Tempi e spazi della scuola sono oggi al centro di una discussione pubblica che coinvolge amministratori e cittadini, le cui implicazioni hanno ricadute importanti sul ruolo urbano e sulle relazioni di prossimità che la scuola può intrattenere con i contesti territoriali. Una sfida urgente nel tempo brevissimo dell’estate e dell’attivazione dei servizi educativi estivi, nel tempo breve della ripresa a settembre dell’anno scolastico, nel medio termine per la riconfigurazione di una nuova normalità.
Molto si è detto su quanto la scuola, i bambini e i ragazzi siano stati esclusi dal dibattito pubblico nella cosiddetta “fase 1” dell’emergenza Covid-19. La scuola, che in alcune Regioni (Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna) è chiusa da tre mesi (dal 24 febbraio 2020, nel resto del Paese dal 5 marzo), è stata il primo luogo pubblico a chiudere (prima di uffici, parchi, palestre e piscine, esercizi commerciali) e sarà probabilmente l’ultimo a riaprire (dopo uffici, parchi, palestre e piscine, esercizi commerciali). Del 13 maggio è la conferma dal ministero dell’Istruzione che la scuola riaprirà a settembre, con forme e modi che saranno specificati di concerto tra Miur e ministero della Salute con il supporto del Comitato tecnico-scientifico nominato a fine aprile dalla ministra Lucia Azzolina. L’Italia è tra i pochi Paesi europei ad aver scelto questa direzione.
Il dibattito nel Paese intorno alla scuola e alla sua riapertura si è fatto sempre più acceso, in particolare in coincidenza con l’avvio della “fase 2” che, dal 4 maggio, ha consentito la ripartenza per vari settori della vita economica e pubblica, ma che di nuovo, nello sconcerto generale, è rimasto silenzioso sulla scuola. Per l’istruzione, a oggi, manca un piano di ripartenza e una strategia condivisa a partire dalla quale Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni possano cominciare a programmare a breve (e brevissimo!) termine sia il nuovo anno scolastico per asili nido, scuole dell’infanzia, scuole primarie e secondarie, sia i mesi estivi, rimodulando un’offerta variegata di servizi educativi più che mai indispensabile per bambini e ragazzi privati negli ultimi tre mesi del confronto tra pari e di quella comunità educante di cui la scuola è il centro. Su quest’ultimo aspetto è intervenuto, con un documento del 15 maggio scorso, il Dipartimento per le politiche della famiglia che ha tracciato alcune “Linee guida per la gestione in sicurezza di opportunità organizzate di socialità e gioco per bambini ed adolescenti nella fase 2 dell’emergenza COVID-19”, ora in mano alle Regioni per le disposizioni attuative.
Nelle scorse settimane il dibattito pubblico intorno alla scuola ha tenuto sullo sfondo alcune questioni che hanno riguardato i diritti di cittadinanza, all’istruzione e dell’infanzia (alla base delle manifestazioni dei giorni scorsi); il tema della difficile conciliazione famiglia-lavoro e dell’acuirsi delle disparità di genere; quello della didattica a distanza, non solo per quanto riguarda la disponibilità di devices e l’accesso alla connessione internet, ma anche in termini di mezzi economici, sociali e culturali a disposizione di famiglie e studenti; le molteplici forme di disuguaglianza che la distanza dalla scuola ha rafforzato, dai bambini e ragazzi disabili con le loro famiglie, a quelli in condizioni di fragilità socio-economica.
Qualcosa si è detto in merito anche agli edifici scolastici, per lo più alla necessità di fare spazio nelle aule, prevedere il distanziamento tra i banchi, adattare spazi di servizio, riconvertire alla didattica alcune attrezzature come palestre, refettori e aule magne. In questa direzione si muovono alcuni studi che hanno tentato di proporre soluzioni operative per gli edifici scolastici e per la loro riorganizzazione: l’obiettivo è dare risposte in tempi rapidi, per consentire un ritorno a scuola in sicurezza. Diverse amministrazioni comunali e realtà del Terzo settore stanno d’altronde proponendo una serie di soluzioni operative che, per cause di forza maggiore, appaiono ancora frammentate e poco coordinate. Una costante significativa ha tuttavia a che fare con la progressiva emersione della questione spaziale (il distanziamento sociale richiede ovviamente soluzioni spaziali) e con l’opportunità di allargare lo sguardo dalla scuola alla città e al territorio, secondo una prospettiva finora troppo poco praticata.
