Aristotele lo dice senza troppi giri di parole, nelle pagine della Metafisica in cui introduce la famosa formula per cui l’amore per il sapere nasce dalla meraviglia: la filosofia non serve a nulla. Non ha alcuno scopo e non deve essere sottomessa ad alcuna utilità, altrimenti – semplicemente – non sarebbe libera. «È fuor di dubbio che questa scienza non si ricerca per nessun uso fuor di lei», leggiamo nel testo dello Stagirita. O ancora: «Questa sola è libera tra le scienze: essa sola, infatti, è per se stessa».
Il valore della filosofia, del resto, non consiste nel raggiungimento di alcun vantaggio pratico che potremmo necessitare nella nostra quotidianità. Ha più che altro a che fare con la realizzazione del nostro essere soggetti razionali, che pensano, che si interrogano, che dubitano.
Da qui, il titolo di eco cartesiana dell’ultimo testo di Mauro Bonazzi, Dubito, ergo sum, edito da Solferino è da poche settimane in libreria. La domanda, quindi, come punto di partenza per cogliere (o almeno incamminarci verso) la pienezza del nostro esistere. È il sottotitolo però – «Brevi lezioni per vivere con filosofia» – che, ancor di più, ci introduce al vero significato del libro.
Il valore della filosofia non consiste nel raggiungimento di alcun vantaggio pratico che potremmo necessitare nella nostra quotidianità. Ha più che altro a che fare con la realizzazione del nostro essere soggetti razionali, che pensano, che si interrogano, che dubitano
L’autore ha scelto di raccogliere e ampliare alcuni interventi precedentemente comparsi in un inserto del Corriere della sera con l’intento di fornire ai lettori alcune suggestioni che, da un lato, avvicinino il pubblico all’incontro con l’amore per il sapere e, dall’altro, mostrino quanto la filosofia abbia a che fare con le nostre vite molto più di quanto si immagini. Il risultato è un percorso che si snoda attraverso alcuni nomi della storia del pensiero e spazia tra temi anche distanti da loro: vengono presentati interrogativi etici, politici, di filosofia del linguaggio o di epistemologia. I protagonisti che si alternano tra i capitoli del libro appartengono a tutte le epoche, dal mondo dell’antica Grecia, cui l’autore ha dedicato buona parte dei suoi studi, al Novecento, passando ovviamente attraverso l’età medievale e quella moderna.
Non si tratta di una guida contenente i segreti per una vita felice e tantomeno di un manuale che dia soluzioni ai grandi interrogativi che la nostra società e la nostra epoca pongono a ciascun individuo che cerchi di vivere con maggiore autenticità. Mi verrebbe da dire che è un testo che racconta l’attualità della filosofia e il perché ce ne sia ancora così tanto bisogno.
Ricorda per certi versi una raccolta che il filosofo polacco Leszek Kolakowski aveva pubblicato nei primi anni duemila, il cui titolo in italiano suonava Piccole lezioni su grandi filosofi. In questo caso, il pensatore – noto soprattutto per i suoi studi sul marxismo – aveva scelto trenta autori che gli stavano a cuore e ne aveva raccontato il nucleo fondante del pensiero. Premettendo che la scelta di parlare di uno o dell’altro esponente della storia della filosofia era stata puramente personale, dettata dal proprio gusto e dalla speranza che ci fosse nei «prescelti» un elemento che potesse fornire una chiave di lettura per analizzare il tempo presente.
Nel panorama composito offerto dal libro, due sono i filoni che spaziando tra più autori mi sembrano restituire riflessioni ampie e significative: uno che pone al centro della sua indagine il linguaggio, l’altro la politica.
