In una graduatoria ideale delle feste religiose più importanti al mondo, i catanesi collocano al primo posto quella della loro patrona Sant’Agata. Che sia vero o meno la festa è magnifica. Si svolge nei giorni 3, 4 e 5 febbraio, data di morte della santa, avvenuta nel 251, con una replica a una settimana di distanza e con un’edizione estiva il 17 agosto, ricorrenza del ritorno delle spoglie da Costantinopoli nel 1126. In realtà i festeggiamenti si annunciano già dal primo gennaio. È un crescendo che coinvolge la città, soprattutto il centro storico, specialmente quando dagli ultimi giorni di gennaio cominciano a girare per le vie i Cerei, le cosiddette candelore, dodici grandi costruzioni di legno in cui sono rappresentate scene del martirio, riccamente scolpite e dorate. Pesano  dai quattro ai nove quintali, a seconda delle dimensioni, e ognuna rappresenta un quartiere, un circolo o determinate arti e mestieri.

Vengono portate a spalla da equipaggi composti da quattro e fino a dodici uomini robusti e accompagnate da una banda musicale esibendosi in una caratteristica danza (la annacata), davanti alle botteghe degli artigiani che ciascuna candelora rappresenta. Lo scopo è di raccogliere offerte dagli imprenditori dei diversi settori. Offerte che servono sostanzialmente per ricompensare il lavoro dei portatori e che comunque non vanno nel novero delle offerte per la Santa.

La mattina del 3 febbraio la festa entra nel suo momento cruciale, con una lunga e articolata processione alla quale partecipano, in una prima fase, soltanto le autorità civili e militari con i gonfaloni del comune, della provincia e dell’università. Seguono le candelore. Al centro del corteo sono le due carrozze del Senato sulle quali prendono posto, accanto al sindaco, alcuni assessori. In base alla presenza o meno sulle carrozze, la folla alle ali del corteo può farsi un’idea dell’importanza dei componenti la giunta comunale. La processione assume un carattere di vetrina dell’influenza politica anche per la partecipazione di svariate associazioni. Gli applausi e i segni di consenso rivolti al sindaco e agli assessori o al capo dell’opposizione sono un termometro del gradimento dei politici che governano la città. Il corteo raggiunge i luoghi del martirio al centro della città, dove avviene l’incontro con le autorità religiose, la consegna delle chiavi della città e l’offerta della cera.

Di ritorno a piazza Duomo la processione assume un carattere religioso e quando raggiunge la cattedrale, il vescovo dichiara aperti i festeggiamenti. La sera alle 20 in punto in piazza Duomo c’è un concerto e un grandioso spettacolo di fuochi d’artificio.

Il 4 febbraio, all’alba, è la cattedrale il luogo verso cui convergono i devoti, molti dei quali sono vestiti con un caratteristico saio bianco (il sacco) sormontato da un berretto tondo di velluto nero. Alla cintura portano un fazzoletto piegato che sarà sventolato durante la processione accompagnando le lodi alla santa. Sono i cittadini, protagonisti della festa. La denominazione è novecentesca. Nelle cronache ottocentesche erano chiamati gli scalzi o i nudi. Quando vengono aperte le porte della chiesa un grande numero di fedeli si riversa dentro, mentre il busto e lo scrigno con le reliquie della Santa vengono prelevati dalla cameretta che li custodisce tutto l’anno e portati in mezzo alla folla dei cittadini, che li prendono in custodia per portarli fuori dalla chiesa e montarli su un sontuoso carro, la vara, adibito al trasporto durante le processioni. Intanto albeggia e il giro esterno ha inizio, aperto dalle candelore.

L’aspetto che più colpisce l’osservatore è la devozione e la straordinaria partecipazione popolare, nel senso proprio dell’essere partecipi e non spettatori nei diversi momenti della festa. Quando la Santa esce in processione dalla Cattedrale una folla variegata, composta soprattutto da ragazze e ragazzi, accoglie la vara lanciando fiori, caramelle e cioccolatini. Questo genera polemiche sul valore stesso di una devozione espressa in modo giudicato troppo rumoroso e lontano dal raccoglimento, insieme a accuse di strumentalizzazione politica e perfino d’inquinamento mafioso. Sta di fatto che per gran parte degli strati più popolari della città è l’occasione per sentirsi parte attiva di una comunità di sentimenti. Il successo crescente della festa ne enfatizza i significati e ne fa sempre più terreno di confronto, di esibizione d’influenza sociale e politica.

