Il Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia è il primo risultato di un progetto di più ampio respiro al quale sono stati invitati a collaborare storici, teologi, giuristi, sociologi, pedagogisti, educatori. Cosa si intende, propriamente, per analfabetismo religioso? Ad esempio, solo il 30% degli italiani conosce i nomi degli evangelisti e sa mettere nell’ordine cronologico Noè, Abramo, Mosè e Gesù, mentre appena l’1% conosce tutti e dieci i comandamenti. D’altra parte, la domanda: «Chi ha scritto la Bibbia?», dopo Spinoza e gli inizi della critica biblica, metterebbe in difficoltà fior di biblisti e neotestamentaristi, per cui sarebbe interessante sapere quale sia la risposta giusta data dal 52% degli intervistati (risposte sbagliate: Mosè e Gesù).

Silvio Ferrari sostiene che l’analfabetismo religioso può essere in primo luogo incoraggiato da «un assetto politico e giuridico della vita associata che privilegi una particolare religione a discapito delle altre» e che «il secondo modo di promuovere l’analfabetismo religioso passa attraverso una particolare concezione della laicità, concepita non come una norma di organizzazione della convivenza sociale ma come una sorta di filosofia della buona vita che lo Stato ha il dovere di insegnare ai suoi cittadini» (pp. 18 e 20).

Flavio Pajer invita a distinguere diversi tipi di ignoranza: «È risaputo che in genere il vocabolario accusatore di chi denuncia “ignoranza religiosa” emerge istintivo in chi “abita” culturalmente nell’orbita del sistema proprio al P[aradigma]1, in chi cioè ha conosciuto da giovane un sistema monoconfessionale di istruzione e lo ritiene tuttora come l’unico legittimo ed efficace» (p. 93). Nel contesto sociale multireligioso e accademico del Paradigma 2 «religiosamente alfabetizzato sarà ritenuto chi domina il fenomeno religioso con un minimo di strumenti concettuali che vanno dalla storia dei cristianesimi europei alla storia delle maggiori religioni mondiali, dall’ermeneutica dei testi sacri alla sociologia delle neo-religioni nonché dei nuovi ateismi contemporanei» (p. 94). La scuola del Paradigma 2 tenterà di «educare i giovani d’oggi prendendoli là dove sono, immersi cioè nel frastuono indecifrabile di simboli, messaggi, eventi, che rischiano di rimanere inaccessibili e opachi» (ivi). Nel Paradigma 3 la scuola preferirà concentrarsi sui valori etici: «Più che misurare i livelli di conoscenze religiose (non trascurati comunque), si misurano i livelli di capacità di positiva tolleranza verso i diversi, le capacità di capire e dialogare con diversi per fede o convinzione» (ivi).

Paolo Naso esorta a riflettere sui costi sociali dell’analfabetismo religioso, inteso soprattutto come non conoscenza della religione dell’altro, e non solo della propria. Luoghi comuni, pregiudizi, mancanza di conoscenza portano a incidenti culturali, conflitti nei luoghi della vita quotidiana, lacerazioni della comunità civile e creano ostacoli alla convivenza e all’integrazione sociale.

Quale è il ruolo che la scuola e l’università svolgono e possono svolgere per diffondere le conoscenze religiose? Quali i problemi posti dall’ora di religione e dall’ora alternativa nelle scuole pubbliche? Quale il ruolo dei media? Quali sono le buone pratiche nelle mense, negli ospedali, nei cimiteri, nei luoghi di lavoro? Quale il ruolo di Internet? Perché non si riesce ad approvare una legge sulla libertà religiosa che superi la normativa sui culti ammessi del 1929? Tra le molte tematiche affrontate nel volume, ne scelgo alcune.

L’85% degli italiani si dichiara cattolico, il 70% ha in casa una Bibbia, meno del 30% la legge. Piero Stefani afferma che «le due grandi istituzioni di formazione culturale degli italiani, chiesa cattolica e scuola, non forniscono ormai alle nuove generazioni i rudimenti biblici propri della storia sacra, mentre continuano a essere incapaci di sostituirli con una cultura biblica organica» (p. 311). La sua conclusione è che «per quanto in molti settori cresca l’attenzione nei confronti della Bibbia, aumenta specularmente, anche il numero, ben più elevato, di coloro che ormai non ne sanno più nulla» (ivi).

Maria Chiara Giorda esamina molti manuali di storia adottati nelle scuole e la sua conclusione è che più che parlare di analfabetismo si deve in questo caso parlare di «un’alfabetizzazione mediocre e standardizzata su temi storico-religiosi» (p. 229). Mi permetto di suggerire di allargare l’indagine ai manuali di filosofia e vorrei portare un piccolo contributo. L’Abbagnano-Fornero è, da decenni, uno dei più diffusi manuali liceali di filosofia. Nell’ultima edizione - cartaceo + digitale + contenuti digitali integrativi – dopo la filosofia greca, e prima della filosofia cristiana, troviamo un paragrafo su «La novità del messaggio cristiano» in cui a proposito della predicazione di Gesù Cristo si legge: «Tale predicazione allarga però immediatamente l’orizzonte dell’annuncio profetico, estendendolo dal solo popolo eletto a tutti i popoli della terra, cioè a tutti gli uomini di “buona volontà”, indipendentemente dalla loro razza, dalla loro civiltà e dal loro grado sociale» (p. 133). Dal che, senza nessuna spiegazione di cosa debba intendersi per “elezione”, si può ricavare che invece l’ebraismo è limitato alla sola “razza” ebraica. E ancora: «Alla legge del Vecchio Testamento, sintetizzata un po’ semplicisticamente nel detto: “Occhio per occhio, dente per dente”, Gesù oppone dunque la nuova legge cristiana dell’amore» (p. 134). Da una parte la vecchia religione della vendetta, dall’altra la nuova religione dell’amore! Si immagini un bravo studente che diligentemente abbia imparato la sua lezione, che cosa penserà dell’ebraismo?

