Al mattino vado a tagliarmi i capelli dal barbiere di via Giusti, parrucchiere ma anche luogo di ritrovo dei pensionati della zona. Il menu prevede di solito Milan, Inter, Juve, i politici ladri, descrizione di mangiate. Stavolta si parla dei funerali di Eco. I due parrucchieri valutano, molto teoricamente, la possibilità di andarci, "Ué Gino, dobbiamo lavorare" e il discorso finisce lì. In ufficio, prima di andare, mi rileggo due pagine di Mario Soldati sui funerali di Benedetto Croce. Le scrisse in occasione del decimo anniversario della morte, quando la stella di Croce si era ormai offuscata. Soldati ricorda una Napoli silenziosa, con le finestre serrate, in attesa di veder passare il corteo funebre. Ma a Palazzo Filomarino, residenza del filosofo, regnava la confusione. Il presidente Einaudi volle soprattutto salutare l'amico, seminò i corazzieri e il cerimoniale non riuscì a ricomporsi. Divenne un funerale "anti crociano", il perfetto sistema del filosofo cominciava da subito a perdere pezzi. Poi Soldati, con un'impennata da scrittore di razza, risarcisce Croce immaginando in una trattoria popolare i suoi allievi (cioè tutti quanti) che mangiano col capo chino, vergognosi, in silenzio.
Mentre mi avvio verso il Castello constato che Milano non si ė fermata. Sarebbe impossibile. Arrivato lì con una mezz'ora di anticipo, vedo il Castello preso d'assalto da una folla variopinta: facce note, ma anche tanti sconosciuti che si sono dati appuntamento per un pomeriggio in gita. Nel cortile centrale una fila smisurata attende di entrare nel Cortile della Rocchetta. Proseguo e mi imbatto per caso in un gruppo di amici. "Stai con noi", dice una ragazza (di 50 anni come me; è Marianna, mia compagna delle elementari, e amica di Carlotta, figlia di Eco, amica anche mia). Ci sono Cataluccio, Belpoliti, Gad Lerner, amiche di Carlotta, i rappresentanti di Monte Cerignone, molto festeggiati da Carlotta, il buen retiro estivo del Professore, e altri. Veniamo condotti su un lato del Cortile della Rocchetta, dove già sono seduti i vecchi amici di Eco e dove ronzano fotografi e giornalisti che cercano di infrangere un cerimoniale sobrio, ma ben organizzato. Alle 3 in punto prende la parola Mario Andreose, storico editor di Eco e, nell'occasione, impeccabile, asburgico, maestro di cerimonie. Comincia, dopo un quartetto d'archi, il padrone di casa, il sindaco Pisapia, poi i ministri Franceschini e Giannini e così via. Intervento, applauso. Intervento, applauso. La cerimonia han detto che durerà un'ora, ma, a quota mezz'ora, sembra già lunghissima.
Mi guardo intorno: gli unici occhi lucidi, almeno nella mia zona, sono quelli delle amiche di Carlotta e degli allievi del Professore che fanno i conti con la propria giovinezza, con quel che sono diventati. Ogni tanto guardo Carlotta e ha sempre un bellissimo sorriso. Non applaude. Mi conforta. Finalmente si sente la voce di Eco. No, non è lui, è la voce mandrogna del musicista Gianni Coscia, amico di gioventù, che lo fa rivivere attraverso un aneddoto. A seguire Furio Colombo, silver fox, forse l'amico più caro, che tra ricordo e ragionamento dà finalmente la misura della grandezza di Eco, l'essere insieme grande maestro e narratore per tutti e come le due cose stanno insieme. Ci si avvia verso la fine: l'applauso più sentito, per l'uomo, è per Emanuele, il nipote più grande di Eco. La folla è come se volesse trattenerlo per un momento tra noi. Quartetto d'archi. Fine.
Devo scappare, ma si è avviato il corteo funebre che avanza e si ferma, accolto ogni volta da una salva di applausi. Vedo tra la folla il volto contrito e che disapprova gli applausi di Ginevra Bompiani e mi torna in mente il discorso bellissimo che fece per ricordare sua zia, Silvana Mauri, nipote di Valentino Bompiani (un secondo padre per Eco) e che fu il motore sensibile e nascosto di quel mondo che si vede nei fotogrammi de La notte di Antonioni, dove spunta anche un giovane Eco. Proseguo per un appuntamento editoriale. In metropolitana due ragazze parlano dell'esame di Semiotica. Resisto alla tentazione di chiedergli di Eco.
All'appuntamento, con Marco Vigevani, parliamo con l'editore di un libro a cui teniamo molto: tempi di uscita, titolo, copertina, tiratura, lancio. Insomma un mestiere che Eco non ha mai smesso di praticare, prima per gli altri, poi per sé. Devo andare ancora da un'altra parte: alla mostra all'Ansaldo che celebra Ronconi e le sue regie alla Scala. Ritrovo alcuni dei partecipanti al funerale. Ci si saluta come tra reduci. L'ha allestita Margherita Palli ed è bellissima. È insieme pedagogica, spettacolare, emozionante. Emozionante rivedere i volti giovani di Ronconi, Gae Aulenti, Claudio Abbado. Volevano cambiare il mondo. Poi si trattò di difenderlo. Eco non c'era, ma era come se fosse tra loro. La giornata prosegue ancora, non finisce mai, ma ora è cronaca privata. Mi addormento e mi risuona l'inconfondibile risata di Carlotta, quella del padre, ma più gentile.
Tutto sommato è stata una bella giornata.
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