Questo articolo fa parte dello speciale Le librerie indipendenti in Italia
Se per gioco provassimo a coniugare i luoghi in tempi verbali, via Tadino a Milano sarebbe senz’altro un infinito: leggere, scoprire, gustare o incontrare. Tutti termini che rendono l’idea di un continuo brulicare di esperienza. Passeggiando per questa stretta arteria dell’iconico quartiere di Porta Venezia, Lazzaretto, tanto affascinante quanto difficile da catalogare, si incontrano librerie - ben cinque nell’arco di pochi metri - gallerie d’arte (tra cui le storiche Studio Marconi e Fondazione Mudima), negozi di collezionismo e ristoranti etnici. Vecchi e nuovi abitanti della zona danno forma a una Milano che verrà, in costante dialogo con quella che è stata. La stessa ricca compenetrazione di ieri e oggi si ritrova al cuore della Libreria Popolare di via Tadino che ha un’identità profondamente milanese e unica nel suo genere per via della forte connotazione sociale e civile.
Facendosi un po’ ingannare dall’insegna che recita «Edizioni Lavoro» e dalla prossimità con lo sportello della Cisl, c’è ancora chi la scambia per la libreria che vende le edizioni della confederazione sindacale. Effettivamente per un periodo è stato così, ma si tratta solo di una delle fasi di una storia che ha un che di romanzesco e che il libraio Guido Duiella mi racconta in un pomeriggio di fine maggio, prima che i battenti riaprano per ospitare l’incontro di presentazione di un nuovo giallo (evento che entusiasma, dopo i mesi di desolato silenzio che ci lasciamo alle spalle).
Come si fa quando ci si presenta a qualcuno di nuovo, la discussione parte dal nome, elemento che ci servirà a introdurre tanti dei temi che poi svilupperemo. La libreria è stata battezzata come «Popolare» nell’ottobre del 1974 quando venne trasferita dal centralissimo convento di San Carlo, luogo in cui la sua storia era nata nel 1952 come libreria del centro culturale Corsia dei Servi, all’attuale sede di via Tadino, allora più periferica e sicuramente più stratificata dal punto di vista sociale. Nel dare questo nome i suoi fondatori affermavano una chiara rottura con il convento - nell’aria soffiava il vento del dibattito sul referendum sul divorzio - e si avvicinavano alla Cisl e alle associazioni cattolico-democratiche ribadendo la volontà di dar vita a una libreria aperta a tutti, nella quale costruire strumenti concreti di emancipazione individuale e collettiva. I promotori di questo progetto, Mario Cuminetti, Lucia Pigni Maccia, Camillo De Piaz e David Maria Turoldo, erano tutte personalità di intenso impegno culturale, sociale, civile e religioso, attive nella promozione di momenti di aperto dibattito in questi ambiti.
Allora più che mai, fare cultura era un atto politico. Dopo di loro, dal 1991 al 2006, Renato Mele, personaggio eclettico e fondatore della cooperativa Ceb, portò avanti lo stesso impegno prima di passare il testimone ai nuovi collaboratori. «Io sono solo l’ultimo portinaio di una casa fatta di libri, nella quale gli inquilini sono i lettori; il portinaio accoglie, orienta e tiene in ordine affinché il lettore trovi la sua stanza libraria», mi dice sorridendo Duiella, confermando sicuro che ciò che distingue la Popolare dalle altre librerie indipendenti cittadine è il suo imprinting civile e impegnato. Il primo impatto quando entri in negozio è la visione di un nutrito reparto di saggistica che lui definisce «una scelta originaria» che ha voluto mantenere.
Oggi la libreria ospita tutti i generi letterari, ma Duiella torna più volte su tre assi chiave dell’offerta: la già citata saggistica, la poesia e le riviste, non solo quelle letterarie
Se l’oggi diffuso approccio di marketing tende ad attrarre i clienti con le ultime novità di narrativa, qui accade un po’ il contrario: si ribadisce prima di tutto il ruolo del libro come strumento di studio e di discussione. Oggi la libreria ospita tutti i generi letterari (con uno spazio riservato anche ai bambini) e spazia nella proposta degli editori, dai grandi gruppi a quelli di nicchia, ma Duiella torna più volte su tre assi chiave dell’offerta: la già citata saggistica, la poesia e le riviste, non solo quelle letterarie. È indubbio che si tratti di generi meno premianti commercialmente, ma sono i più vicini al profilo della libreria per la loro tensione verso lo scambio di idee. Alla poesia, in particolare, sono stati dedicati cicli di incontri, presentazioni e letture a cui hanno partecipato poeti da tutta l'Italia, dai giovanissimi esordienti ad affermate personalità come quelle dei recentemente scomparsi Giancarlo Majorino e Franco Loi, tra gli altri; o rassegne tematiche quali Come ci siamo allontanati. Ragionamenti su Franco Fortini, a cura di Paolo Giovannetti.
