L’arte e il potere, più strettamente la musica e il regime: fiumi di pianti e passioni, montagne di parole e prepotenze hanno sempre imposto al mondo il problema, forse insolubile, del rapporto fra i due elementi e le mille questioni annesse. Così dall’arcaica Sparta, che nella sua politica oligarchica fondò per prima un’educazione musicale pubblica (per i pochi eletti), ai vari, agli opposti, a tutti i dispotismi del Novecento, di destra o sinistra che siano in lungo e in largo per il pianeta.

Ma dai casi di un Toscanini avverso e di un Casella affiliato al fascismo, dai casi di tutti gli ebrei austro-tedeschi fuggiti o non sfuggiti al nazismo dal caso di un Furtwängler che con il nazismo a modo suo convisse, quello del comunismo sovietico e di Šostakovič è assolutamente diverso. Perché egli comunista era e si diceva, ma l’ideologia non la poteva sentire come la pretendevano i suoi tanti, ottusi e ostinati persecutori capeggiati da Stalin e Ždanov.

Le sue idee e sofferenze le disseminò nelle molte lettere personali che furono pubblicate e rese note anche in altre lingue; e le fissò in certe brucianti memorie poi trafugate all’estero e fatte conoscere dovunque

Scomparso prima del crollo del regime, Šostakovič era impossibilitato a comunicare direttamente e francamente con il mondo occidentale, e anche per questo patì molto – grande artista e uomo severo, introverso, perfino timido qual era. Ma le sue idee e sofferenze le disseminò nelle molte lettere personali che furono pubblicate e rese note anche in altre lingue; e le fissò in certe brucianti memorie poi trafugate all’estero e fatte conoscere dovunque.

Musicista fra i più grandi del Novecento, Šostakovič non si limitò (si fa per dire) a comporre musica molta e disparata nei generi: Dmitrij era una sorta di ingenuo grafomane, che non lasciava passare un giorno senza buttar giù della musica, che quando non si sentiva ispirato si esercitava con bazzecole come la fuga, ché paginette alla Bach come queste poteva poi anche gettarle via (l’importante era aver lavorato, prodotto, onorato la sua arte). Di conseguenza scrisse migliaia e migliaia di lettere, vagheggiando di trascrivervi tutta la sua vita drammatica e operosa.

La bibliografia italiana ne conosce 328, datate dal 3 agosto 1923 al 27 luglio 1975 (raccolte in Trascrivere la vita intera, a cura di E. Restagno, Il Saggiatore, 2015): il maestro morì il 9 agosto dello stesso ’75; se la malattia gli rendeva doloroso l’uso della mano, alla fatica resse quasi fino alla fine.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul il «il Mulino» n. 1/18, pp. 80-85, è acquistabile qui]