Se dai manuali scolastici passiamo ai giornali, le brutte sorprese non mancano. Negli ultimi giorni del 2013, in uno dei più importanti quotidiani italiani, a firma di uno dei più importanti giornalisti italiani, si leggevano queste parole: «La legge mosaica condensata nei dieci comandamenti ordina e impone divieti. Non contempla diritti, non prevede libertà. Il Dio mosaico descrive anzitutto se stesso […] Il Dio mosaico è un giudice e al tempo stesso un esecutore della giustizia. Almeno da questo punto di vista non somiglia affatto all’ebreo Gesù di Nazareth, figlio di Maria e di Giuseppe, della stirpe di David. […] Quel Dio è unico, è giudice, è vendicatore ed è anche, ma assai raramente, misericordioso, ammesso che si possa definire così chi premia l’uomo suo servo se e quando ha eseguito la sua legge» (Eugenio Scalfari, «la Repubblica» del 29/12/ 2013).

Per un verso, in documenti del Magistero cattolico al più alto livello si è consapevoli che la Chiesa considera Israele e la sua fede come radice sacra della stessa identità cristiana, che «come cristiani non possiamo considerare l’ebraismo come una religione estranea» e che «la Chiesa si arricchisce quando raccoglie i valori dell’ebraismo» in quanto «esiste una ricca complementarietà che ci permette di leggere insieme i testi della Bibbia ebraica e aiutarci vicendevolmente a sviscerare le ricchezze della Parola» (Evangelii Gaudium §§ 247-249). D’altra parte si assiste alla pubblicazione, da parte di autori affermati, di testi che vanno in tutt’altra direzione e continuano a riproporre, come se fossero nuovi, obsoleti modi di pensare, in un orizzonte del tutto preconciliare.

Inchiesta su Maria (Rizzoli, 2013) vede Corrado Augias interloquire con Marco Vannini, presentato come «uno dei più eminenti studiosi italiani di mistica e della tradizione spirituale cristiana», mettendone in evidenza la centralità nell’ambito dell’esperienza religiosa cristiana e descrivendo anche lo sviluppo dei dogmi mariani. Il libro, che ha l’obiettivo di trattare «la storia vera della fanciulla che divenne mito», è caratterizzato dal marcionismo di sorprendenti affermazioni di questo tenore: «Qui è l’essenza del cristianesimo, ben lontano da ebraismo e islamismo, cui è legato solo storicamente, vicino semmai all’induismo» (p. 170), oppure: «Anche il Dio della Bibbia è diverso dal Dio cristiano, anzi è così diverso che ci si è chiesti più volte e autorevolmente come facciano a convivere nella stessa religione due divinità tanto dissimili» (p. 194).

Come è possibile che ancora siano riproposti tali argomenti che tanto hanno alimentato nel corso dei secoli l’antigiudaismo cristiano – come se invece fossero frutto di un nuovo modo d’intendere il cristianesimo? La teologia della sostituzione e l’insegnamento del disprezzo sono ancora ben lungi dall’essere debellati e continuamente si ripropongono in modi apparentemente nuovi e accattivanti.

Ritornando al Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia, Alessandra Vitullo muove dalla constatazione che Internet è ormai diventato uno dei canali privilegiati della comunicazione religiosa. Se si digita su Google «religion» si ottengono 460 milioni di risultati, al punto che si parla di The Unknown God of the Internet e di Cyberspace as Sacred Space. Vale a dire che Internet non è più solo uno strumento di comunicazione, ma «genera un ambiente all’interno del quale si struttura la stessa religiosità. Sulla rete si sviluppano la comunicazione, il culto e le pratiche religiose» (p. 358). Da qui la distinzione tra religion online, che indica l’uso che di Internet fanno le religioni storiche come mezzo di comunicazione, e online religion, nuove religioni, cybersette, comunità religiose virtuali nate e sviluppatesi sulla rete con l’adesione di migliaia di internauti. Vitullo si chiede se «per le online religion Internet può diventare un nuovo luogo della trascendenza» (p. 362). Vi è chi nega autenticità all’esperienza religiosa in rete, in quanto caratterizzata dal disembodiment (assenza della componente fisica) ma «sembrerebbe prevalente l’idea che l’ambiente virtuale sia in grado di coinvolgere l’utente sia dal punto di vista emozionale che da quello intellettivo, tanto da poter parlare di “virtual embodiment”» (p. 363). Così conclude Vitullo: è la realtà online che permette di riguadagnare il terreno perso dalle religioni nella realtà offline.

Purtroppo il cyberspazio è anche uno dei luoghi in cui l’odio antiebraico, l’intolleranza e la xenofobia si diffondono e proliferano in modo incontrollato.

Per non abbandonarci al rimpianto dei bei tempi che furono, è bene ricordare che ecumenismo, dialogo ebraico-cristiano e dialogo interreligioso sono assai recenti: celebreremo l’anno prossimo i 50 anni di Nostra Aetate. Solo nel 1870 il Ghetto di Roma venne abolito, e neppure sette decenni dopo vennero varate le leggi razziste. Per non eccedere nella critica delle società europee, è bene ricordare che in molte regioni del mondo la libertà religiosa è di gran lunga minore che in Europa.

Viviamo tempi nuovi, di grandi sfide e di grandi opportunità. Se, come diceva Giovanni Paolo II, l’attesa messianica unisce, senza identificarli, ebrei e cristiani, a caratterizzare i giorni del Messia è la fraternità universale tra tutti gli esseri umani.