Ma forse altrettanto impressionante è la dedizione con cui i cittadini si dedicano al trasporto della Santa. La vara pesa quasi due tonnellate, ma con sopra le reliquie, il busto di Sant’Agata, gli uomini, laici e religiosi, addetti al trasporto, alla guida e alla direzione delle operazioni, e con il carico di candele, raggiunge le tre. È montata su ruote, con un guidatore sotto che aiuta a indirizzarla e a frenarla, ma è di difficile portarla e guidarla, tanto che ancora oggi il traino è sostanzialmente nelle mani di centinaia di cittadini che la tirano con due cordoni lunghi ciascuno duecento metri. Sopra sta il capo vara, che dirige le operazioni, e un rappresentate del clero. La folla precede e non segue la vara. Una devozione importante è quella di guardare in faccia la Santa, ’a picciridda, come viene chiamata affettuosamente.

Il giro esterno disegna il perimetro ottocentesco della città, ormai centro storico, con il passaggio dai luoghi del martirio. A tarda sera la Santa fa una lunga sosta nella popolare piazza Palestro, sotto l’arcata della porta Garibaldi, già Ferdinandea. È la parte della città che meglio dialoga con la Piana di Catania, cuore della produzione agricola, inizialmente abitata dai braccianti che vi lavoravano. Da qui viene benedetta la Piana. Ed è anche il centro del popolare quartiere di San Cristoforo, quello che maggiormente ha contribuito alle cronache catanesi di mafia. A tarda notte il ritorno in cattedrale, quasi sempre in ritardo rispetto all’orario previsto.

La terza giornata è concentrata nel pomeriggio del 5 febbraio, quando alle ore 17,30 la santa esce di nuovo dalla cattedrale per il giro interno. Si comincia con sontuosi fuochi d’artificio, poi il corteo si avvia per via Etnea. La vara è preceduta dalle candelore e da centinaia di cittadini che portano a spalla ognuno un cero acceso, di circa un quintale. Lo spettacolo è di notevole effetto, sembra un fiume di fuoco che s’inerpica verso l’Etna. Precedono la vara anche due file di persone in preghiera. Ai lati una folla enorme e una quantità notevole di bancarelle dove si preparano e si vendono torrone di mandorle, croccante di sesamo, noccioline e altri semi tostati, carne alla brace e beveraggi. Oltre ai palloncini, naturalmente. Nel corso della processione numerose sono le offerte alla vara: fiori, denaro, ma soprattutto candele di cera di diverse dimensioni. Si arriva a piazza Cavour, il borgo che nell’Ottocento era un luogo esterno alla città.

A tarda notte si può assistere a un altro spettacolo di fuochi pirotecnici, poi il rientro verso la cattedrale. Un passaggio importante, che disegna una deviazione dalla traiettoria diritta che porterebbe alla meta, è la salita di San Giuliano, che fino a pochi anni fa si percorreva trainando la vara di corsa. Altro passaggio importante è la monumentale via dei Crociferi dove la santa riceve l’omaggio canoro delle suore benedettine e quindi il rientro in cattedrale, anche questo di solito ben oltre la mezzanotte.

Tali clamorosi ritardi generano spesso polemiche da parte dei tre protagonisti principali: la chiesa, il municipio, i cittadini. Di recente però il successo stesso della festa e l’enorme partecipazione di folla (e anche di turisti) hanno messo in crisi l’equilibrio, per la verità sempre instabile, fra questi tre protagonisti. Affari, transazioni, interessi economici cresciuti nel tempo intorno alla festa, hanno avuto effetti destabilizzanti. In questo quadro di trasformazione un ruolo non indifferente potrebbe essere giocato da interessi e poteri connessi alla criminalità organizzata. Da tempo ci si chiede se la mafia stia allungando le sue mani sulla festa. Queste trasformazioni avranno effetti anche sulla devozione popolare?

Finita la festa iniziano le polemiche: sulla cera sparsa per le strade, che impedisce il traffico e blocca i mezzi pubblici per giorni; sul mancato rispetto delle ordinanze che vietano i grandi ceri accesi trasportati a spalle, o di quelle che proibiscono ai venditori di cibo di strada di piazzarsi sul percorso della processione per ritardarne i tempi e vendere di più; sulle infiltrazioni di gruppi mafiosi e malavitosi.

In fondo anche le polemiche sono un rito. E come i riti, saranno destinate a ripetersi negli anni a venire.

 

[Questo articolo anticipa i contenuti di quello in uscita, dal titolo Sant’Agata a Catania tra religiosità e giochi di potere, «il Mulino», n. 1/2017, pp. 145-154]