Adelina è un giovane e brillante avvocato e lavora in un prestigioso studio legale di Milano, Ettore è un chimico industriale. Si sono appena conosciuti e, in un mondo «normale», li aspetterebbe l’ordinario, quieto futuro di una famiglia borghese. Ma Adele ed Ettore sono ebrei, ed è il 1938. Ettore legge, si guarda intorno, riflette e intuisce l’avvicinarsi della tragedia. E così, «il primo aprile 1939 si imbarcarono a Genova due “ricchi” turisti in viaggio di nozze, che si recavano prima in Egitto, poi in Terra Santa: io e mia moglie. Noi navigavamo tranquilli e speranzosi verso questa terra dove speravamo di trovare pace, lavoro, accoglienza fraterna. Qualche cosa trovammo, ma assai poco rispetto ai nostri sogni. Tuttavia i nostri disagi e sacrifici furono poca cosa rispetto al martirio dei nostri fratelli rimasti in Europa». Sono diretti in Palestina, destinazione non tipica, allora, per gli ebrei in fuga. Lo Stato d’Israele non esiste ancora, la Palestina è sotto il controllo britannico. Non li attende alcuna rete di protezione, eppure ce la faranno. In Palestina nascono i loro due figli, Hanna e Daniel. Là Adelina si adatta ai lavori più modesti per mandare avanti la famiglia, mentre Ettore dovrà trasferirsi in Persia per lavorare in una compagnia petrolifera. Sono anni difficili, in cui si scrivono quasi quotidianamente per mantenersi vivi e uniti, nonostante la distanza che li separa. Poi, al termine della guerra, la decisione di rientrare in Italia. Tanti dei loro non ci sono più, ma resta la memoria e resta un futuro, a cui il figlio Daniele ha affidato il loro prezioso epistolario.
Adelina Foà (1910-1999), parmense, ed Ettore Finzi (1910-2002), triestino, riparati in Palestina nel 1939 e ritornati in Italia nel dopoguerra, hanno lasciato memorie e un epistolario. Documenti raccolti e curati dal figlio Daniele, cui è stato assegnato il Premio Pieve 2011.
Parole trasparenti. Diari e lettere 1939-1945, Collana "Storie italiane", Il Mulino, 2013, pp. 352
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