La linea dell’orizzonte. Un etnographic novel sulla migrazione tra Bangladesh, Italia e Londra è il racconto di un giovane sociologo che si reca a Londra per concludere la sua ricerca sulle cosiddette «seconde migrazioni» di bangladesi d’Italia che, una volta ottenuta la cittadinanza italiana, sono migrati in gran numero a Londra. Un libro, a fumetti, che dà finalmente visibilità anche fuori dall’accademia a questa dinamica migratoria tra le più interessanti e, in parte, controintuitive degli ultimi dieci anni.
Il volume si inserisce in un crescente filone di grande rilevanza che nasce dall’incontro tra il mondo del fumetto e quello delle scienze sociali; un campo che all’estero ha già dato vita a importanti collane editoriali (in primis ethnoGRAPHIC della Toronto University Press e Sociorama dell’editore francese Casterman) e che in Italia sta iniziando a generare sperimentazioni significative (cfr. per esempio Senza confini, di Andrea Staid e Francesca Cogni, o Quartieri.Viaggio al centro delle periferie urbane, che ho curato con Giada Peterle).
La linea dell’orizzonte è, infatti, il frutto di anni di ricerche sul campo del sociologo Francesco Della Puppa, che si è lanciato nella sfida, assolutamente riuscita, di comunicare alcuni risultati attraverso uno strumento narrativo e visuale capace di raggiungere un pubblico più ampio e non solo accademico. Un prodotto ben riuscito (grazie ai colori ad acquerello del disegnatore Francesco Saresin) che invoglia decisamente la lettura. Un plot narrativo chiaro, ripetuto e decisamente ben sceneggiato (Della Puppa ci ha lavorato insieme a Francesco Matteuzzi) con un filo rosso indovinato, quello della corsa come metafora della migrazione, della continua ricerca del sociologo e, più in generale, della (rin)corsa senza fine di tutti a una vita migliore; un tema, quello delle migrazioni, già interessante, ma declinato anche con originalità, perché l’accento è su una dinamica migratoria tanto rilevante quanto poco nota. Un libro, in sintesi, che si legge con grande piacere, il che, per un testo di origine accademica, è davvero un risultato eccellente.La profondità del lavoro di ricerca, condotto negli anni, ha dato all’autore grande padronanza del tema e il racconto riesce a rappresentare bene complessità e conflitti dei percorsi dei migranti
L’aver costruito un racconto carico di forza espressiva non ha comportato eccessive semplificazioni. La profondità del lavoro di ricerca, condotto negli anni, ha dato all’autore grande padronanza del tema e il racconto riesce a rappresentare bene complessità e conflitti dei percorsi dei migranti, per esempio il rapporto ambivalente dei bangladesi con la madrepatria coloniale, storicamente vista come sfruttatrice, ma allo stesso tempo, come «il sogno di generazioni di bangladesi». Inoltre, l’autore è riuscito a decostruire molti stereotipi: quello del migrante povero che scappa per fame (tanti dei protagonisti del fumetto in Bangladesh appartenevano alla classe media, ma sono comunque migrati per avere un futuro migliore), quello della donna musulmana sottomessa (molte hanno un ruolo determinante nella scelta di partire per la capitale britannica), quello dell’acquisizione della cittadinanza come meta finale del radicamento in un Paese (nell’etnographic novel, invece, diventa la spinta a partire per la capitale britannica).
La linea dell’orizzonte mostra tutta la potenza espressiva del fumetto nel ricreare, con il suo linguaggio ibrido, allo stesso tempo testuale e visivo, la tridimensionalità della vita quotidiana e la centralità delle sue componenti affettive/emotive. Vita quotidiana intensa sia nelle sue dinamiche più ordinarie e date per scontate (per esempio la continua ricerca di luoghi di incontro e costruzione di un capitale sociale e spaziale), che nelle sue dinamiche più politiche (si veda in primis il racconto del razzismo quotidiano subito dai protagonisti del volume: «Eravamo italiani ma sempre visti come stranieri», «Eravamo cittadini di serie b! Il passaporto diceva che ero italiano ma la mia pelle, il mio nome, tutto il resto diceva di no…»).
