Questo articolo fa parte dello speciale Amministrative 2019
Il riferimento di Vittorio Feltri al presidente Conte “signore gradevole, addirittura ben vestito nonostante sia di Foggia” e lo sketch di Crozza in tv sul direttore di “Libero” hanno sicuramente indotto una certa curiosità su una città di 150 mila abitanti che, seconda in Puglia per numero di elettori in questa tornata dopo Bari, va al voto il 26 maggio.
Stabilmente collocata, insieme alla sua provincia, nella parte bassa delle annuali classifiche della qualità della vita del “Sole - 24 Ore” e frequentemente agli onori della cronaca, ancora in compagnia di gran parte della Capitanata, per le azioni di una criminalità violenta e predatoria che provoca molti danni alle prospettive di sviluppo di una vasta area, Foggia ha avuto nei 5 anni passati un’amministrazione di centrodestra, con un sindaco di Forza Italia, ricandidato il 26 maggio, in una situazione che ha visto succedersi nel venticinquennio dell’elezione diretta del sindaco 15 anni di governi di centrodestra e 10 di centrosinistra.
La campagna elettorale, che sembra giocarsi ancora per linee interne al ceto politico, di cui è segno lo spostamento – non si sa quanto decisivo – verso il centrosinistra di un pezzo del centrodestra di 5 anni fa, non ha espresso finora molte idee forza, a parte l’auspicio di maggiore sicurezza e di strade urbane percorribili.
Non è questa la sede – fosse anche solo per ragioni di spazio – per bilanci dell’azione amministrativa della giunta uscente. Ma può essere utile una riflessione sulla città che sembra perennemente a metà del guado, per certi versi ma con diverse prospettive, al pari della sua università che, collocata discretamente nel ranking nazionale, nel 2019 compie 20 anni ed elegge, tra poche settimane, il suo nuovo rettore. Se in questo caso, ai fini di un irrobustimento della “società civile”, in una città che – come altre del Sud – sembra divorata dalle periferie, ha nuociuto il pendolarismo di gran parte del personale docente e, per le prospettive di sviluppo, un ancora debole collegamento con il tessuto economico e sociale del territorio, per quel che riguarda la funzione di Foggia nell’area vasta della Puglia settentrionale sembra di assistere all’indebolirsi della funzione trainante del capoluogo e a un vistoso appannamento del suo ruolo. Se si può usare un indicatore della scarsa “esemplarità” della città e delle sue classi dirigenti, si può citare il livello bassissimo della raccolta differenziata dei rifiuti, appena il 25%, a fronte di valori doppi in molte città medio-grandi della provincia.
Complice il ridimensionamento delle province, nonostante la centralizzazione nella città di alcuni servizi - da quelli giudiziari a quelli sanitari - per scelte, rispettivamente, del governo nazionale e regionale, Foggia non riesce ad esercitare appieno il ruolo nodale che ha storicamente avuto, anche su scala interprovinciale. E non pare di poter cogliere una riflessione attenta da parte delle forze economiche che delegano, in tutto o in grande parte, alla politica. Una politica intesa, ancora, come mediazione, strumento di attingimento di risorse pubbliche, comunitarie, nazionali o regionali, più che di proposizione di opzioni di sviluppo e di superamento delle condizioni “non economiche” che lo scoraggiano.
Posata la prima pietra per il prolungamento della pista dell’aeroporto “Gino Lisa” (cui si spera seguirà presto la seconda), propedeutico a un suo rilancio, si prospettano lontani gli interventi per chiudere finalmente i lavori ferroviari sulle direttrici Nord e Ovest, in cui ci sono strozzature con un solo binario, mentre pare non recuperabile il finanziamento per il treno-tram che avrebbe dovuto collegare Foggia a Manfredonia e agli altri centri maggiori della provincia. La ferrovia, che ha segnato dal 1863 la storia economica e sociale della città, è, infatti, uno dei nodi irrisolti del futuro prossimo della città, dal momento che, a parte i non rapidi collegamenti con Napoli-Roma e Bologna, un fascio di binari separa un pezzo di città dal resto. Sarebbe auspicabile il prolungamento del sottopassaggio pedonale e la costruzione di parcheggi di scambio sotto il sedime ferroviario, mentre è indifferibile la costruzione di una nuova stazione sulla linea ad Alta Capacità Napoli-Bari, a pochi chilometri dal centro.
Per fortuna, le maggiori imprese industriali della città, dalla Barilla alla conserviera Princes, da Leonardo (ex Alenia) a Fpt (ex Sofim), attraversano una congiuntura positiva, mentre i 600 ettari dell’area industriale restano in condizioni di crescente abbandono e non particolarmente vitale si rivela il tessuto delle piccole e medie imprese (solo 10 sulle prime 200 aziende pugliesi con fatturato superiore a 25 milioni si trovano in Capitanata).
La conseguenza sul tessuto sociale di una tale situazione in bilico con outlook negativo, in cui crescono il peso della criminalità e fenomeni estesi di degrado territoriale e di esclusione sociale, è che, in una città che perde in 10 anni 2 mila abitanti, dal 2008 al 2016 sono emigrati 2.599 giovani dai 18 ai 30 anni (terza città in termini assoluti in Puglia e nona in Italia) e si registra un tasso di natalità inferiore all’8 per mille. A reggere, per fortuna, non si sa fino a quando, è un ancor vitale, ma non ricco finanziariamente, terzo settore (fondazioni, associazioni, volontariato), che svolge spesso funzioni di supplenza e, insieme ad una discreta attività culturale, spinge a resistere alla tentazione di andar via. Non sappiamo per quanto ancora.
[Questo approfondimento sulle amministrative di maggio tocca le quindici città più popolose in cui si rinnovano i Consigli comunali: Bari, Bergamo, Cesena, Ferrara, Firenze, Foggia, Livorno, Modena, Perugia, Pescara, Prato, Reggio Emilia, insieme a Cagliari e Sassari dove, in ragione dell’autonomia dell’Isola, si voterà il 16 giugno.]
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