Curato da due note studiose, Susanna Magri e Sylvie Tissot, esperte in sociologia e scienza politica, Explorer la ville contemporaine par les transferts (Presses Universitaires de Lyon, 2017) raccoglie otto saggi di ricerca sulla città contemporanea, intesa come forma fisica, oggetto di procedure di intervento pubblico e di promozione immobiliare, ma anche come luogo in cui si sviluppano le attività quotidiane dei cittadini: commercio, tempo libero, alimentazione. Rispetto al modello unico di città "globale" che sembra guidare un trend dominante e inarrestabile – caratterizzato ovunque dalle stesse insegne commerciali, da segregazione sociale, da inquinamento e da una élite internazionale circolante tra l’una e l’altra –, qui si insiste invece sulla diversità delle architetture, le particolarità dei modi di vita, il peso delle eredità materiali e immateriali: fenomeni che imprimono alle città di oggi forme ancora estremamente variegate.
La parola chiave della raccolta è transferts, “intesi come la circolazione di persone, parole, cose, osservata attraverso le sue motivazioni, modalità, implicazioni”. Nell’affrontare i diversi casi l’approccio adottato, come spiegano le due curatrici, intende differenziarsi dal metodo comparativo, da tempo accusato – da parte sia di sociologi sia di storici – di produrre un catalogo di analogie e differenze relative a configurazioni fisse. Già a partire dagli anni Novanta si sono invece cominciate a privilegiare le dinamiche transnazionali – le loro convergenze o divergenze – considerate decisive nel processo di costruzione dei fatti nazionali. E in questa nuova corrente di studi un posto importante è stato svolto dalle politiche pubbliche, e in particolare dalle politiche sociali transnazionali.
Al di là dei singoli casi studiati è interessante l’approccio metodologico e il fatto che vengano messi a tema l’elemento dei transferts (trasferimenti /movimenti di: persone, idee, progetti, culture) e il ruolo trainante, in questa dinamica globale, da un lato del mercato del consumo (un mercato sempre più transnazionale) e dall’altro dei progetti o delle persone che fungono da passeurs (dal globale al locale, ma anche in senso inverso) in processi che riguardano la città, intesa come quartieri, luoghi residenziali, uso e riuso di siti urbani.
I transferts sono quindi intesi sia in senso fisico (si vedano i flussi di commercio transnazionali veicolati dai migranti descritti da Alain Tarrius, o la trasformazione urbana legata alla ristorazione nel caso colombiano a Parigi di Marcia A. Sierra), sia in senso figurato (la presenza di “esperti europei” che affiancano i ministeri e le associazioni di abitanti locali). Altro tema è quello della circolazione internazionale nei processi di realizzazione delle forme più contemporanee della città – come gli insiemi residenziali chiusi – che quel tipo di costruzione ha innescato. È il caso affrontato da Eleonora Elguezabal (con le torres country a Buenos Aires) che esamina, oltre ai conflitti e alle ricadute sociali del caso preso in esame, anche il dialogo che si instaura tra universitari argentini e esperti nordamericani nel dibattito internazionale sulla privatizzazione degli spazi.
Un processo inverso – dal transnazionale al locale – è quello invece preso in considerazione in ambito urbano e periurbano in Marocco: qui la chiave della trasformazione della città attuata dalla politica della “lotta contro la povertà” è indicata nel rinnovo delle élite e nella nascita di un gruppo di specialisti, ma soprattutto nella legittimazione che l’azione associativa locale riceve da un nuovo spazio professionale composto da intermediari dotati di riconoscimento internazionale (Éric Cheynis). Interessante anche il caso di "appropriazione" e riuso (reale e simbolico) delle case costruite in Algeria da parte dei migranti e dei loro figli (Jennifer Bidet). Sempre sul rapporto tra politiche pubbliche e coinvolgimento dei gruppi locali insiste anche la ricerca di Clément Barbier, dedicata al progetto di “sviluppo integrato dei quartieri” ad Amburgo (1990-2010): viene qui presa in considerazione la genesi di quell’approccio con, da un lato, la mobilitazione delle risorse dei diversi ministeri locali e, dall’altro, quella di associazioni e gruppi di abitanti, nonché la presenza di esperti europei (esterni alla città) tutti raccolti attorno alla categoria, europea, di "quartiere–problema".
È invece la partecipazione – insieme a un approccio storico – la chiave di volta della ricerca (di Cécile Cuny) sui tentativi di intervento di riqualificazione sociale del grande quartiere berlinese di Marzahan (sorto nella Berlino Est degli anni Settanta) profondamente segnato dalla sua doppia vita, prima e dopo la caduta del Muro. Un approccio storico sociale caratterizza anche l’indagine sulla riappropriazione, da parte di nuove generazioni di abitanti, della Maison radieuse de Rezé di Le Corbusier attraverso il riuso degli spazi collettivi (Sabrina Bresson).
Nel complesso il volume rappresenta un tentativo molto interessante di segnare un passo avanti (o a lato?) rispetto ai temi della pianificazione e della riforma delle abitazioni popolari, che hanno caratterizzato a lungo la sociologia urbana (e di cui le due curatrici sono tra le studiose più note), ma anche rispetto a una sociologia urbana che ha illustrato l’avanzamento verso un modello unico di città globale e uniforme in quanto globale. Dall’insieme dei casi esaminati risulta che le diversità, le particolarità, contano e ancora segnano la vita delle città e dei suoi abitanti; e questo grazie a un altro fenomeno che sembra accompagnare la globalizzazione e il diffondersi dei "non-luoghi" commerciali e collettivi. Si tratta del segno che ogni nucleo abitativo sente di dover imprimere nella città in cui vive (o in quella che ha lasciato), che si tratti di famiglie di migranti o di abitanti trasferiti in quartieri anonimi: sono i casi qui presi in considerazione da J. Bidet (le case costruite dagli immigrati in Algeria) o da M.A Sierra (la ristorazione colombiana a Parigi), e, per il secondo aspetto, la partecipazione degli abitanti ai tentativi di riforma a Marrzahn (C. Cuny), o la coltivazione dei giardinetti nella Maison radieuse (S. Bresson).
Riflessione conclusiva. Il bisogno di segnare fisicamente il passaggio della propria vita nel mondo urbano cresce negli abitanti con il crescere del senso di anonimato trasmesso dalle grandi città e ancor più – sembra di poter affermare – là dove quelle città hanno un passato e un presente ricco di storia, di vita sociale, oltre che di consumi (sono i casi qui considerati di Berlino o di Parigi). In queste città europee, si direbbe, è ancora più avvertito il senso di esclusione, che si accompagna al bisogno di reazione e alla ricerca di compensazioni: per l’Italia, viene da pensare a quartieri come il Corviale a Roma o le Vele a Napoli.
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