Desdmond Mpilo Tutu (1931-2021) è stato una figura iconica della lotta all’apartheid in Sudafrica e un grande esempio di cristianesimo incarnato nel suo tempo. Balzato sulla scena internazionale nel 1984, quando ricevette il premio Nobel per la Pace, è rimasto impegnato per la giustizia globale fino alla sua morte, avvenuta poco più di un mese fa, il 26 dicembre 2021. In un’intervista recente, ha detto che «il premio Nobel per la pace ti obbliga alla responsabilità nei confronti del mondo. […] Il mondo, per così dire, possiede un pezzo di te».

Alla domanda su quale fosse stato il momento decisivo della sua vita, Tutu rispondeva sempre tornando con la memoria alla sua infanzia, quando faceva i compiti al pomeriggio nella grande cucina dell’istituto per ciechi dove sua madre lavorava come cuoca. Diverse volte alla settimana il reverendo Trevor Huddleston, un prete anglicano bianco, attraversava la cucina dopo essere passato dalla porta di servizio e salutava rispettosamente togliendosi il cappello: «Buonasera, signora Tutu!». Questo semplice gesto ripetuto si scolpì nella memoria del piccolo Desmond, il quale si era già abituato al fatto che i bianchi non trattassero i neri con rispetto o gentilezza. Più tardi, avrebbe fatto risalire a questo la scelta di diventare a sua volta prete anglicano e di impegnarsi con tutte le sue forze per la lotta contro l’apartheid, ricordando con commozione immutata l’orgoglio della madre nel rispondere al saluto del cappellano dell’istituto.Durante gli anni della sua carriera pubblica, Desmond Tutu denuncia senza sosta l’ipocrisia e l’immoralità fondamentale dell’apartheid, che i suoi sostenitori presentano come un sistema di rispetto delle differenze culturali e razziali

La figura di Huddleston torna in evidenza nella biografia di Tutu quando nel 1948, all’età di 17 anni, ammalato di tubercolosi, ne riceve le visite durante la lunga degenza in sanatorio. Questo prete e monaco, che Nelson Mandela definirà il bianco che di più ha fatto per sconfiggere l’apartheid, trasmette al giovane Tutu non soltanto la passione per la giustizia ma anche la spiritualità contemplativa che, insieme, costituiranno la trama della sua vita quotidiana. Il 1948 è anche l’anno dell’istituzione del sistema dell’apartheid che permette alla minoranza bianca di mantenere il controllo del Paese attraverso la creazione di Stati fantoccio (bantustan) nei quali masse di lavoratori neri possono essere deportate all’occorrenza. In questo clima, Desmond riesce comunque a diventare insegnante e nel 1955 sposa una collega, Nomalizo Leah Shenxane. Entrambi però abbandonano la professione a causa delle nuove leggi che prevedono che le scuole per neri siano non soltanto segregate, ma private di risorse e di scarso livello. Nel 1960 Tutu viene ordinato prete anglicano e, nel 1962, viene aiutato dalla Comunità della Resurrezione di Huddleston a recarsi nel Regno Unito per perfezionare i propri studi teologici. Quando ritorna in Sudafrica, nel 1966, Tutu inizia una prodigiosa carriera di insegnante di teologia e di ministro di culto, lasciandosi alle spalle ogni traccia di inferiorità razziale e facendosi conoscere per la sua contagiosa vivacità e il suo senso dell’umorismo, congiunti a un profondo rispetto per l’umanità di tutti i suoi interlocutori. Nel 1985 Tutu è il primo vescovo nero di Johannesburg e l’anno seguente il primo arcivescovo nero di Città del Capo, un ruolo che coincide con l’ufficio di primate della chiesa anglicana del Sudafrica.

Durante gli anni della sua carriera pubblica, Desmond Tutu denuncia senza sosta l’ipocrisia e l’immoralità fondamentale dell’apartheid, che i suoi sostenitori presentano come un sistema di rispetto delle differenze culturali e razziali. Egli afferma al contempo che la violenza non può risolvere il problema alla radice:

Ho detto e ripetuto più volte che mi oppongo a ogni forma di violenza: quella di coloro che intendono mantenere il sistema ingiusto, crudele e completamente immorale dell’apartheid e quella di coloro che intendono rovesciare tale sistema. Ho anche detto che la violenza che sta alla base e che provoca altra violenza è quella dell’apartheid, la violenza di un sistema educativo volutamente inferiore che prepara i nostri figli a una vita di servitù perpetua nella loro terra natale, la violenza della fame e della denutrizione all’interno dei bantustan, che sono stati creati appositamente come ghetti di povertà e miseria, come riserve inesauribili di lavoro a poco prezzo, e la violenza delle rimozioni forzate di intere popolazioni per cui due milioni di neri sono stati sradicati dalle loro abitazioni, gettati di peso nei bantustan, già afflitti dalla povertà, e privati della cittadinanza sudafricana da una violenza che li ha resi stranieri nella loro madrepatria.

