Questo articolo fa parte dello speciale Le librerie indipendenti in Italia
Si cominci da quanto evidente e perciò stesso trascurato. Le librerie sono casi e affinità. Casuale è spesso la loro collocazione sul nostro percorso più o meno abituale o la scoperta fortuita, indotta da una necessità immediata – trovare in poco tempo un dono, venire attratti da un oggetto in vetrina, beneficiare di un momento libero in agende quotidiane sempre più affollate dall’horror vacui di esibizioni sociali di vario ordine e grado. Capita di sentirsi affini a esse e a chi le gestisce e questo sentimento rivela alleanze spontanee, comunanze impreviste e una sensazione di familiarità coi luoghi, gli scaffali e i volumi su essi esposti. È una condizione sempre meno frequente, conseguenza di una mutazione più ampia nelle abitudini di consumo e produzione culturale.
Se l’adolescenza di molti tra noi – almeno, di chi scrive – è anche trascorsa in un angolo di una libreria di un pugno di metri quadri, concessoci da gestori pazienti e sapienti, a compulsare molti libri e acquistarne pochi; se gli anni della formazione sono avvenuti all’insegna dell’acquisto compulsivo di volumi nuovi e usati, nell’euforica ricerca della sintesi perfetta tra migliore edizione e prezzo più contenuto, oggigiorno questa esperienza è sempre più residuale. La trasformazione della lettura dalla relazione con un oggetto cartaceo a quella con un dispositivo retroilluminato e dell’acquisto in un esercizio fisicamente collocato a una transazione in un ambiente virtuale hanno reso molto più sporadiche le possibilità di vivere le virtù dell’alea e l’emozione della congenialità. La libreria Giometti&Antonello di Macerata parte dalla contezza di questa trasformazione e mi ha regalato proprio la gioia della scoperta e dell’affinità.
Arrivato nella città marchigiana a metà novembre, invitato da un amico e collega per una lezione universitaria, ho trovato ad accogliermi un tempo degno di un racconto di Alfred Kubin, tra nebbia, piovischio e luce fioca. Alla conclusione della lezione, a dispetto delle condizioni meteorologiche, il collega mi ha generosamente accompagnato in una passeggiata per il centro cittadino.
Corso Giacomo Matteotti ne è uno degli assi portanti, nel cuore del castrum, di volta in volta denominato Strada Grande, Via dei Mercanti, Via delle Botteghe o Via del Commercio, a sancirne le dimensioni e la rilevanza per la società urbana. Nel corpo di Palazzo Cortesi, sotto gli archivolti dell’edificio, una vetrina illuminata da pochi punti luce, a mettere in evidenza volumi della Nuova Universale Einaudi o prime edizioni Adelphi, pubblicazioni tra le due guerre di Corbaccio o testi appena editi da piccole iniziative di un territorio eccezionalmente prolifico: Quodlibet, Portatori d’acqua o, appunto, Giometti&Antonello. Incuriosito, sono entrato, e tra gli immancabili Scritti teatrali di Brecht pubblicati negli Struzzi Einaudi, orgoglio di ogni libreria dell’usato, e una biografia di una diva hollywoodiana, ho scoperto un’accurata selezione di volumi usati e un’ancor più ponderata scelta di nuovi editori. Perché Giometti&Antonello nasce da un preciso orientamento editoriale, alla base della casa fondata nel 2013 dal filosofo Gino Giometti e dal comparatista e lirico Danni Antonello, scomparso prematuramente quattro anni fa. Nel programma editoriale, l’assunto di base è proprio la saturazione odierna del mercato, associata alla dissoluzione di un canone. Con considerevole lungimiranza strategica, la risposta progettuale dell’editore non mira a rivendicare e ripristinare un canone, ma alla raccolta e proposta delle sue rovine: frammenti, occasioni marginali, oggetti trascurati e riportati alla luce
Perciò, sugli scaffali della libreria maceratese, accanto alla selezione accurata di volumi usati e antiquari, troviamo questi oggetti rari e preziosi, raggruppati intorno ad alcuni nuclei: l’ambito germanistico e slavistico e quello filosofico, con una preponderanza del pensiero critico della modernità. In un’elegante ed essenziale veste grafica bianca, volumi di 23,5x16 propongono numi tutelari spesso sfuggiti ai radar dell’editoria nazionale. I Quaderni della Kolyma del grande narratore Varlam Šalamov stanno accanto alla lirica di Arsenij Tarkovskij, gli scritti di Milena Jesenská tengono compagnia alle considerazioni sulla letteratura per l’infanzia di Walter Benjamin, l’epistolario di Gilles Deleuze dialoga con quello di Joseph Conrad. Questa poetica editoriale del residuo dialettico, capace di gettare luce imprevista, si avvale di una componente fondamentale: la passione competente. Giometti contribuisce a fondare nel 1993 Quodlibet e vent'anni dopo avvia questa nuova intrapresa. Insieme a lui, Antonello, poeta e studioso di letterature comparate. Questa ambivalenza – esperienza editoriale e dei materiali concettuali e letterari – si rileva anche nelle edizioni. Per esempio, il curatore dei lirici russi, Gario Zappi, è anche autore di liriche. E questa fertile duplicità l’ho ritrovata, per casuale affinità, nel dialogo con il libraio incontrato quel pomeriggio. Da qualche battuta sulla selezione dei libri usati, ho scoperto una comune e incondizionata passione per la letteratura di Robert Walser, di cui il mio anonimo interlocutore è collezionista di prime edizioni; da una battuta su Šalamov le vicende di vicinanza fisica e intellettuale tra il grande testimone dell’umanità nell’abiezione del sistema concentrazionario sovietico e il suo curatore e traduttore; dalle considerazioni sulle edizioni saggistiche, ho rinvenuto poi la riedizione di Kommerell tra i volumi esposti, il cui acume esegetico avevo sfruttato lavorando vari anni fa su Heinrich von Kleist. Caso e affinità erano una componente costitutiva dell’esperienza delle librerie. È solo provvidenziale qualcuno rinnovi questo aspetto troppo negletto, oggi
In un libro scoperto quel pomeriggio a Macerata, Una conversazione notturna tra Thomas Bernhard e Peter Hamm, trovo che lo scrittore austriaco così dichiarava nel 1977: «In fondo è la curiosità, credo, a tenermi in vita. Non so se sia un vantaggio o qualcosa di ripugnante, non saprei dirlo, ma la mia curiosità mi interessa». Poterla esercitare in modo così intelligente, grazie a quella da altri coltivata ed espressa in uno spazio attento e accogliente, è un privilegio di cui non possiamo privarci.
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