Esattamente un anno fa, il governo guidato da Mario Monti, con Anna Maria Cancellieri agli Interni, scioglieva il Comune di Reggio Calabria per presunte infiltrazioni mafiose. A distanza di 10 mesi, il sindaco di quella amministrazione comunale, Demetrio Arena, è stato dichiarato incandidabile da una sentenza del Tribunale di Reggio Calabria. Insieme a lui sono stati ugualmente giudicati incandidabili altri sette tra assessori e consiglieri comunali.
La sentenza è particolarmente importante perché, oltre a riguardare politici di un certo rilievo nel contesto locale, è una delle prime che mette in pratica le modifiche normative apportate, nell’estate del 2009, alle procedure che riguardano lo scioglimento dei Comuni ritenuti condizionabili dalla mafia. L’insieme di quelle modifiche – che, tra le altre cose, prevedevano l’introduzione di presupposti più stringenti per giungere allo scioglimento; la possibilità di intervenire anche sull’apparato burocratico-tecnico e non solo su quello politico dell’ente locale; e, appunto, la possibilità di dichiarare incandidabili gli amministratori locali ritenuti responsabili delle infiltrazioni mafiose – erano state salutate con un certo scetticismo dai commentatori. L’analisi degli oltre 200 casi di scioglimento, spalmati lungo oltre un ventennio, aveva infatti mostrato che, più della lettera della norma, è importante la prassi applicativa la quale, a sua volta, è condizionata dal clima sociale e politico che si crea intorno al tema delle mafie. Ad esempio, a dispetto della stretta sui presupposti dello scioglimento, si è passati dai 23 casi del triennio 2007-09 ai 43 di quello 2010-13. Considerando che all’incandidabilità si giunge (giustamente) solo a seguito di una sentenza di Tribunale, e considerata la lentezza della giustizia italiana rispetto ai tempi della politica, lo scetticismo sull’effettiva applicazione della norma appariva più che motivato. Le vicende reggine sembrano ora dar torto agli scettici e provare, al contrario, che è possibile giungere, in soli 10 mesi, ad una sentenza che dichiari incandidabili, come recita la norma, “gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento (…) alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso”. Per una norma che fa a gara con quella del soggiorno obbligato per numero e varietà di critiche ricevute, si potrebbe a ragione sostenere che, in questo caso, almeno un risultato positivo lo si è raggiunto.
Sennonché, nell’aprile del 2013, quindi a metà strada tra lo scioglimento del Comune e la sentenza di incandidabilità, il presidente della Giunta Regionale della Calabria, Giuseppe Scopelliti, nomina Arena assessore alle Attività produttive. Scopelliti, tra le altre cose, è stato sindaco di Reggio Calabria nelle due consigliature precedenti quella di Arena. Una lunga gestione rispetto alla quale quella di Arena era stata ritenuta “in continuità” dalla Commissione di accesso che aveva istruito la pratica dello scioglimento. Un’esperienza politica che aveva permesso a Scopelliti di conquistare la carica istituzionale più ambita in Regione, ma nella quale sono da rintracciare le radici del consistente debito accumulato dal Comune di Reggio Calabria che ha fatto rasentare la dichiarazione di dissesto dell’ente locale (alla quale non si è giunti solo perché, nel frattempo, il Comune era stato sciolto per mafia).
Insomma, anche quando la normativa sembra ben congegnata e altrettanto ben applicata, le logiche politiche si mostrano più forti di essa e capaci di piegarla ai propri desiderata. Ciò dovrebbe far riflettere tutti coloro che – e sono tanti – continuano a ripetere, a mo’ di ritornello, che la legge sugli scioglimenti non funziona e che c’è bisogno di profonde modifiche. La vicenda può essere considerata, nel suo piccolo, un caso esemplare di “alibi delle riforme” che da almeno vent’anni pervade il dibattito pubblico (e quello politico in particolare) nel nostro Paese. Un alibi che sposta l’attenzione da quel che si potrebbe fare subito a quel che si dovrebbe prima o poi fare (ma che non si capisce bene chi non lo vuol fare e perché non si faccia). Nel caso specifico, le due strade sono facilmente identificabili: chiedere ad Arena (e a Scopelliti) di rassegnare le dimissioni oppure chiedere a chi detiene il potere legislativo di aggiungere anche le cariche assessorili tra quelle che non possono essere ricoperte, fino al turno elettorale successivo, per coloro che sono ritenuti responsabili di infiltrazioni mafiose. Mentre la richiesta di dimissioni è stata da qualcuno avanzata, ma finora senza esito, la proposta di mini-modifica normativa non sembra ancora essere emersa nel dibattito.
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