Nel primo caso si ha come filo conduttore la parola, tanto nel suo significare le cose e rappresentare il reale, quanto nel suo tentativo di persuadere chi l’ascolta e di sedurlo. Non poteva certamente mancare il nome di Ludwig Wittgenstein, la cui ricerca filosofica è andata modificandosi tra una prima iniziale affermazione per cui il mondo coincide con ciò di cui si può parlare e un superamento di tale convinzione accompagnato dalla più tarda introduzione, nel suo lessico filosofico, dell’espressione «giochi linguistici» e dalla resa di fronte all’idea che l’esistenza dell’uomo sia legata a interrogativi cui non riusciremo mai a fornire risposte certe. Ma ugualmente urgenti. Il rapporto tra linguaggio e realtà è un tema che affonda le proprie radici nel mondo greco, con Gorgia, ad esempio, che ci restituisce una delle – a mio parere – più significative descrizioni della parola. Un corpo piccolissimo, ineffabile, capace tuttavia di compiere cose divine. E, di questi tempi, come non parlare del linguaggio in rapporto alle questioni di genere? Mauro Bonazzi affronta anche tale aspetto, dando la parola questa volta a Simone de Beauvoir.
C’è poi Hans-Georg Gadamer che diventa trait d’union tra i due filoni cui facevo cenno. La sua indagine sull’ermeneutica e su un linguaggio che per forza di cose è impregnato di pregiudizi, perché intriso di esperienze e di relazioni, è al centro di una prima lezione; sempre a lui è dedicato un altro capitolo che introduce il tema della politica, nel suo rapporto con l’etica. Il punto di partenza è l’atteggiamento ambiguo che caratterizzò il filosofo tedesco nei confronti del nazismo: la scelta come professore universitario di non schierarsi apertamente contro la dittatura, convinto della possibilità di alimentare dall’interno il seme dell’autenticità e coltivare la speranza. Un atteggiamento, quello della compromissione, che ci ricorda la fatica di conciliare il reale con l’ideale.
Il rapporto complicato della filosofia con la politica, ovvero l’indagine su quello che il pensiero può offrire alla scienza del bene comune, viene raccontato attraverso diverse voci il cui pensiero è strettamente legato a concetti come la responsabilità, l’esercizio della democrazia, il pluralismo. Il bisogno di ripensare la politica percorre l’intero libro. Ma ecco che Mauro Bonazzi individua una possibile proposta nel pensiero di Martin Heidegger e nel suo problematizzare l’esistenza, come necessità per l’individuo di uscire da sé (ex-sistere) e realizzare pienamente la sua progettualità autentica. La riscoperta del nostro essere insieme, la presa in carico della nostra co-appartenenza, diverrebbe allora la premessa necessaria per immaginare un futuro diverso.
Mauro Bonazzi individua una possibile proposta nel pensiero di Martin Heidegger e nel suo problematizzare l’esistenza, come necessità per l’individuo di uscire da sé (ex-sistere) e realizzare pienamente la sua progettualità autentica
Mi piace pensare il libro di Mauro Bonazzi nelle mani di chi senta il bisogno di un atteggiamento critico nei confronti della realtà; oppure nelle mani di qualche studente, mosso dalla curiosità di indagare in modo diverso la storia della filosofia; o, ancora, un passatempo controcorrente per chi non ha smesso di credere che l’esercizio del pensiero sia uno strumento utile per affrontare la complessità del mondo. E non dimentichiamo la possibilità che capiti sotto gli occhi di chi ha sempre professato l’astrattezza della filosofia e ne sosteneva la lontananza dai problemi contemporanei.
Un testo caratterizzato da interrogativi e dall’invito ad abitare l’incertezza. La filosofia, d’altronde, si rivela ogni qualvolta la domanda e la ricerca di senso fanno nascere in noi un desiderio, l’aspirazione a conoscere, ad andare a fondo. Terminata la lettura, il testimone passa al lettore: starà a lui, a quel punto, cimentarsi con le opere degli autori o approfondire eventuali prospettive. Un’inesauribile ricerca della sapienza. Questa, d’altronde, è la filosofia.
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