Nelle società contemporanee, internet rappresenta uno spazio fondamentale di espressione, produzione e confronto tra individui e gruppi. È questa consapevolezza a costituire lo sfondo del volume di Giovanni Ziccardi L’Odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete, che esamina l’evoluzione del concetto di hate speech e le sue manifestazioni digitali.
Della rete, le persone apprezzano, da una parte, la natura aperta e apparentemente meno «normata» rispetto a quella del mondo fisico, e si sentono potenziati, d’altra parte, dalla disponibilità di strumenti che mettono ciascuno in condizione di parlare, far circolare il proprio pensiero e di entrare in contatto con interlocutori affini e non. Tuttavia, per le stesse ragioni, la rete costituisce anche un ambiente naturale di espressione per l’inimicizia, per gli istinti più bassi e per le varie forme d’odio caratteristiche dei gruppi umani.
È questo il contesto entro il quale si colloca l’analisi di Ziccardi. Attraverso una trattazione densa, ricca di esempi e riferimenti e sempre avvincente, l’autore propone insieme una ricognizione della letteratura sull’hate speech, una riflessione sui caratteri innovativi associati al discorso dell’odio online e una visione originale su come affrontarlo da parte di autorità e cittadini. Nel corso delle oltre duecento pagine della trattazione si susseguono, quindi, numerosi e armonici riferimenti a casi concreti, rimandi a pronunciamenti e norme, nonché tentativi di costruire tassonomie per gli aspetti emergenti del fenomeno.
Al centro della trattazione ci sono due domande. Ziccardi si chiede anzitutto se – e quanto – l’hate speech online configuri una situazione qualitativamente nuova e irriducibile rispetto alle manifestazioni d’odio più tradizionali. Per poi domandarsi, in modo collegato, quali siano le modalità più efficaci e opportune con le quali contrastare il fenomeno da parte di politici, legislatori e studiosi.
Nella prima parte del libro, dopo aver affrontato le definizioni ed aver illuminato la distinzione, ricca di conseguenze, tra l’interpretazione libertaria di hate speech propria dei nordamericani e quella più garantista della tradizione europea, l’autore passa in rassegna con dovizia di particolari la giurisprudenza prodotta dal secondo dopoguerra ad oggi sulle due sponde dell’Atlantico. Per poi illuminare le evoluzioni subite dal concetto con l’avvento dei media digitali e mettere a fuoco i principali aspetti critici associati all’odio in rete: la possibilità, per chi offende, di agire in modo percepito come più anonimo; la persistenza nel tempo delle offese perpetrate; la possibilità di invadere le vite degli altri fino nelle pieghe più personali ed intime; la natura potenzialmente transnazionale e quindi scarsamente governabile localmente degli attacchi fino al tema, cruciale, del ruolo giocato dai grandi intermediari [ad esempio Facebook, Google/YouTube, Twitter] con i riflessi giuridici, economici e politici collegati.
Segue una serie di capitoli, anch’essi ricchi di esempi e rimandi giurisprudenziali, che tematizzano in dettaglio le diverse forme di odio online – odio razziale, politico, religioso, a sfondo sessuale – e lo stesso uso di internet in ambito terroristico.
Fino al capitolo finale, nel quale Ziccardi tira le fila delle argomentazioni proposte ed esprime compiutamente la sua visione sul fenomeno e sui modi per contrastarlo. Secondo l’autore, mentre è sicuramente vero che l’hate speech online presenta caratteri innovativi e precipui rispetto alle forme storiche di odio – con riferimento, ad esempio, agli accresciuti spazi di anonimato, persistenza, intromissione, centralità degli intermediari tecnologici di cui si è dato conto più sopra – non è necessario né opportuno normare tali situazioni in modo più invasivo e rigido rispetto allo loro controparti analogiche. Per diverse e complementari ragioni, osserva il ricercatore. Perché le norme e i regolamenti disponibili appaiono già congrue e sufficienti a garantire tutela a individui e gruppi; perché un eventuale giro di vite rischierebbe di risultare inefficace, faticando ad abbracciare l’eterogeneità delle situazioni di odio online e la continua evoluzione delle stesse; e perché l’irrigidimento potrebbe, in modo paradossale, portare ad un allontanamento dalle piattaforme proprio di quelle parti deboli che si vorrebbero tutelare, nonché degli stessi grandi intermediari. Contro tale visione, Ziccardi si fa fautore di un approccio che costruisce il contrasto all’odio online a partire da consapevolezza, formazione e responsabilità di individui e gruppi online. In concreto si tratta di attuare una rigorosa e consapevole applicazione delle regole già disponibili, da accompagnare con un lavoro capillare di alfabetizzazione [verso la cittadinanza digitale o netizenship] sia per le persone normali che per i decisori, i quali per non conoscenza o cattiva fede appaiono talvolta tentati dalle scorciatoie irreggimentanti.
Il libro costituisce un riferimento analitico prezioso per tutti coloro che vogliano comprendere il fenomeno dell’hate speech, sia nelle sue dimensioni empiriche che giurisprudenziali. L’autore passa in rassegna la letteratura e le casistiche in modo eccellente, offrendo ricorsivamente connessioni e spunti verso gli aspetti meno scontati e da lì verso l’attualità. Una ricognizione minuziosa e quasi onnicomprensiva, capace di abbracciare le innumerevoli sfaccettature assunte dall’odio digitale arrivando fino a manifestazioni apparentemente lontane, come il reclutamento terroristico online e la cyberguerra. Di particolare interesse, poi, le riflessioni intorno alla rilevanza dei grandi attori – dai policymakers con le loro tentazioni di irrigidimento normativo agli intermediari tecnologici – e gli squarci di futuro prospettati con il riferimento alle possibilità di monitoraggio algoritmico dei crimini o di aggregazione online contro le offese.
Uno sforzo di definizione e di analisi rispetto al quale sussistono poche e circoscritte riserve. La prima riguardante la descrizione fatta dei grandi player tecnologici [Facebook, Google e simili] e del loro comportamento strategico. Ziccardi evidenzia in modo eccellente il ruolo sempre più decisivo rivestito da tali attori per la regolazione della vita online, e descrive in modo vivido le difficoltà da essi affrontate per intervenire in modo equilibrato rispetto alle diverse specie d’odio e trovare una composizione con le diverse giurisdizioni nazionali. Da questo punto di vista, fosse anche soltanto rispetto alle possibili problematizzazioni del futuro, sarebbe stato utile rimarcare di più la natura non neutra – e anzi fortemente ideologica – delle agende proposte dai grandi player, nonché i rischi di prevaricazione e abuso collegati al loro potere sempre crescente e difficilmente governabile lungo le griglie nazionali. La seconda riserva ha carattere espositivo: specialmente nei suoi capitoli centrali, il volume avrebbe forse potuto trarre giovamento da una riduzione nel numero di esempi proposti.
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