Da cinquant’anni la grammatica a scuola gode di una condizione schizofrenica. Da un lato, nelle Dieci tesi per un’educazione linguistica democratica (1975) del Giscel (Gruppo di intervento e di studio nel campo dell’educazione linguistica), scritte da Tullio De Mauro, suo fondatore, la grammatica è totalmente svalutata: “Tesi VIII.D: a) parzialità dell’insegnamento grammaticale tradizionale […]; b) inutilità dell’insegnamento grammaticale tradizionale rispetto ai fini primari e fondamentali dell’educazione linguistica […]; c) nocività dell’insegnamento grammaticale tradizionale”.

Sulla scia di questa impostazione, i ministeri che si sono succeduti da allora a oggi hanno limitato molto l’importanza della grammatica, a partire dalla riforma dei programmi della scuola media del 1979 fino alle vigenti “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione” (2012). Qui, negli “Obiettivi di apprendimento al termine della classe terza della scuola secondaria di primo grado”, sono prima elencati tutti gli obiettivi relativi a “Ascolto e parlato”, “Lettura”, “Scrittura”, “Acquisizione ed espansione del lessico ricettivo e produttivo”, secondo il giusto principio che scopo dell’educazione linguistica non è tramandare nozioni grammaticali ma potenziare le abilità linguistiche degli studenti; poi, giunti all’ultima categoria di obiettivi, cioè “Elementi di grammatica esplicita e riflessione sugli usi della lingua”, l’obiettivo di “Riconoscere l’organizzazione logico-sintattica della frase semplice” spunta solo alla fine, ridotto in poche righe.

Dall’altro lato, i manuali “di italiano” o “di grammatica” per le medie e per il biennio (i secondi mere repliche dei primi) sono a tutt’oggi, quanto alla teoria grammaticale che presuppongono (anche se teoria è una parola grossa), tutti uguali fra loro, e indistinguibili dai manuali di un imprecisabile numero di decenni precedenti. Sono tuttora, cioè, perfetti esemplari di quella “pedagogia grammaticale tradizionale” che De Mauro definiva parziale, inutile e nociva cinquant'anni fa. Sono manuali di 1.200-1.700 pagine, pari a 2-2,5 kg, quelli delle medie; di 700-1.200 pagine, pari a 1,1-2 kg, quelli del biennio, in massima parte occupati, tanto i primi quanto i secondi, dalla classica successione Ortografia-Morfologia-Sintassi.
Dopo aver studiato su massicci manuali per 5 irripetibili anni della loro adolescenza, che cosa hanno imparato gli studenti italiani da tutta questa analisi grammaticale, analisi logica, analisi del periodo?

Bene, dopo aver studiato questi massicci manuali per due volte, nell’arco di 3+2=5 irripetibili anni della loro adolescenza, che cosa hanno imparato gli studenti italiani da tutta questa analisi grammaticale, analisi logica, analisi del periodo? Risposte obiettive a questa domanda vengono, su base statistica amplissima, dall’indagine internazionale Pisa (Programme for International Student Assessment) e dalle rilevazioni nazionali Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione). L'indagine Pisa promossa dall’Ocse misura le competenze in Lettura, Matematica e Scienze degli studenti quindicenni dei Paesi aderenti. L’indagine si è svolta ogni 3 anni dal 2000 al 2022. Nel 2022 ha coinvolto quasi 700 mila studenti da 81 Paesi, fra i quali 10.552 studenti italiani in rappresentanza di una popolazione di circa mezzo milione di quindicenni. Le rilevazioni nazionali Invalsi si svolgono ogni anno, a partire dal 2005-06, su tutta la popolazione scolastica italiana per misurare le competenze in Italiano, Matematica e Inglese. Nel 2024 le rilevazioni hanno interessato circa 536 mila studenti di III media e circa 477 mila del secondo anno del biennio (fine della scuola dell’obbligo). Bene: si evidenzia una qualche correlazione fra lo studio della grammatica in uso nella scuola media italiana e i risultati di apprendimento rilevati da Pisa in Lettura (reading literacy) e da Invalsi in Italiano?

Le prove Invalsi, alla rilevazione primaria sulla “comprensione dei testi”, ne affiancano una secondaria sulla “riflessione sulla lingua”: e qui c’è una sproporzione stridente fra le centinaia e centinaia di pagine dedicate dai manuali alla Morfologia e alla Sintassi, e la definizione di che cosa “sanno fare” in Italiano, quanto a “riflessione sulla lingua”, gli studenti al termine della scuola media. Questo “saper fare” viene classificato in 5 livelli, definiti molto vagamente.

Che cosa viene richiesto agli studenti di aver capito, grazie allo studio, di com’è strutturata l’informazione nelle frasi (le frasi di cui sono costituiti i testi che dovrebbero capire)? Molto poco, in coerenza con quanto sopra riportato dalle Indicazioni nazionali del 2012. Per puntare a obiettivi di apprendimento così scarsi e generici sarebbero più coerenti manuali che pesassero e costassero cinque o sei volte meno dei manuali che le famiglie sono costrette a comprare ogni anno, per un volume d’affari di circa 26 mila adozioni alle medie e altre 23 mila al biennio, da moltiplicare per una ventina di studenti per classe.

Comunque, la soglia alla quale Invalsi valuta che gli studenti raggiungano un risultato adeguato è posta al livello 3, e nel 2024 – benché le competenze richieste per superare quella soglia non siano certo stringenti – ha raggiunto un risultato “adeguato” solo il 60,1% degli studenti. Ora, che all’uscita dalla scuola media 4 studenti su 10 risultino ufficialmente “non adeguati” non può certo esser considerato un risultato brillante per il sistema scolastico italiano. E, se si guarda alla ripartizione per macroaree geografiche, la percentuale del Nord Ovest sale a 64,1%, ma quella di Sud e Isole scende a 49,5%.

