«Czesław Miłosz, il poeta polacco, lo scrittore, il diplomatico, l’esiliato, il Premio Nobel, è una figura che sembra incarnare gli sconvolgimenti del Ventesimo secolo». Così lo descrive il poeta americano Charles Simic (in Poems from the Abyss, «The New York Review of Books», 23.11.2017), che poi prosegue:
Ha vissuto entrambe le guerre mondiali e la Rivoluzione russa, ha sperimentato il fascismo, il comunismo e la democrazia, ha vissuto nell’Europa orientale e in quella occidentale e infine negli Stati Uniti, ed è ritornato continuamente in questi fatti nella sua scrittura. Quando gli fu chiesto della sua casa, Miłosz disse che veniva da un altro pianeta, da un altro tempo, da un’altra epoca. Miłosz è nato nel 1911 in Lituania – allora parte dell’Impero russo – in una di quelle regioni dell’Est Europa di cui anche gli europei occidentali hanno una vaga idea, dove milioni di persone sono state uccise e sfollate durante le due guerre e dove i sopravvissuti, tutti, senza eccezioni, hanno vite pazzesche da raccontare.
La storia di quest’uomo a cavalcioni tra i mondi, che nel 1939, con l’occupazione nazista di Varsavia, viene separato dai parenti, che trova lavoro come magazziniere nella libreria universitaria e lì «compie la sua educazione intellettuale, imparando l’inglese dai libri di T.S. Eliot, Robert Browning, Edgar Lee Masters, William Blake e John Milton», in effetti è davvero pazzesca. Cresciuto a Vilnius («straordinaria città barocca dove coabitavano cattolici, ebrei e ortodossi»), educato in una scuola cattolica e poi all’Università di Varsavia, Miłosz sosteneva che con il suo connazionale, lo scrittore Witold Gombrowicz (1904-1969), si poteva quasi soltanto parlare di filosofia, perché «indirizzava subito la conversazione verso la filosofia» (A. Fiut, Miłosz racconta Miłosz, trad. it. Cseo, 1983, p. 83): ma capitava sempre così anche con lui, se posso basarmi sulla mia esperienza personale. Le discussioni su questioni filosofiche lo appassionavano. Miłosz la prendeva sempre alla lontana, ma lì sempre arrivava: il confronto e la prova della poesia era sempre con la filosofia.
[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 3/18, pp. 437-444, è acquistabile qui]
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