Mentre tutto il mondo si interroga, con angoscia, sulla guerra in corso nell’Europa orientale, in una periferia d’Italia, cioè in una città calabrese, si manifesta clamorosamente la presenza, sulla scena pubblica, di un altro Oriente, questa volta del tutto nostrano.

Difatti a Cosenza è avvenuto nei giorni scorsi un fatto nuovo e significativo, che ha suscitato molta curiosità e tanti commenti nella popolazione: a completamento dei lunghi e costosi lavori di ristrutturazione di una palazzina d’epoca, ubicata nel centro della città e il cui riutilizzo era stato per anni oggetto di pettegolezzi (una nuova banca? Il Rotary club? Un’altra associazione ricca di risorse?), sul muro d’ingresso è apparsa la scritta che ha sciolto ogni dubbio: Grande Oriente d’Italia.

Si tratta di un fatto curioso: i liberi muratori, sempre assai attenti a difendere la loro privacy, questa volta, al contrario, si mostrano pubblicamente, in maniera inedita e con un volto elegante, nel pieno centro della città, tra il municipio e una grande Chiesa. Fanno tutto ciò attraverso una costruzione che per decenni era stata sede di un istituto di credito privato, la Banca di Calabria, fondata a Napoli da un calabrese, Luigi Quintieri, un uomo di origini aristocratiche dotato di un ingente patrimonio fondiario e finanziario, presidente della stessa fino alla trasmissione della carica nel 1935 al figlio Quinto, imprenditore e banchiere di rilievo, di formazione liberale, ministro delle Finanze nel primo governo Badoglio della primavera 1944. Giova ricordare che Quinto, in quello stesso anno, diresse, con Enrico Cuccia e altre figure già allora importanti del mondo economico e finanziario, la prima missione economica italiana negli Stati Uniti per ottenere aiuti e sostegni per la ricostruzione.

Diversi studi sulla storia politica calabrese testimoniano quanto diffusa e influente sia stata la massoneria a Cosenza nel periodo post-unitario e fino alla caduta del fascismo

Diversi studi sulla storia politica calabrese testimoniano quanto diffusa e influente sia stata la massoneria a Cosenza nel periodo post-unitario e fino alla caduta del fascismo, come d’altra parte avvenuto in diverse altre regioni del nostro Paese durante la lunga fase storica precedente alla affermazione e, poi, al primato dei partiti politici di massa nella democrazia repubblicana. Infatti, per diversi decenni successivi all’unificazione dell’Italia, il conflitto ufficiale (e le alleanze sotterranee, specie a livello locale) tra massoni e clericali ha occupato il centro della scena politica. Dopo, a partire dai primi anni del secondo dopoguerra, la massoneria si è per così dire ritirata nella dimensione privata, pur continuando ad influenzare in maniera considerevole la politica italiana, innanzitutto attraverso la presenza di confratelli praticamente in tutti i partiti dell’arco politico, pur in misura diversa (come biografie, memorie, inchieste, ricerche dimostrano).

A partire dallo scandalo della P2 e per effetto dei numerosi processi che hanno mostrato all’opinione pubblica il volto inquietante della «massomafia», la massoneria italiana ufficiale ha preferito mantenere un basso profilo

A partire dallo scandalo della P2 all’inizio degli anni Ottanta (si rammenti che in quel periodo due cosentini, l’avvocato Ernesto D’Ippolito, liberale, e l’ingegnere Ettore Loizzo, comunista poi espulso dal partito, facevano parte dei vertici della massoneria italiana e apparvero sulla stampa e tv nazionale per difendere l’istituzione ufficiale contro le cosiddette «deviazioni») e, in seguito, per effetto dei numerosi processi che hanno mostrato all’opinione pubblica il volto inquietante della «massomafia» (cioè l’esistenza di più organizzazioni che poggiano sull’alleanza di pezzi di massoneria e gruppi criminali), ancora di più la massoneria italiana ufficiale ha preferito il basso profilo e la riservatezza. È anche vero che molte fonti e inchieste sostengono che, da diversi anni, la rete dei circoli massonici si stia fortemente allargando nel nostro Paese, ben oltre i confini delle regioni dove solitamente si riteneva più radicata (come la Toscana, l’Umbria e il Lazio), ma sempre privilegiando gli ambienti professionali, economico-finanziari, accademici e della dirigenza statale.

Questo fatto nuovo suscita subito alcune considerazioni. La prima riguarda il fatto che il potere, come insegnano i classici delle scienze sociali, non ammette vuoti ed infatti, nel nostro caso, al tramonto ormai avanzato dei partiti politici, intesi come attori collettivi forniti di larga legittimazione popolare, dotati di sedi, iscritti, ideologie e programmi, leadership riconosciute, apprezzate, di provata indipendenza e trasparenza (sostituiti assai spesso, soprattutto in alcune aree del Paese come la Calabria, da arcipelaghi di faccendieri  e voltagabbana), corrisponde senz’altro la nascita di nuove formazioni politiche, ma pure la riaffermazione di altre forme pre-partitiche di aggregazione degli interessi e dei progetti presenti nella società.

I poteri non legittimi, che solitamente, operano "dietro le quinte della politica", nei periodi di crisi sociopolitica acuta, possono "politicizzarsi" e presentarsi sulla scena pubblica

La seconda considerazione, di carattere più scientifico, fa riferimento alla lezione, troppo spesso dimenticata, di uno dei maggiori studiosi della politica italiana, Paolo Farneti, scomparso tragicamente negli anni Settanta. Farneti, in alcune sue pubblicazioni, aveva sottolineato che i poteri di fatto non legittimi, cioè i poteri sociali, come quelli economici, che solitamente, per affermare i loro interessi e strategie non hanno bisogno della legittimazione popolare conquistata attraverso il voto (e di regola operano «dietro le quinte della politica», limitandosi alla ricerca dei mod migliori per influenzarla e condizionarla), viceversa, nei periodi di crisi socio-politica acuta, possono «politicizzarsi», cioè presentarsi direttamente sulla scena pubblica, scegliendo le forme più adatte alle circostanze del momento.

Questo insegnamento sollecita una domanda finale: ciò che sta accadendo a Cosenza rappresenta soltanto un fatto locale e, come tale, di portata tutto sommato marginale, relegabile nel campo della ricomposizione delle oligarchie cittadine e provinciali dopo la frantumazione del partito di massa, in un contesto sociale che «vive di politica» e che ha bisogno urgente (vedi Pnrr) di luoghi di aggregazione delle élite che siano pubblici e non solo privati, per poter sostituire le formazioni politiche abituali, ormai ridotte a simulacri? Oppure siamo di fronte ad un esperimento che ha un significato politico potenzialmente più generale, che riguarda l’intero Paese e la ridefinizione del quadro politico con la presenza diretta di nuovi attori, fino a ieri potenti ma silenziosi?