«Non tempo perso, ma purtroppo tempo infruttuoso». Il dibattito sull’esperienza in corso di Didattica a distanza (Dad) sembra contrapporre quanti esaltano le risorse della tecnologia nella  recente didattica a distanza a quanti denunciano che comunque la Dad non ha evitato una perdita netta di educazione e apprendimento. I dati sul learning loss della ricerca internazionale sono purtroppo chiarissimi. Non solo: il timore che il fenomeno sia più accentuato tra gli studenti più fragili o provenienti da contesti più vulnerabili costituisce un’ipotesi già ampiamente documentata in varie ricerche internazionali e apre fortissime preoccupazioni in merito al panorama che potrebbe essere messo in luce anche nel nostro Paese quando disporremo dei primi dati Invalsi successivi al Covid-19.

Questo fallimento alimenta le proteste degli operatori della scuola, a cominciare dagli insegnanti, che spesso hanno fatto fronte all’emergenza con energia e grande impegno. Eppure i due fatti sono compatibili: scuola e insegnanti hanno moltiplicato sforzi e tempo di lavoro, ma al contempo non è stata evitata una sensibile perdita di formazione (sia sul piano degli apprendimenti curricolari sia su quello della socialità e dell’inclusione). La compresenza di questi due fenomeni emerge chiaramente da una ricerca ampia e rigorosa, condotta nella primavera del 2020 dalla Società italiana di ricerca didattica (Sird).

Il punto di vista degli insegnanti, che hanno dovuto affrontare il lungo periodo di chiusura delle scuole nell’anno scolastico 2019-2020 e affidarsi in toto alla Dad, è raccolto ed emerge dall’indagine della Sird, che ha raggiunto più di 16.000 soggetti sul territorio nazionale nel periodo compreso tra l’8 aprile e il 15 giugno 2020. L’Emilia-Romagna vi è rappresentata con un numero di insegnanti cospicuo (3.423), che rappresenta il 6% della popolazione complessiva dei docenti di tutti gli ordini di scuola (dall’infanzia alla secondaria di II grado). I dati articolano la voce degli insegnanti in multiple direzioni.

Alcuni sono interrogativi con cui la nostra società dovrà fare i conti per i prossimi anni: quanti studenti sono stati «perduti» durante la Dad? Che tipo di esperienza di apprendimento hanno conseguito coloro che hanno fruito della Dad? È a partire da queste preoccupazioni che l’indagine Sird ha fin da subito rilevato – attraverso la voce degli insegnanti – una stima degli studenti che sono stati effettivamente raggiunti dalla Dad durante il lockdown, ossia il numero di coloro che hanno mantenuto un legame stabile con la scuola e i loro insegnanti.

Nelle dichiarazioni raccolte, essi si fermano a un 70% circa degli «aventi diritto». Stando a queste dichiarazioni, proiettate sulla nostra situazione regionale, sarebbero quasi 39 mila gli studenti che non hanno mai fruito della scuola in Dad durante il lockdown, e più di 100 mila quelli raggiunti solo parzialmente. Il dato è inquietante e preoccupante.

Anche laddove invece gli studenti sono stati raggiunti dalla Dad, la stima che gli intervistati restituiscono della qualità dell’insegnamento desta diverse preoccupazioni. Infatti, le risposte degli insegnanti emiliano-romagnoli confermano un dato apparentemente contraddittorio: un indiscusso aumento del proprio carico di lavoro legato alla Dad e una contrazione delle ore di didattica effettivamente erogate. Non solo; le valutazioni che gli insegnanti stessi danno della didattica a distanza in emergenza sono molto critiche a proposito di due voci cruciali: l’efficacia per l’apprendimento degli studenti e la realizzazione di processi di inclusione.

Non va trascurato inoltre che l’inefficacia complessiva della Dad non include solo le mancate acquisizioni curricolari in senso stretto, ma anche quell’ampia serie di acquisizioni sociali, morali e di cittadinanza  che risultano irrinunciabili  soprattutto laddove si parla di competenze di base.

