«Non voglio morire così, senza credere che Palermo possa diventare una città felice». Le parole che la fotografa palermitana Letizia Battaglia – deceduta il 13 aprile dell’anno scorso a 87 anni – pronunciò nel 2016 in uno dei dialoghi avuti con il regista Franco Maresco, celebre soprattutto per Cinico TV e altri film realizzati insieme al collega Daniele Ciprì, rappresentano non soltanto una prova della passione viscerale per la sua città e del suo impegno civile. Sono soprattutto un antidoto contro la rassegnazione, l’indifferenza e il gattopardismo che spesso caratterizzano l’atteggiamento di tanti palermitani e siciliani (ma non solo) di fronte ai problemi e alle difficoltà della propria terra.

Le mille vite di Battaglia, da moglie insofferente per il suo «matrimonio-prigione» a fotoreporter per “L’Ora” nella Palermo travolta dalla violenza mafiosa degli anni Settanta e Ottanta, passando per l’incontro con i reclusi dell’ospedale psichiatrico palermitano fino all’impegno politico come assessora e poi deputata nel tempio «kafkiano» del potere immobile e ipocrita della Regione Siciliana, sono al centro delle conversazioni avute con l’amico e concittadino Maresco tra il 2016 e il 2019. Alcuni stralci di questi incontri erano stati già pubblicati in occasione del video di presentazione della mostra sulle opere di Battaglia al Maxxi di Roma nel 2016 e poi nel film La mafia non è più quella di una volta (2019) dello stesso Maresco. Da poco quest’ultimo ha pubblicato con il Saggiatore le trascrizioni integrali di quegli incontri. Il libro completa idealmente una serie di lavori che hanno dato voce a Battaglia, ricostruendone la vita e l’attività, come il documentario del 2019 a lei dedicato Letizia Battaglia. Shooting the Mafia e l’autobiografia pubblicata a quattro mani con Sabrina Pisu per Einaudi nel 2021.

Il libro completa idealmente una serie di lavori che hanno dato voce a Battaglia, ricostruendone la vita e l’attività

Oltre a rappresentare un omaggio da parte del regista alla fotografa scomparsa, le conversazioni aggiungono un ulteriore tassello alla vicenda personale di Battaglia sia per la varietà dei temi affrontati che per il tono intimo, confidenziale, amichevole e spesso anche appassionato dei protagonisti. È importante ricordare che non si tratta di un’intervista in senso stretto, senza una struttura rigida o un’impostazione accademica, bensì di vere e proprie conversazioni svoltesi in aereo o per strada, talvolta anche molto brevi, sui temi più vari che hanno sì al centro la vita della fotografa palermitana, ma anche il cinema o la politica. Non mancano scambi di battute o affettuose schermaglie che, oltre a testimoniare l’affetto tra i due, rendono godibile la lettura. 

Sono tanti gli argomenti toccati nelle conversazioni. Sicuramente, spiccano l’amore per Palermo («è la mia passione più grande. Non lo so il perché, non lo so») e l’impegno civile, vissuto tra l’attività fotografica e poi nella militanza politica attiva. Battaglia ripercorre la sua testimonianza della violenza mafiosa, tanto dei «cadaveri eccellenti» (è celebre lo scatto di Piersanti Mattarella, ucciso il 6 gennaio 1980) quanto delle figure meno note, ma non meno tragiche, come il caso di un bambino giustiziato dalla mafia a distanza di tempo per aver visto il volto dei killer del padre.

È un racconto che, diversamente dal mondo delle serie televisive, non lascia spazio alla «simpatia» verso i boss, come la stessa Battaglia sottolinea. «Anche io, per esempio, confesso, guardo la serie tv Gomorra e vedo che i suoi personaggi sono presentati come esseri umani. Umani nel senso che devono fare simpatia». Oppure, più avanti, I Soprano «erano mafiosi. Ed erano tutti simpatici. Agli americani piacciono assai! Infatti loro non ci possono credere che la mafia sia quella che è: crudele e terribile».

Negli incontri tra Battaglia e Maresco, a prevalere è soprattutto l’emotività. Da un lato, c’è la speranza del cambiamento e l’auspicio che Palermo possa diventare diversa, facendo leva anche sulla «sana» pazzia per guarire dalla sua sofferenza, per usare le parole della fotografa stessa. Dall’altro c’è anche la delusione per i tanti insuccessi che la mobilitazione della società civile contro la mafia non è riuscita a realizzare dopo gli anni Ottanta e Novanta. Soprattutto il successo politico del berlusconismo in Sicilia dal 1994 in poi ha incarnato agli occhi di entrambi un fallimento di quelle attese. Tuttavia, se per Maresco è la prova di una certa irredimibilità della Sicilia, Battaglia vi legge «una voglia di essere superficiali» e il desiderio di avere «una vita facile», lontana dal «fare scelte severe» e dagli eroi, che va dunque compresa più che condannata in blocco.