Fare proprio un bagaglio valoriale che ha radici nei politicamente ruggenti anni Cinquanta-Ottanta oggi è una sfida importante per un libraio: l’idea della causa va adattata a un contesto in cui il concetto di impegno si è ridefinito sfumando in forme di partecipazione differenziate e plurali, soprattutto grazie all’uso sempre più pervasivo delle nuove tecnologie.
Quando chiedo a Guido in che modo la libreria affermi oggi la sua storica essenza sociale lui cita per prima cosa l’azione dell’Associazione gruppo carcere Mario Cuminetti che è stata fondata per ricordare Mario Cuminetti, tra i primi nel 1985 a usufruire dell’articolo 17 dell’Ordinamento penitenziario per svolgere attività culturale in carcere e per creare un collegamento fra carceri e città. Tra gruppi di lettura e di riflessione, corsi di alfabetizzazione, laboratori, attività ricreative e la gestione di sportelli giuridici a disposizione dei detenuti, i volontari che oggi la animano si impegnano per salvaguardare i diritti dei detenuti a partire dai libri, ponendosi anche come elemento attivo di relazione tra le varie componenti dell’organizzazione carceraria.
La Popolare è la sede dell’associazione ed è il luogo dal quale partono i volumi - oltre 75.000 negli anni - che libreria e privati destinano alle carceri di San Vittore, Bollate e Opera (e negli anni passati l’attività si era estesa anche a Piacenza, Bologna, Vercelli e Fossombrone). Non c’è attenzione solo al tema della rieducazione: Guido ha ospitato negli anni diversi incontri sull’antirazzismo e sull’integrazione delle seconde generazioni, offrendosi anche come il luogo in cui comitati di quartiere o gruppi di rifugiati potessero riunirsi per condividere problemi e prospettive. Non a caso la libreria ospita anche l'associazione Fiorella Ghilardotti che agisce per garantire il proseguimento degli studi a giovani ragazze straniere di seconda generazione, meritevoli e bisognose, offrendo borse di studio e l'affiancamento di una tutor per il primo triennio delle scuole superiori.
Quello che all’inizio mi sembrava uno stacco netto tra ieri e oggi, adesso mi appare come un ponte capace di generare continuità: se la libreria aveva nei suoi fondatori l’impegno nel creare cittadini consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, oggi il ruolo sociale è reinterpretato come il farsi materialmente centro di una rete attiva.
Se la libreria aveva nei suoi fondatori l’impegno nel creare cittadini consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, oggi il ruolo sociale è reinterpretato come il farsi materialmente centro di una rete attiva
Gli altri punti di questa catena del valore sono, in primis, i lettori, soprattutto i più «deboli», quelli che vanno accompagnati piano piano e senza alcun senso di superiorità intellettuale nella conquista di un’abitudine al libro come veicolo prima di intrattenimento e successivamente di crescita. E poi tutti coloro che sono in difficoltà e hanno bisogno di legami per costruire un proprio domani.
«Quali sono gli aspetti del tuo lavoro di cui sei più orgoglioso?», gli chiedo in chiusura. Lui cita entusiasta i gruppi di lettura come momenti imprescindibili di incontro di vite e di storie. Ce n’è uno dedicato alla narrativa, promosso e coordinato dalla collega libraia Michaela Molinari, che i lettori stessi hanno voluto chiamare Le nostre anime di notte, in nome del primo libro che hanno esplorato insieme, a firma di Kent Haruf, e soprattutto in omaggio ai loro incontri serali negli spazi della libreria. Era perfetto: suonava così intimo e vero. E poi aggiunge: «sono orgoglioso di aver contribuito alla nascita dell’associazione Lim (Librerie indipendenti Milano) come grande libreria diffusa della nostra città».
Eccolo qui, il senso dell’essere popolari: aprirsi senza sosta al dialogo con l’altro, chiunque questo sia, e collaborare per diventare parte di qualcosa di più grande. Uscita dal negozio ho passeggiato per via Tadino che iniziava a riempirsi di gente e mi è sembrato quasi di vederla, questa sorta di grande ragnatela culturale che ha nelle librerie i centri nodali in cui si lavora per accogliere e restituire senso di partecipazione. Noi tutti possiamo farlo a partire da loro e possiamo farlo insieme a loro.
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