Queste parole risalgono al 1983, quando Tutu ricopre il ruolo di segretario del Consiglio nazionale delle Chiese sudafricane. La sua opposizione alla violenza non è assoluta o ideologica. Egli comprende bene che le persone oppresse spesso non vedono altra soluzione alla loro situazione che imbracciare le armi. Tuttavia, rimane sempre convinto che la trattativa a oltranza col nemico e le forme di lotta nonviolenta siano non soltanto più etiche, ma anche più foriere di risultati. Negli anni successivi, Tutu sponsorizza apertamente il boicottaggio internazionale dell’economia sudafricana, che alla fine provoca la caduta del regime razzista.

Dal 1996 al 1999, Tutu presiede la Commissione «Verità e Riconciliazione» che rappresenta a tutt’oggi uno dei più grandi esperimenti di giustizia non punitiva mai intentati. A coloro che confessano pubblicamente la loro partecipazione a specifici atti di violenza commessi durante il regime dell’apartheid, lo Stato concede l’amnistia preventiva. Tutu insiste fin dall’inizio che il compito della Commissione è favorire la completa confessione, il perdono e la riparazione (ovviamente sempre soltanto parziale) dell’ingiustizia. La statura morale della figura di Tutu emerge in questo ruolo più che in ogni altro. Egli non fa sconti a nessuno, nemmeno a quelli della propria parte, e mostra pubblicamente la sua capacità di empatia nei confronti di vittime e carnefici. «Dovevamo guardare la bestia negli occhi, perché altrimenti ci avrebbe perseguitato per sempre», dirà più tardi. Alcuni anni dopo, quando il nuovo governo a maggioranza ANC (African National Congress) delude amaramente le sue aspettative di giustizia, sia per la corruzione rampante sia per l’esclusione delle persone afrikaaner (di discendenza bianca) dai ruoli di responsabilità, Tutu dichiara con fermezza: «Vi avverto che pregheremo per la caduta di questo governo. Esattamente come abbiamo pregato per la caduta del governo dell’apartheid, pregheremo per la caduta di questo governo che non ci rappresenta».Desmond Tutu ha chiaramente scelto di spendere la sua notorietà per portare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla sofferenza globale e sui modi per superarla

Dopo il suo pensionamento, Desmond Tutu intensifica la sua lotta contro l’ingiustizia a livello globale. Nel 1998, quando l’arcivescovo di Canterbury, George Carey, favorisce una mozione di condanna dell’omosessualità in quanto «non-biblica», gli scrive pubblicamente: «Mi vergogno di essere anglicano». Tutu protesta pubblicamente contro la guerra in Iraq, contro la presenza cinese in Tibet, e contro il trattamento dei palestinesi da parte del governo di Israele. In alcuni casi, egli ripropone le forme di lotta e di riconciliazione che ha sperimentato in prima persona in Sudafrica, ad esempio sostenendo il boicottaggio dell’economia israeliana e delle industrie estrattive, e ripresentando la struttura della Commissione sudafricana «Verità e Riconciliazione» come presidente di un’analoga commissione nelle Isole Salomone. Le sfide del cambiamento climatico globale, le sofferenze dei Rohingya in Myanmar, le politiche repressive del governo saudita, e molte altre cause hanno visto l’arcivescovo emerito del Sudafrica sempre in prima fila. Desmond Tutu ha chiaramente scelto di spendere la sua notorietà per portare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla sofferenza globale e sui modi per superarla. Le tante onorificenze e premi che gli sono stati attribuiti non hanno mai scalfito la sua umiltà, né le aspre critiche di partigianeria ne hanno mai abbattuto l’umorismo. Il suo cuore si è fermato nel giorno di santo Stefano, servitore dei poveri e primo grande testimone di Cristo. Una bella coincidenza per la vita profetica di questo infaticabile cristiano.