Lo storico medievista francese Jacques Le Goff è morto il primo aprile scorso, a novant’anni. Un’età che può far supporre, a chi non sia un po’ addentro nelle cose della disciplina, che stiamo parlando di uno studioso autore di scritti ormai polverosi, e che queste righe costituiscano solo un omaggio obbligato a chi da un pezzo ha ceduto le armi a più giovani e agguerriti ricercatori. Ma così non è. Stiamo parlando di uno straordinario scrittore di cose di storia ancora perfettamente fresche e leggibili da un pubblico vasto, oltre che di un grande ispiratore per chiunque voglia riflettere con lunghezza di prospettive sull’Europa, sugli europei e sul senso dell’Unione europea.
Per me, come per molti (allora) giovani storici italiani non medievisti, e anche per molti giovani studenti di storia, il contatto folgorante con le pagine di Jacques Le Goff avvenne negli anni Settanta con la raccolta einaudiana di saggi Tempo della Chiesa, tempo del mercante. Mondadori aveva già pubblicato cose sue, le edizioni Sansoni avevano stampato fin dal 1969 uno dei suoi lavori più impegnativi, La civiltà dell’Occidente medievale, e il personaggio in ogni caso era ben noto agli studiosi più avvertiti, dato che pubblicava in Francia dalla metà degli anni Cinquanta. Ma per chi era più ingenuo, e ancora agli inizi nel rapporto con la ricerca storica, in quel libro c’era davvero tutto Le Goff con tutta la sua capacità di mettere in evidenza la ricchezza e la complessità del passato (o dei passati) che abbiamo dietro di noi. I saggi che componevano il volume erano stati tutti già pubblicati negli anni precedenti, uno negli anni Cinquanta e gli altri lungo il ventennio successivo, ed erano di argomenti molto diversi fra loro: il tempo, il lavoro, le università, i mercanti, le eredità molteplici raccolte dalla cultura medievale, le immagini della società, il folklore, i sogni.
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Riproduciamo qui l'incipit del Profilo di Jacques Le Goff scritto da Ottavia Niccoli e pubblicato sul «il Mulino» n. 4/14, pp. 678-683.
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