Tre questioni per ripensare il rapporto scuola-città. Ci sembra dunque cruciale porre l’attenzione sulle relazioni tra scuola e città, individuando alcuni orientamenti per le decisioni del prossimo futuro. Oltre agli interventi sugli spazi della scuola, segnaliamo quindi almeno tre questioni spaziali su cui accendere l’attenzione.
Il luogo in cui fino ad ora, anche in tempi precedenti all’emergenza sanitaria, abbiamo potuto osservare e sperimentare le relazioni possibili tra lo spazio della scuola e la città è quello della soglia. Il momento di ingresso a scuola, quando tutti convergono simultaneamente nello stesso punto, è una sorta di stress test sulla capacità dello spazio a ridosso degli ingressi di accogliere e gestire pratiche d’uso fortemente concentrate grazie alla presenza di parcheggi, attraversamenti regolati, aree pedonalizzate e marciapiedi sufficientemente ampi. Su questo versante esistono già interessanti sperimentazioni, ma nel prossimo futuro sarà necessario ampliare tali interventi, anche in relazione a politiche della mobilità che scoraggino il più possibile l’uso dell’automobile (in questa direzione va ad esempio il recente documento della Città di Milano Strade aperte). Gli accessi e gli spazi distributivi del movimento e della sosta sono da mettere in gioco non solo nell’edificio scolastico, ma anche nei cortili e nelle attrezzature di servizio aperte anche a usi extrascolastici (palestre, auditorium), dove ingressi e uscite potrebbero essere meglio e diversamente pianificati, sia nello spazio (ricorrendo ad accessi poco o per nulla utilizzati), sia nel tempo (per esempio, scaglionando gli ingressi).
Una seconda dimensione alla quale oggi è più che mai urgente guardare si attesta su una scala di prossimità della scuola che individua una “costellazione” di spazi e attrezzature. Se lo spazio della scuola non basta, è possibile individuare altri spazi che si prestino ad accogliere le attività didattiche? A tal fine, è necessario innanzitutto (ri)conoscere un repertorio di spazi concreti, disporre di una vera e propria mappatura aggiornata e calibrata sui bisogni attuali, con una stima degli spazi necessari e un’ipotesi sulle classi d’età degli studenti che potrebbero essere ospitati nei diversi spazi extrascolastici. Una ricognizione e un riconoscimento che non può prescindere anche dall’individuazione della molteplicità di soggetti che entrano in gioco in questa rete: sia soggetti proprietari delle sedi (non solo – e non esclusivamente – pubblici, come oratori e parrocchie, sedi di associazioni, musei e fondazioni private), sia gestori e animatori di attività educative. Spazi aperti – come parchi, playground, attrezzature sportive – e spazi edificati (oggi poco utilizzati a causa delle disposizioni sanitarie) – come centri civici, biblioteche, spazi culturali – possono a pieno titolo costituire i nodi di una “micro-rete scolastica diffusa”, la cui estensione è determinata da tempi e distanze ragionevoli, quali i 15 minuti a piedi suggeriti dal recente modello parigino e dall’unità di vicinato di più antica memoria.
Questa prospettiva ha infine a che fare con le connessioni: spazi di apprendimento accolti in luoghi diversi da quelli tradizionali delle sole aule, attrezzature sportive e ricreative a supporto della didattica, hanno necessità di essere collegati attraverso spazi della mobilità pedonale qualificati e adattati per permettere anche ai più piccoli di spostarsi in sicurezza e autonomia in città, secondo alcuni selezionati corridoi a cielo aperto che possono seguire il modello delle “strade scolastiche”. Per realizzarsi, un simile disegno ha bisogno di una visione integrata. Innanzitutto, all’interno delle pubbliche amministrazioni locali e dei settori che hanno competenza (e informazioni) sui diversi spazi urbani che potrebbero essere messi a servizio della scuola. Secondariamente, nell’ottica della creazione di una reale comunità educante, è necessario che si creino (o si consolidino) alleanze territoriali fra scuole, enti locali, pezzi della società civile, terzo settore, sindacati per dare risposte nella fase dell’emergenza, accompagnare la ripartenza e costruire insieme una scuola inclusiva e di qualità, che non lasci indietro nessuno.
La riapertura è un’impresa complessa che chiede una grande “intelligenza delle istituzioni”, per usare le parole di Carlo Donolo. Le implicazioni potranno così innescare innovazioni che ci auguriamo possano superare il tempo dell’emergenza e costituirne un lascito per quanto possibile felice.
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