La crisi sanitaria ha fatto emergere disuguaglianze in campo educativo e dinamiche di esclusione. In Italia hanno interrotto la scuola 9 milioni di bambini, bambine e ragazze e ragazzi, oltre a 1 milione di bimbi e di bimbe dei nidi e dei servizi educativi della prima infanzia. Dei primi si è parlato molto (dalla didattica della quarantena all’assenza di didattica), dei secondi molto meno. Come segnalato dal Forum Disuguaglianze e diversità e dalla Rete educAzioni, il Covid-19 pone tutto il mondo dell’educare, non solo la scuola, di fronte a una necessaria inversione di tendenza verso una scuola nuova, «a un tempo aperta, egualitaria e rigorosa, dove si impara meglio, entro la prospettiva di comunità educanti larghe ed evolute». È questa la strada da percorrere per contrastare la crescita delle disuguaglianze educative, della povertà educativa, del fallimento formativo.
Parliamo quindi di metodi e strategie, ma anche di luoghi nei quali le disuguaglianze si manifestano in modo più marcato e dove, molto spesso, nascono e possono svilupparsi le sperimentazioni migliori. La prospettiva territoriale, su scala locale, permette di far emergere difficoltà e opportunità con cui si fa scuola in aree periferiche, interne, rurali, montane per investire su un’idea di educazione come processo non esclusivamente scolastico.
Nelle varie forme di esclusione, dalla difficoltà di accesso ai dispositivi alla connettività adeguata, le periferie sembrano somigliarsi un po’ e superare le differenze geografiche. I margini, lontani dai servizi da sempre, sono abituati a sviluppare forme di adattamento e capacità di fare «di quello che c’è una opportunità». Se nel corso dell’emergenza sanitaria le politiche educative, o il discorso sulle politiche, hanno trattato le scuole in modo uniforme, molte di queste hanno reagito in modo diverso, soprattutto nelle aree interne, dove la relazione tra scuola e territori è ancora molto forte.
Diverse di queste capacità di reazione sono state possibili grazie a scelte pedagogiche, dettate da necessità ma anche da opportunità, da disegni strategici e politiche multilivello come la Strategia nazionale per le aree interne (Snai), una politica pubblica che interessa 72 aree progetto, con oltre 2 milioni di abitanti, in 1.077 comuni che coprono circa il 20% del territorio nazionale. Nelle Strategie di area sono state ridisegnate le politiche per la scuola, la mobilità, la salute, il Welfare e integrate con le azioni di promozione delle imprese. Si tratta di progetti che, oggi, confermano la loro portata innovativa e possono diventare «casi pilota» non solo per i contesti nei quali sono stati pensati, ma per tutto il territorio nazionale.
In alcune aree interne la Dad ha rappresentato una scelta progettuale precisa per superare le distanze fisiche e le difficoltà di mobilità, ed è diventata un modello sul quale investire risorse, competenze, modelli organizzativi. Ad esempio a Sassello, per rispondere a diverse emergenze (dalla lontananza fisica della scuola all’assenza di sistemi di trasporto e di infrastrutture tecnologiche adeguate), da anni si sta sperimentando una scuola innovativa, a distanza. È un’esperienza che ha facilitato la gestione della didattica a distanza di questi ultimi mesi perché, semplicemente, i bambini «lo facevano già». Seguire lezioni da casa perché la lontananza non permette di frequentare la scuola in presenza è una necessità che ha permesso a docenti e studenti di confrontarsi con tecniche e tecnologie.
[L'articolo completo è pubblicato sul "Mulino" n. 5/20, pp. 902-908. Il fascicolo è acquistabile qui]
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