Uno degli aspetti più interessanti dei dialoghi è che tra i due interlocutori non vi è sempre una concordanza di vedute

Uno degli aspetti più interessanti dei dialoghi è che tra i due interlocutori non vi è sempre una concordanza di vedute. È una costante che la tenacia di Battaglia faccia da contraltare al giudizio disincantato e amaro di Maresco. A dividere i due, e ciò emerge più volte, è la differenza di valutazione sulla lunga vicenda politica di Leoluca Orlando, sindaco di Palermo a più riprese dal 1985 al 2022, protagonista, nel bene e nel male, della trasformazione della città. Battaglia non nasconde la sua ammirazione, a volte portata fino al parossismo (alla domanda se abbia mai avuto un dubbio su di lui, risponde «mai, come non potevo averlo su mia madre», o in un altro passaggio, «non lo difendo, io lo amo»), a riprova del legame personale che la univa all’ex-sindaco, di cui era stata anche assessora nei primi anni Novanta. Altrettanto netta è la valutazione nei riguardi di Leonardo Sciascia. Se per Maresco si tratta di un autore profetico, allo scrittore Battaglia non perdona il celebre articolo del 1987 sui «professionisti dell’antimafia» in cui attaccò Paolo Borsellino e l’allora sindaco Orlando («Da allora forse non ho più aperto un suo libro»). Un altro motivo ricorrente di divergenze tra i due è anche il tema del progresso tecnologico in campo fotografico e cinematografico. A Maresco, che non nasconde il suo pessimismo per l’esplosione incontrollata delle immagini e la conseguente perdita di senso del ruolo del fotografo come mediatore, Battaglia contrappone l’idea che si possa ancora distinguere «l’autorevolezza di un linguaggio fotografico vero» nella marea di immagini prodotte con i sistemi più moderni e che non serva provare alcuna nostalgia per il passato.

Non c’è solo politica o mafia a emergere nelle conversazioni tra i due. Uno dei dialoghi sicuramente più belli del libro è quello che i due hanno sul volo di ritorno da Bologna nell’estate del 2018, dopo una serata organizzata in onore di Battaglia dalla Cineteca di Bologna con la proiezione di Blow-up di Michelangelo Antonioni. In quell’occasione, Maresco parla con Battaglia di cinema «sul serio», come – per sua stessa ammissione – non avevano mai fatto. In una carrellata di film e attori della Hollywood classica in bianco e nero, il dialogo tra i due si snoda tra ricordi personali, a volte anche amari, ed episodi divertenti, come quando Battaglia racconta ad un Maresco sconvolto di aver contestato il regista americano John Ford in un cineclub di Milano degli anni Settanta. Toccante e profondo è senz’altro l’episodio della morte di Marylin Monroe, che lasciò sconvolta Battaglia, allora ancora lontana dall’intraprendere la carriera giornalistica, perché sapeva «cos’era la depressione. Sapevo quanto la depressione ti soffoca e ti trascina via, giorno dopo giorno, dalla vita e dalle persone che ami».

Non può mancare la fotografia. Battaglia non risparmia giudizi severi come nei confronti dei fotografi «aristocratici» quali Enzo Sellerio e Ferdinando Scianna, di cui pure ammirava i lavori. A loro Battaglia contrappone la sensibilità di fotografe come Diane Arbus e Mary Ellen Mark, o autori più «ruvidi» come Eugene Richards e Josef Koudelka. Soprattutto, a prevalere è ancora una volta l’idea dell’impegno civile e della denuncia sociale come ingredienti decisivi che caratterizzano l’attività fotografica. Aliena da tecnicismi o derive estetizzanti («non ho mai capito niente, ma proprio veramente niente della tecnica», sostiene in uno degli incontri con Maresco), nel corso dei dialoghi, Battaglia difende a più riprese un’idea della fotografia engagé, per usare un termine fuori moda.

Nel corso dei dialoghi, Battaglia difende a più riprese un’idea della fotografia engagé, per usare un termine fuori moda

Sono tante le ragioni per leggere e appassionarsi ai dialoghi tra Maresco e Battaglia. Oltre al fascino per la loro spontaneità, vi è anche materiale per riflettere sul presente. Non mancano, forse, alcune ingenuità come le parole che entrambi dedicano alla vicenda della trattativa Stato-mafia, ma sono dettagli che non tolgono valore a quelle conversazioni. A Battaglia va il merito di essersi battuta per il cambiamento di Palermo, della Sicilia e anche dell’Italia tutta. Spesso l’amarezza fa capolino nelle parole dei due protagonisti, al punto che la fotografa arriva a dire di aver «straperduto» rispetto alle attese del passato, eppure occorre ricordare che – per riprendere il titolo di un celebre saggio – la mafia non ha vinto. Quelle battaglie, invece, hanno prodotto un cambiamento che ha investito la coscienza collettiva e che ha contribuito a indebolire di molto la forza del potere mafioso. Se Palermo e la Sicilia non sono più quelle di una volta , è merito di quelle battaglie e dell’impegno profuso dalla fotografa, così come da tanti altri come lei. Conservare quell’orizzonte di cambiamento – come Battaglia ricorda a più riprese a se stessa prima ancora che a Maresco – resta l’unico modo per rendere davvero Palermo una città diversa e, magari un giorno, anche felice.