A Budrio, paese della bassa bolognese, nel 1853 il diciassettenne Giuseppe Donati inventa l’ocarina, un flauto globulare in terracotta a sette fori che deve il suo nome a una particolare forma ovoidale allungata, che ricorda il profilo di un'oca privata della testa (in dialetto bolognese ucareina è infatti il diminutivo di oca). L’ocarina nasce un po’ per scherzo e un po’ per caso: la tradizione narra che Donati stesse costruendo un oggetto simile a una cornetta quando lo strumento si ruppe durante la lavorazione. Dalla parte rimasta intatta sviluppò l’ocarina definitiva, quella destinata alla popolarità.
Ma il giovane Donati non si limitò a costruire ocarine di una sola taglia: l'idea originale e vincente fu quella di costruire una famiglia di ocarine grandi e piccole intonate tra di loro, così da poter essere suonate in gruppo da più persone contemporaneamente, creando armonie e composizioni articolate.
Oggi, anche grazie a tournée e masterclass che i musicisti del Gruppo ocarinistico budriese (Gob) tengono in tutto il mondo, l'ocarina è una realtà consolidata, specie nei Paesi dell'Estremo Oriente. In Giappone si stimano 600 mila praticanti, in Corea ci sono più di cento "settimini" che suonano musiche della tradizione di Budrio, mentre in Cina si parla addirittura di 10 milioni di suonatori di ocarina.
Ma per molti anni, quando internet non esisteva, non ci sono stati scambi e relazioni dirette tra Budrio e i tantissimi suonatori e appassionati orientali. Fu così che una sera fredda e piovosa, Riko Kobayashi, giapponese di Osaka, suonatrice e maestra di ocarina, arrivò inaspettatamente in paese e si presentò nella storica sede della Scuola di ocarina: era proprio la sera in cui si teneva la prova settimanale del Gob e per i musicisti fu una sorta di apparizione. Una donna minuta, che nessuno aveva mai visto prima di allora, umile ma piena di energia e di amore per questo strumento, aveva deciso di visitare i luoghi nei quali l'ocarina era stata creata. Da lì ebbe inizio un'amicizia che l'anno dopo, nel 2007, portò a Budrio gli studenti della scuola di ocarina di Riko, sempre vestiti con le loro casacche azzurre, tra il sogno delle melodie orientali e la realtà della terracotta.
In Italia, l’ocarina non è diffusa allo stesso modo, ma a Budrio, grazie al Festival internazionale dell’Ocarina, ogni due anni (siamo ormai alla VIII edizione, quest' anno da venerdì 1 a domenica 3 maggio) arrivano centinaia di persone da ogni parte del mondo. Ma nei prossimi giorni, Budrio, oltre a numerosi musicisti (solisti e gruppi) di fama internazionale, provenienti dall’Oriente come da Gran Bretagna, Francia, Germania, America, accoglierà anche Susan e Janine Reep, figlie di Edward, il soldato americano che partecipò alla Liberazione di Bologna e le cui fotografie sono in mostra a Palazzo d’Accursio e all’Istituto Storico Parri Emilia-Romagna, a Bologna, fino al 9 maggio.
Luisa Cigognetti, vicesindaco di Budrio e responsabile della sezione audiovisivi dell’Istituto Parri, che ha organizzato la mostra, è stata molto sorpresa nel sapere che Susan, con la sorella, avrebbe partecipato al “very famous” Festival dell’Ocarina “in una piccola città vicino a Bologna, chiamata Budrio”. Ha chiesto dunque loro il perché.
Susan le ha raccontato che Edward Reep possedeva un’ocarina, costruita a Budrio, probabilmente tra il 1886 e il 1920 da Guido Chiesa, assistente di Cesare Vicinelli, che suonava durante la sua avventura italiana.
Negli eserciti, durante le pause dalle lunghe marce forzate oppure alla fine di una battaglia, era consuetudine ritrovarsi la sera, stremati, e fare un po’ di musica. Con qualunque strumento: un flauto di plastica, una canna con dei buchi, spesso autocostruiti e rozzi. Ad Anzio Reep aveva un flauto di plastica che si era costruito da solo, ma all’arrivo a Bologna possedeva un’ocarina, la stessa che Susan Reep conserva ancora e che porterà con sé a Budrio nei giorni del festival. Sarebbe molto interessante sapere quando e come entrò in possesso del soldato Edward. Se passò per Budrio nei giorni della Liberazione, o se l’ottenne scambiandola, come ha fatto per la sua macchina fotografica, con tre libbre di caffè.
Lui stesso, raccontando questa storia in un bellissimo documentario americano del 2000, “They Drew Fire- Combat Artists of WW2”, suona, con uno di questi rudimentali strumenti a fiato, la canzone che tutti preferivano: “Lili Marlene”. Ma ne sapremo di più da Susan e Janine nei prossimi giorni.
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