non può essere trascurata: essa va sostenuta con i mezzi necessari, anche di personale qualificato, concentrata nelle fasi in cui l’evasione ha maggiori rischi. Non è un caso che un recente decalogo per la lotta all’evasione proposto dall’Ocse inviti gli Stati a investire su questi aspetti. Contare solo sul pur opportuno «fisco amico» o, più demagogicamente, promettere finte semplificazioni – come l’idea, inapplicabile, della completa abolizione del 730 – o ancora inzeppare l’imposta personale sul reddito con bonus e detrazioni di ogni genere significa perdere di vista l’obiettivo di fondo e non rendersi conto che il contrasto all’evasione «è una lotta di trincea in cui non esistono tregue». Solo mantenendo la barra dritta si possono ottenere le risorse per ridurre la pressione fiscale a chi già paga le imposte e le risorse per riforme dell’amministrazione pubblica, che non ci si può illudere possano essere realizzate a costo zero. Tecnologie per ridurre significativamente l’evasione e idee per un ridisegno intelligente dei meccanismi fiscali esistono. Basta volerlo.

 

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