Tutte le arti mirano al superamento delle convenzioni estetiche e culturali esistenti. Nel jazz, questa caratteristica tensione è condotta alle estreme conseguenze. Nell'assolo riuscito il jazzista non esprime un'identità già data, ma scopre nuove identità possibili, sempre incompiute e provvisorie; deve, in altre parole, smarrire la propria identità nel momento stesso in cui la trova. Il jazzista che improvvisa è così esposto a due rischi: da una parte, quello di percorrere strade già battute, ossia il rischio della stagnazione; dall'altra, quello di risultare incomprensibile per chi lo ascolta, ossia il rischio dell'isolamento. Nell'improvvisazione si riproduce dunque in massimo grado la situazione paradossale dell'artista, stretto fra la spinta a trasformarsi per essere originale e la necessità di definirsi per essere riconoscibile. A questo paradosso è dedicato il libro, che nell'esplorare le vie della creatività musicale ci fa scoprire le sperimentazioni più ardite, da John Coltrane a Sun Ra.
Davide Sparti è professore associato nella Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Siena. Con il Mulino ha pubblicato "Identità e coscienza" (2000), "Epistemologia delle scienze sociali" (2002), "Suoni inauditi. L'improvvisazione nel jazz e nella vita quotidiana" (2005) e "Il corpo sonoro. Oralità e scrittura nel jazz" (2007); con Feltrinelli "Soggetti al tempo" (1996), "Wittgenstein politico" (2000) e "L'importanza di essere umani. Etica del riconoscimento" (2003); con Bollati Boringhieri "Musica in nero. Il campo discorsivo del jazz" (2007).
Collana "Intersezioni", Bologna, Il Mulino, pp. 168, euro 13,50.
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