Quando, nel 1975, Giulia Maria Crespi fondò il Fai era nota soprattutto per essere stata, fino all’anno prima, la proprietaria di maggioranza del «Corriere della Sera». Figlia unica, proveniva da una delle principali famiglie industriali lombarde, fu educata in casa, dove ebbe la fortuna di avere tra i suoi insegnanti Fernanda Wittgens, la Soprintendente che fece risorgergere Brera dopo la Seconda guerra mondiale. Da lei apprese l’amore per l’arte e per l’Italia dell’arte, a cui univa la sua predilezione per la natura come fonte di rigenerazione spirituale. Dopo un’infanzia solitaria, una madre ambiziosa le fece frequentare tutto il bel mondo di quegli anni ma, come scrisse nell’autobiografia Il mio filo rosso (Einaudi, 2015), il temperamento ribelle le fece compiere scelte anticonvenzionali. Sposò in prime nozze Marco Parravicini, già comandante partigiano, da cui ebbe due gemelli. La tragica morte del marito in un incidente stradale la lasciò giovane vedova, ma con l’idea di avere un destino da compiere. Insistendo con l’amatissimo padre Aldo, nel 1962 entrò nella gerenza del «Corriere della Sera», giornale che contribui a rinnovare attraverso le direzioni Spadolini ma soprattutto Ottone. A collaborare furono chiamati scrittori e giornalisti come Pier Paolo Pasolini e Goffredo Parise. Fu lei a convincere Antonio Cederna, dopo la chiusura del “Mondo”, a scrivere su un giornale ritenuto da lui troppo moderato (e con una proprietà che da Mussolini alla democrazia non era cambiata), per occuparsi dei neonati temi ambientali. Portò così il quotidiano di via Solferino da posizioni filogovernative a essere la punta avanzata dell’opinione pubblica nei primi anni Settanta. Dirimente fu la scelta di schierarsi contro le posizioni ufficiali dopo l’attentato di piazza Fontana. Quando, nel 1972, ci fu uno scontro al calor bianco su quei fatti e la loro scia tra Indro Montanelli, principe dei giornalisti del “Corriere”, e Camilla Cederna, prese le parti dell’amica, punto di riferimento dei nostri radical chic.
Venduto il giornale che era appartenuto alla famiglia per mezzo secolo, era alla ricerca di una nuova occasione per influire sui destini del Paese. Già dalla fine degli anni Cinquanta si era iscritta a Italia Nostra, dove conobbe l’architetto Renato Bazzoni che aiutò a organizzare, nel 1967, Italia da salvare, una grande mostra fotografica che per prima denunciò il degrado urbanistico e ambientale dell’Italia del boom. Contrasti con i vertici di Italia Nostra la spinsero a fondare (1968), su spinta dell’amica Elena Croce, la figlia maggiore di don Benedetto, l’associazione Alessandro Manzoni, avendo come modello il National Trust inglese. Il progetto non decollò ma l’occasione si ripresentò nel 1975 quando, insieme a Renato Bazzoni, all’avvocato Alberto Predieri e al soprintendente di Brera Franco Russoli, entrambi partigiani nelle formazioni di Giustizia e Libertà, fece nascere il Fondo Ambiente Italiano. Fu lei a dotarlo dei 500 milioni iniziali, cosi come fu lei a versare il denaro per acquistare il monastero di Torba nel 1976, il primo bene importante del Fondo, e la manifestazione concreta che non solo in Inghilterra un’associazione di privati poteva gestire un bene storico-artistico e aprirlo al pubblico. Giulia Maria Crespi ha spesso affermato che nei primi anni non credeva al Fai, ma fu la donazione di San Fruttuoso da parte dei principi Doria Pamphilj a convincerla di essere sulla buona strada e ad assecondare l’entusiasmo contagioso di Bazzoni. Nel corso degli anni Ottanta arrivarono altri beni importanti, come il Castello della Manta, la villa del Balbianello, Casalzuigno. A fronte di una "crisi di crescita", ebbe l’idea di fondare un gruppo di sostegno, "I Duecento del Fai" e chiamò a presiederlo l’amica Marella Agnelli, che divideva con lei lo scettro immaginario di regina dell‘Italia repubblicana. Per sostenere lo sviluppo del Fondo volle, accanto a Bazzoni, Marco Magnifico, oggi vicepresidente esecutivo, allora poco più che trentenne. Fu ancora il suo spirito pionieristico che le fece accettare la scommessa di acquistare il Castello di Masino, anche con soldi propri, che allora versava in uno stato di rovina. Nel frattempo nascevano le Giornate Fai di Primavera, i Luoghi del Cuore, manifestazioni che resero popolare il Fondo, facendogli perdere lo spirito un po’ elitario delle origini, e orientarono la sua missione nel difendere e promuovere il nostro patrimonio artistico e ambientale a fianco dello Stato. Cosi, dopo la morte di Bazzoni (1996), la Crespi non ebbe dubbi nel proseguire la strada intrapresa, con la gestione del giardino della Kolymbethra (1999), in collaborazione con la Regione Sicilia, e di Villa Gregoriana a Tivoli (2002), affittata allo Stato per una cifra simbolica. Prove della credibilità raggiunta dal Fai ma anche del personale carisma della Crespi, sempre pronta ad alzare il telefono per chiamare ministri, sovrintendenti, finanziatori.
Era difficile dirle di no. Anche se il Fai è stata la parte preponderante della seconda parte della sua vita, Giulia Maria Crespi è stata anche colei che ha introdotto l’agricoltura biodinamica, che aveva studiato dopo esserci avvicinata alle idee di Rudolf Steiner e avere osservato le conseguenze sulle coltivazioni dell'agricoltura tradizionale, ed è sempre stata un punto di riferimento nelle grandi battaglie ambientaliste del nostro Paese. Nel 2010 divenne presidente onoraria del Fai, lasciando il suo posto a Ilaria Borletti Buitoni, cosi come più tardi approvò la scelta di Andrea Carandini, terzo presidente della Fondazione. Il Fai, pur con una navigazione perigliosa, aveva nel frattempo raggiunto i centomila iscritti, poi i duecentomila, le proprietà erano divenute oltre settanta, allargando il campo delle sue esperienze e dei suoi impegni.
Ormai divenuta una sorta di leggenda vivente, continuò a partecipare alla vita del Fondo, occupandosi della formazione delle nuove generazioni, accogliendo ogni dicembre quel mondo sempre più vasto nella sua casa di corso Venezia a Milano, con un discorso mai d’occasione, il cui senso era di non cullarsi sui risultati raggiunti e di continuare a puntare lo sguardo al futuro come lei aveva sempre fatto. Figura non replicabile, ebbe fino all’ultimo la capacità di vivere nel proprio tempo.
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