Per vedere che cosa sanno o non sanno fare veramente gli studenti non c’è niente di meglio che guardare come hanno risposto a singole domande di “riflessione sulla lingua”. Sono domande elementari e intelligenti: per niente nozionistiche, cercano solo di sondare se lo studente sa riconoscere i significati e le funzioni delle parole e la gerarchia delle relazioni che le collegano nelle frasi. Faccio 10 esempi, tutti relativi alla III media, tratti dall’Archivio interattivo delle prove Invalsi, che raccoglie i materiali delle prove dal 2008 al 2017. Dopo ogni consegna riporto, preceduta da OK, la percentuale di risposte giuste – e sono percentuali che si commentano da sole, ben al di sotto del 60,1%.

Dunque: 1 (2008). Cambiare una interrogativa diretta in indiretta: OK 33,2%. 2 (2008). Trovare, fra 4 frasi, una subordinata consecutiva: OK 25,5%. 3 (2011). Individuare le forme verbali e dirne modo e tempo: OK 42,7%. 4 (2012). Trovare la gerarchia (coordinazione o subordinazione) tra le frasi di un periodo: OK 43,9%. 5 (2013). Distinguere gli articoli dai pronomi personali: OK 41%. 6 (2013). Riconoscere la struttura gerarchica (coordinazione o subordinazione) di 4 periodi: OK 30,9%. 7 (2015). Mettere in ordine temporale le azioni di alcune frasi: OK 23,9%. 8 (2016). Distinguere, su 5 frasi, il complemento predicativo del soggetto e dell’oggetto: OK 24,1%. 9 (2016). Distinguere se il pronome relativo "che" è soggetto o complemento oggetto in 5 frasi: OK 21%. 10 (2017). Trovare, in 4 frasi, il soggetto, anche sottinteso: OK 25,5%.

Le rilevazioni Ocse-Pisa, invece, consentono di vedere l’andamento dei risultati in Lettura, confrontato con quelli in Matematica e Scienze, negli ultimi vent'anni su uno sfondo internazionale vastissimo. Qui vengono monitorate solo le abilità di lettura di testi, anche plurimi, digitali ecc.: la reading literacy, non le abilità di analisi linguistica, impossibili da rilevare su tante lingue diverse.

È interessante notare che l’Italia, che nel 2003-2006 presentava un livello di competenza in Matematica molto più basso della media Ocse, è poi molto migliorata fino a parificarsi al livello Ocse nel 2015-2018; e poi ha avuto un drastico peggioramento nella rilevazione 2022, in seguito alla chiusura delle scuole per il Covid, alla pari di tutti gli altri Paesi che si erano trovati in condizioni di pandemia analoghe. Sembra ragionevole ipotizzare che questo andamento sia dovuto prima a un serio lavoro scolastico sviluppato negli anni, forse anche stimolato dai mediocri risultati iniziali ottenuti nel programma Pisa; e poi all’interruzione, o drastica riduzione, dell’efficacia scolastica nei molti mesi della pandemia (vista anche la totale mancanza di cultura dell’e-learning nel sistema scolastico italiano). Perché, come è stato detto autorevolmente, «la matematica si impara a scuola».

Un dato paradossale per l'Italia: la rilevazione nella reading literacy del 2022, dopo tutti i mesi in cui la scuola non ha funzionato, è migliore di quella del 2018Invece l’andamento dell’Italia nella reading literacy, negli stessi vent'anni, appare ondivago: punteggi sempre inferiori alla media Ocse, ma con alti (2000, 2009, 2012, 2015) e bassi (2003, 2006, 2018) di cui non si riesce a cogliere il senso. E con il dato paradossale che la rilevazione del 2022, dopo tutti i mesi in cui la scuola non ha funzionato, è migliore di quella del 2018: sicché il punteggio medio Ocse e il punteggio Italia, che nel 2018 differivano di 17 punti (Ocse 493, Italia 476), nel 2022 coincidono (482), perché ai Paesi Ocse la pandemia ha provocato un forte peggioramento, all’Italia un piccolo miglioramento. Stando a questi dati, non si vede proprio in che cosa la scuola abbia influito sulla capacità di lettura degli studenti, in positivo quando funzionava e in negativo quando non funzionava.

Insomma, c’è profonda incoerenza fra tre fattori: 1) gli orientamenti ministeriali, che da decenni svalutano sistematicamente la “pedagogia linguistica tradizionale”, ovvero la grammatica; 2) la pratica scolastica di massa, depositata in tutta l’editoria scolastica, estremamente conservatrice, nella quale il corpo centrale resta la grammatica, anzitutto nella coscienza e nella pratica della stragrande maggioranza degli insegnanti; 3) i risultati di apprendimento, sia nella “comprensione dei testi” sia nella “riflessione sulla lingua”, molto scarsi e del tutto sproporzionati allo spazio che la grammatica ha alle medie e al biennio. Emblematico il riconoscimento del soggetto della frase, argomento principe dell’analisi logica, canonicissimo in tutti i manuali, che il 75% (!) degli studenti non sa riconoscere.

Data questa incoerenza, che cosa conviene fare? Abbandonare finalmente la grammatica, liberando spazio per insegnare cose più interessanti e più utili? O sostituire la grammatica tradizionale, che da decenni non dà buona prova di sé, con una grammatica di qualità migliore? A mio giudizio, la cosa da fare è la seconda: nelle prossime puntate argomenterò perché, e perché non lo si è mai fatto.