Il libro è poi estremamente efficace nel mostrare come la «verità scientifica» sia continuamente ricercata, frutto di tentativi, di fallimenti, di incontri fortuiti. Nel volume il ricercatore si mette in gioco, con la sua soggettività, le sue fragilità e le sue domande aperte. D’altronde il fumetto è un mezzo che, grazie alle sue cornici a incastro, rende più evidente al lettore il lavoro che sta dietro la rappresentazione, cioè il framing e l'inquadratura delle immagini, il montaggio, la messa in scena dell'azione. Caratteristica, questa, che differenzia il fumetto da altri media visivi come la fotografia e il video, dove la dimensione «realistica» dell'oggetto può portare il pubblico a dimenticare il costante processo di costruzione.
Essendo una sperimentazione, ovviamente, non mancano caratteristiche che convincono meno. La prima riguarda il fatto che la storia a fumetti è preceduta e seguita da troppe parti «tradizionalmente» scritte, in particolare la densa e ricchissima introduzione di Ambrosini messa prima del racconto a fumetti finisce per anticipare il plot narrativo e in parte per depotenziare la centralità del racconto visuale. In coda al lavoro, poi, ci sono addirittura quattro testi scritti; oltre al pezzo di Della Puppa, ci sono tre post-fazioni che, nonostante l’autorevolezza di chi le ha scritte, finiscono per ripetersi tra loro. In questa ricca produzione scritta, è peraltro estremamente ridotta la riflessione sull’uso del fumetto: manca la voce sia dello sceneggiatore, che quella del fumettista e anche il testo scritto da Della Puppa è rivolto soprattutto ad approfondire il tema delle seconde migrazioni senza dedicare particolare attenzione analitica all’uso dello strumento (per un esempio di integrazione tra fumetto e parte riflessiva scritta si veda N. Sousanis, Unflattening, Harvard Univerdity Press, 2015).La linea dell’orizzonte mostra tutta la potenza espressiva del fumetto nel ricreare, con il suo linguaggio ibrido, allo stesso tempo testuale e visivo, la tridimensionalità della vita quotidiana e la centralità delle sue componenti affettive/emotive
Una seconda scelta che ha comportato alcune criticità è stata quella di optare per un lavoro asincrono e sostanzialmente «gerarchico» tra il ricercatore che ha condotto la ricerca e sceneggiatore e fumettista che, in un secondo tempo, sono stati coinvolti per un lavoro di «traduzione» a fumetti. Una modalità che avvicina La linea dell’orizzonte più ai lavori della serie francese Sociorama che a quelli della canadese ethnoGRAPHIC. La mancata conoscenza del campo di ricerca da parte dello sceneggiatore e del fumettista ha parzialmente indebolito la rappresentazione a fumetti: sui dialoghi, dove il linguaggio etico del ricercatore si mischia con il linguaggio emico dei migranti in maniera non sempre completamente credibile, ma, soprattutto, sulla rappresentazione dei luoghi attraversati dai protagonisti che sono sempre troppo sfumati o ridotti a immagini iconiche (con la parziale eccezione del «Caffè Italia»). Come scritto anche da Sanfilippo nella sua postfazione, «i disegni sono un supporto narrativo ma i protagonisti sono i dialoghi, i monologhi interiori del ricercatore». Si tratta, cioè, di un fumetto che Scott McCloud chiamerebbe word specific, dove le immagini illustrano, ma non aggiungono significativamente al testo, o al massimo dove parole e immagini generano essenzialmente lo stesso messaggio.
Nonostante questo, La linea dell’orizzonte resta un lavoro decisamente ben riuscito che spinge un filone che promette di essere di grandissimo interesse soprattutto in una fase in cui, da un lato, le scienze sociali sono chiamate ad allargare i propri pubblici e a divulgare meglio i risultati delle proprie ricerche e, dall’altro, la sfera pubblica è sempre più carente di letture approfondite e complesse dell’esistente.
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