Costituzione e politica. Appunti per una nuova stagione di riforme costituzionali è il nuovo, stimolante saggio di Enzo Cheli che vede la luce, per il Mulino, in un momento cruciale per la democrazia italiana. Come prevedibile, in queste ultime settimane, il tema della “grande riforma” è tornato infatti a scuotere il dibattito politico e scientifico, provocando reazioni di varia natura. Le riforme rappresentano, del resto, un punto essenziale dell’agenda di governo, come confermato, anche di recente, dalle frequenti esternazioni del ministro Calderoli, determinato a difendere il suo contestato progetto di autonomia differenziata, e della stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha affermato, testualmente, di dovere avviare una complessiva revisione della Carta costituzionale in virtù di uno specifico mandato popolare.
Il suo “faccio quel che devo fare” rappresenta, al riguardo, una precisa opzione di metodo, dinanzi alla quale la ricerca di soluzioni condivise con le opposizioni appare poco più che una cortese dichiarazione di bon ton istituzionale. Al riguardo, la lettura del volumetto, di agile e piacevole lettura, come da tradizione dell’autore – che scrive dall’alto di una riconosciuta e autorevole esperienza accademica e istituzionale, maturata come docente di Diritto costituzionale in prestigiose sedi universitarie, come presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nonché negli anni trascorsi alla Corte costituzionale, della quale è vicepresidente emerito –, aiuterebbe molto i novelli riformatori, che dai concetti espressi qui con chiarezza esemplare avrebbero molto da apprendere.
L’autore individua in una precisa fase storica, la fine degli anni Settanta, l’inizio della crisi e, se può dirsi, l’avvio dello scarto, sempre più intenso, tra politica e Costituzione
Credo utile, al riguardo, segnalare alcune linee di riflessione in rapporto di reciproca implicazione che, nell’insieme, delineano un approccio interpretativo per molti versi controcorrente. La traccia che percorre l’intero lavoro è, infatti, quella della valorizzazione dell’impianto costituzionale, del suo saldo radicamento popolare, della sua capacità ancora attuale di conformare la democrazia italiana. Molto opportunamente, l’autore individua in una precisa fase storica, la fine degli anni Settanta, l’inizio della crisi e, se può dirsi, l’avvio dello scarto sempre più intenso tra politica e Costituzione: in un momento, cioè, in cui il disegno costituzionale “pur rimanendo ancora non del tutto compiuto”, risultava “nei suoi tratti prevalenti attuato” (p. 19).
Proprio alla fine di quel decennio iniziò a diffondersi, in alcuni settori del mondo politico, una narrazione che, nel corso del tempo, si è convertita in una precisa strategia: secondo questa lettura, infatti, il distacco tra politica e realtà sociale non sarebbe dipeso dalle trasformazioni interne ai partiti, che già all’epoca andavano evidenziandosi, ma, diversamente, da presunte disfunzioni del modello costituzionale. Un vero e proprio rovesciamento di paradigma, segnala Cheli, dal momento che “qualsiasi tipo di riforma costituzionale, grande o piccola che sia, che, a differenza di quanto accaduto in passato, aspiri a risultare funzionante” dovrebbe necessariamente essere preceduta o quanto meno accompagnata da una riforma della politica nel suo complesso (p. 22).
Un sistema politico e partitico, insomma, che a partire da un dato periodo ha proiettato sulla Costituzione la propria stessa crisi, al fine di non fare i conti con le ragioni profonde della propria fragilità. Forze politiche che intendono, ancora oggi, convincere gli italiani che il nodo da sciogliere sia proprio lì, in quella Carta che contrariamente – anche in virtù dell’opera di interpretazione della Corte costituzionale, spesso chiamata a supplire le lacune della politica – ha continuato a garantire pluralismo politico-sociale e sviluppo dei diritti in un Paese che ha contribuito in modo decisivo a unire nel segno del Patto costituente.
Ulteriore aspetto della riflessione concerne i principali tentativi di “grande riforma” succedutisi a partire dalla fine degli anni Novanta, a seguito della trasformazione “maggioritaria” della forma di governo (D’Alema; Berlusconi; Renzi-Boschi), che hanno tuttavia incontrato sinora una “resistenza” popolare in sede referendaria (nel 2006 e nel 2016), che Cheli ha interpretato come manifestazione della volontà dei cittadini di ritenere inaccettabile tanto il metodo quanto il contenuto di riforme rivolte alla modifica radicale della forma di Stato e della forma di governo. Tali vicende hanno rivelato una Costituzione forte, chiamata suo malgrado a reggere il confronto con un sistema fragile, segnato da forze politiche vigorosamente orientate a dimostrare l’attualità della legge ferrea dell’oligarchia formulata da Robert Michels più di un secolo fa. Di “tradimento” del metodo democratico parla, a ragione, Enzo Cheli, a proposito di partiti che, si aggiunga, hanno da tempo smesso di proporsi come strutture espressive della partecipazione popolare, deliberatamente rinunciando al loro ruolo di mediazione sociale.
Mala tempora currunt, insomma. Eppure, secondo l’autore, non tutto è perduto. Esiste ancora lo spazio per riforme rispettose della Costituzione, purché la politica, che in questi anni non è riuscita neanche a modificare la legge elettorale attualmente in vigore, nonostante le sue evidenti lacune e le sollecitazioni della Corte costituzionale, si decida ad anteporre la “sua” riforma a quella della Carta. Riforma elettorale, appunto, introduzione di una legge quadro organica sui partiti, che disponga un’organizzazione interna fedele al “metodo democratico”, disciplina del finanziamento pubblico e privato, ripensamento del regime dei controlli, nella prospettiva di un loro rafforzamento, e, infine, omogeneizzazione delle regole a salvaguardia della correttezza delle elezioni primarie, costituiscono, per Cheli, condizioni minime e preliminari per ritrovare un equilibrio che, oggi, sembra perduto.
Ma non tutto è perduto, secondo Cheli. Esiste ancora lo spazio per riforme rispettose della Costituzione, purché la politica si decida ad anteporre la “sua” riforma a quella della Carta
Anche a seguito della recente riforma avente a oggetto la riduzione del numero dei parlamentari (L. cost. n. 1/2020), che l’autore, pur individuandone i limiti, valuta con spirito costruttivo, alcune riforme della Costituzione sarebbero possibili, se non addirittura necessarie. Quella del bicameralismo paritario, ad esempio, in funzione del transito a un “monocameralismo temperato”, ipotizzato da Manzella, che Cheli guarda con interesse, in funzione di un nuovo modello “fondato sul carattere unitario dell’organo e della rappresentanza parlamentare” (p. 78); quella della forma di governo, non già in direzione del presidenzialismo, riflesso dalle recenti proposte avanzate dal partito della presidente Meloni, giudicate contraddittorie e strumentali, perché indirizzate a “recidere, attraverso uno strumento incisivo qual è l’elezione diretta del capo dello Stato, le stesse radici storiche di un impianto repubblicano nato nel Secondo dopoguerra su una larga e comune piattaforma antiautoritaria” (p. 102), ma nella prospettiva di una più compiuta razionalizzazione della forma di governo parlamentare, in grado di garantire, ancora oggi, “la coesistenza tra le forze di una società fortemente complessa e rischiosamente disomogenea” come quella italiana (p.118)
Una riflessione, insomma, certamente opportuna per comprendere il senso della Costituzione e i limiti delle proposte in campo, al di là degli slogan ripetitivi che quotidianamente vengono diffusi. Indicazioni preziose per una politica intellettualmente, o meglio, costituzionalmente onesta.
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