Oggi, 17 aprile 2021, proprio mentre scrivo, i lavoratori della musica e dello spettacolo si sono dati appuntamento in Piazza del Popolo a Roma per chiedere la riapertura del settore culturale e creativo, dopo mesi di inattività dovuti alla pandemia. Le librerie, riconosciute per legge come presidi culturali, sono gli unici luoghi di cultura rimasti aperti durante i prolungati mesi di questo secondo lockdown.

Una funzione importante, di cui si è sentito investito Nicolò Gaudino, titolare dell’Orsa Minore, una libreria situata in una delle vie storiche della città di Pisa, intitolata ai mercanti che in epoca Medievale la popolavano con botteghe di artigiani, orafi e spadai. Si tratta di una libreria unica nel suo genere, insieme a una decina di altre in tutta Italia. Una libreria specializzata in letteratura di viaggio, mappe e oggettistica: mappamondi, bussole e taccuini. In un momento storico in cui viaggiare è impossibile, un posto come questo assume un valore simbolico importante.

Nicolò, archeologo di formazione, ma come tanti giovani costretto a reinventarsi, dieci anni fa decide di trasformare la sua grande passione per i viaggi – rigorosamente in solitaria e in moto, dall’Italia fino a Capo Nord – in una professione. Il progetto culturale che sta dietro alla libreria è quello di far conoscere un settore sommerso della letteratura che non trova spazio nelle librerie di catena, un settore dove i libri diventano veicolo per conoscere il mondo e le avventure dei viaggiatori del presente e del passato. Ma è anche quello di promuovere un’idea di viaggio alternativa al turismo di massa. «Chi legge di viaggio», mi dice Nicolò, «difficilmente va in giro come turista per consumare esperienze in luoghi tanto esotici quanto sconosciuti. E difficilmente ha pregiudizi verso chi è diverso, perché essere viaggiatori significa sentirsi cittadini del mondo». Del resto, è stato così sin dai tempi di Erodoto, che, affascinato dalla lingua e dalla cultura dei barbari, finì per essere inviso ai suoi stessi concittadini.

Chi legge di viaggio, mi dice Nicolò, difficilmente va in giro come turista per consumare esperienze in luoghi tanto esotici quanto sconosciuti. E difficilmente ha pregiudizi verso chi è diverso, perché essere viaggiatori significa sentirsi cittadini del mondo

Per scegliere i libri di viaggio – dal diario di bordo al romanzo – Nicolò si affida a due criteri principali. Prima di tutto, l’ambientazione. La storia narrata non deve funzionare se ambientata in un luogo diverso da quello che è oggetto del libro. Nei libri di viaggio, infatti, il luogo è uno dei personaggi, se non il protagonista. Prendiamo Danubio, di Claudio Magris. Se la storia fosse ambientata sul Po, o sul Tevere, perderebbe ragion d’essere. Allo stesso modo, Praga magica, di Angelo Maria Ripellino, non potrebbe essere ambientato in nessun’altra città, perché tutti i riferimenti narrativi e gli stessi rapporti tra i personaggi perderebbero di senso.

Poi, gli autori. La letteratura di viaggio è stata per anni una palestra per tutti i grandi romanzieri, da Charles Dickens a Louis Stevenson a Mark Twain. Tutti, prima di debuttare con i loro romanzi, si sono cimentati con la scrittura di un testo di viaggio. Perché, a differenza dei romanzi e dei gialli, dove l’autore prende i lettori per mano e li conduce attraverso la sua storia, nella letteratura di viaggio l’autore mette i lettori al proprio fianco, trasformandoli nei suoi compagni di viaggio. Ad esempio Patagonia, di Bruce Chatwin. Il libro comincia con una vicenda comune a moltissimi lettori: la stanza degli ospiti, preziosa e nascosta, inaccessibile ai membri della famiglia. Chatwin usa una scena quotidiana per far sì che il lettore si immedesimi nella sensazione da lui provata quando per la prima volta sentì parlare di Patagonia. E così, dopo poche pagine, il lettore si trova già lì, provando esattamente la stessa sensazione del narratore. Patrick Fermor, da molti considerato l’autore di viaggio più importante del Novecento, usa lo stesso artificio letterario nel suo libro più famoso, Il Tempo dei regali, raccontando la serata passata con gli amici prima di partire per un lungo viaggio, e il risveglio, un po' malconcio, per la troppa birra bevuta la sera prima. Chi di noi non ha provato un’esperienza simile?