Osservando con attenzione le peculiarità della scuola emiliano-romagnola, emergono anche aspetti positivi. Tra i fattori protettivi che hanno consentito di mantenere salda la rete di relazioni all’interno della scuola, e che hanno garantito la continuità di forme di stimolazione per apprendimento degli studenti,  spicca l’importanza della collaborazione, cioè della modalità di lavoro collegiale nelle scuole che ha contraddistinto la quotidianità dell’emergenza. Su questo punto l’Emilia-Romagna spicca rispetto alle altre regioni; un suo punto di forza è rappresentato soprattutto dalla collaborazione a livello di team e consiglio di classe, ma anche i rapporti interni alla scuola e con la dirigenza risultano essere perlopiù positivi.

Rispetto alla capacità di rispondere alle peculiari esigenze degli studenti con bisogni educativi speciali (Bes), con Disturbi specifici di apprendimento (Dsa), gli insegnanti della nostra regione si rivelano più attrezzati della media dei colleghi nazionali. La possibilità di allestire interventi individualizzati e dunque «su misura», come prescrive la legge, senza rinunciare al perseguimento degli obiettivi fondamentali, è stata conseguita in misura maggiore nelle scuole dell’Emilia-Romagna rispetto al resto del territorio italiano, soprattutto per quanto concerne la capacità di rimodulare Pdp e Pei e, più significativamente, per impegno a promuovere forme di interazione efficaci con famiglie e allievi.

L’indagine Sird appare particolarmente preziosa per provare a interpretare quanto accaduto nella scuola emiliano-romagnola. Peraltro, alla grande ricchezza dei dati quantitativi si associa una ulteriore disponibilità di risposte narrative degli intervistati (a tre domande aperte del questionario d’indagine) che stanno aprendo ulteriori percorsi interpretativi.

In merito ai punti di debolezza, emergono almeno due temi cruciali del fare scuola ai nostri tempi, facilmente proiettabili sul territorio nazionale.

Un primo tema riguarda le modalità didattiche: anche da noi, come ovunque in Italia, l’insegnamento a distanza ha utilizzato prevalentemente lezioni frontali, assegnazioni di esercizi, indicazioni di parti di libro di testo da studiare ecc. Ha dunque visto incrementare l’adozione di strategie trasmissive a detrimento di quelle interattive, accentuando un limite della nostra scuola già evidenziato negli ultimi trent’anni dalle ricerche Iard sugli insegnanti e, più recentemente, dall’indagine internazionale Talis. Sappiamo che la ricerca pedagogica internazionale indica da tempo l’efficacia didattica di adottare plurime modalità di insegnamento, includendo maggiormente quelle attive, collaborative, esplorative. Una responsabilità politica e istituzionale in questi prossimi anni dovrà essere quella di creare le condizioni nel sistema scuola, affinchè sia possibile iniziare un reale percorso di cambiamento delle convinzioni e di arricchimento delle pratiche didattiche degli insegnanti in questo senso.

Il secondo tema ampiamente vistoso nei risultati Sird è la criticità della valutazione «ai tempi della distanza» che a gran voce gli insegnanti denunciano come «non adeguata». La centralità della valutazione come principale difficoltà  va letta sia come un problema connesso alla «perdita del controllo» da parte dei docenti, sia come la preoccupazione didattica di non disporre di dati valutativi utili per calibrare l’insegnamento in modo adeguato agli studenti.

Tuttavia come studiose in questo ambito sappiamo che il tema spesso nasconde ulteriori incertezze degli insegnanti, meno visibili ma quasi sempre collegate a insicurezze e scarse competenze sul fronte della progettazione curricolare e didattica, delle abilità docimologiche e, più in generale, di una carente cultura della valutazione quale strumento fondamentale per l’apprendimento. È anche su questo problema complesso che dovranno essere indirizzate le energie di tutti coloro che vorranno incamminarsi sulla via del rinnovamente della nostra scuola, per trarre da questa esperienza di Dad «forzata» un’occasione di crescita e miglioramento.

 

[Una traduzione inglese dell'articolo è stata pubblicata su Eurozine il 25 maggio 2021]