Che cosa è accaduto al modello emiliano, prisma pluriverso e controverso, e paradigma attuato di governance integrale (discendente, sotto più di un profilo, da quello della cooperazione integrale teorizzato e praticato, tra XIX e XX secolo, dal reggiano Antonio Vergnanini)?
Negli ultimi tempi (che ormai si son fatti lunghi…), si sono succedute tante cose, spesso non positive, talvolta ambivalenti, e tutte quante, in ogni caso, congiuranti nel debilitarlo e trasmutarlo. E non nella direzione della pietra filosofale del pieno consenso e gradimento da parte di coloro che abitano quelle terre, bensì in quella opposta e contraria di una politica che è riuscita a fare scappare gli elettori. Fino a fare risuonare segnali pericolosissimi (e, a nostro giudizio, tendenzialmente irreversibili), che hanno portato più di una voce e di uno studioso a parlare, molto ragionevolmente, di un suo tramonto e della fine di un ciclo (da vari punti di vista etichettabile come «glorioso»). Un declino innegabile in ambito sociale ed economico, come in quello politico; e su quest’ultimo vorremmo provare a delineare alcune piste interpretative e di analisi, a partire dal dato, clamoroso, delle elezioni regionali di domenica 23 novembre 2014, il quale va sicuramente a confermare, in un territorio che sembrava molto più resistente e resiliente degli altri, la «destrutturazione del sistema partitico italiano» (per rubare il titolo al saggio pubblicato da Luigi Ceccarelli, Ilvo Diamanti e Marc Lazar nell’edizione 2012 di Politica in Italia, Il Mulino, 2013).
Ora, non vi sono gli elementi, in tutto e per tutto, per affermare che il modello emiliano sia già stato sotterrato – ma, di certo e in maniera sempre più distinta e riconoscibile, appaiono innegabili i rintocchi delle campane funebri che l’accompagnano.
Riproduciamo qui l'incipit dell'articolo di Massimiliano Panarari pubblicato sul “Mulino” n. 1/15, pp. 95-104. L'articolo è acquistabile qui.
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