Entrare in libreria è un atto coraggioso, non tutti hanno la forza di farlo. Fin da piccoli, passa il messaggio che i libri, e la cultura più in generale, sono una cosa seria, verso cui provare deferenza, più che curiosità

«Entrare in libreria è un atto coraggioso» – mi dice Nicolò – «e non tutti hanno la forza di farlo». La frase mi colpisce, mi appare quasi controintuitiva. Eppure è così, mi spiega. Fin da piccoli, passa il messaggio che i libri, e la cultura più in generale, sono una cosa seria, verso cui provare deferenza, più che curiosità. Per questo all’Orsa Minore tutto è scelto con cura: dalle luci, alla disposizione degli scaffali, agli spazi dedicati alla lettura. La libreria, secondo questo libraio e probabilmente come lui molti altri, deve rispecchiare l’anima dei libri in vendita e la personalità di chi li vende, ma anche essere un luogo franco, dove chi entra possa incontrare un consulente ancor prima di un venditore, a cui chiedere un consiglio per la lettura o per programmare un viaggio.

Rendere unica la libreria è anche un modo, continua Nicolò, per intercettare nuovi lettori. Perché difficilmente chi non è abituato a leggere andrà su Amazon per comprare un libro. Mentre le librerie fisiche sono l’unico modo per provare ad attrarre i non lettori, che poi alla fine sono la parte più consistente della popolazione. Per questo Nicolò cerca di portare i libri in luoghi che non hanno niente a che fare con la lettura. Ad esempio, organizzando un fuori salone in diversi luoghi della città, dai ristoranti alle birrerie, in occasione del Pisa Book Festival, il festival dell’editoria indipendente che ogni anno si tiene a Pisa.

Per definire il pubblico di riferimento, anche l’ubicazione conta. Fino a qualche anno fa, l’Orsa Minore si trovava all’angolo di un vicolo del centro storico della città, vicino al Teatro Verdi, il teatro cittadino, e al teatro Sant’Andrea, ricavato da una chiesa sconsacrata del XII secolo e gestito da compagnie teatrali indipendenti. Adesso, invece, la libreria si è spostata in uno dei punti centrali della movida pisana, vicino a una birreria. Da quando ha traslocato l’età media dei visitatori si è abbassata, e la libreria è finalmente uscita dalla bolla dei clienti abituali appassionati di viaggio.

La parabola dell’Orsa Minore è esemplificativa della realtà cittadina. A Pisa, infatti, coesistono almeno tre città parallele, con bisogni molto diversi, spesso in conflitto. Da un lato, gli studenti, principale risorsa economica della città, che a sera affollano le piazze del centro facendo la spola tra i bar di Piazza delle Vettovaglie e le scalinate di Piazza dei Cavalieri, proprio quelle di fronte al maestoso edificio della Scuola Normale Superiore. Dall’altro, i turisti, che si riversano in Piazza dei Miracoli, sito patrimonio dell’Unesco, di fatto ormai sottratta ai cittadini residenti. Infine, questi ultimi, spesso pisani da generazioni, che restano aggrappati alle tradizioni storiche cittadine – il Gioco del Ponte, le Regate delle Antiche Repubbliche Marinare, la Luminara – sentendosi però privati di intere zone della città, che percepiscono come ormai abbandonate al degrado. In questo contesto, a Pisa, pur essendo una città a vocazione internazionale grazie all’aeroporto e alle numerose scuole di eccellenza che attraggono cervelli da tutto il mondo, la cultura resta chiusa nelle università, senza riuscire a connettere le varie anime cittadine. Paradossalmente, Pisa finisce per essere schiacciata su un modello culturale stereotipato, chiuso nella tradizione, fruita da pochi, o nel bivacco notturno, animato dalla voglia di divertimento, insaziabile e fine a se stessa.

In un contesto di crescente malessere e disgregazione sociale acuito dai mesi della pandemia, l’Orsa Minore rappresenta quindi per Pisa una vera e propria finestra sul mondo, uno spazio dal respiro internazionale, aperto e accessibile a tutti. Qui la cultura diventa strumento di aggregazione sociale; e, finalmente, bene comune.