Un pomeriggio di qualche settimana fa stavo aiutando mio figlio a cambiarsi, nello spogliatoio della piscina, quando un’altra mamma, intenta nelle stesse penose operazioni, lo ha apostrofato scherzosamente : «Ehy, che cosa è successo ai tuoi calzini?!». Anche mio figlio aveva trovato la cosa molto divertente, e anzi quella mattina aveva insistito per indossare quei calzini: «Hai visto? – gorgogliava – Uno di un colore e uno di un altro!! Papà ne aveva dimenticato uno nella lavatrice e poi ha fatto… che cosa ha fatto, mamma?!». «Un candeggio, lo ha lasciato insieme a dei bianchi da candeggiare». «Ah, ecco, insomma, si è sbagliato, ora però sono fighissimi, vero?!».
L’altra mamma, che fino a quel momento aveva seguito con benevolo divertimento l’avventura dei calzini, pronta a scusare le altrui sbadataggini domestiche, ha sentenziato fulminea: «No, tesoro… Non ha sbagliato papà… Ha sbagliato la mamma che gli ha permesso di avvicinarsi alla lavatrice!». E ha riso.
A me la battuta non ha fatto ridere. Anzi, mi è dispiaciuto per mio figlio, che l’ha dovuta ascoltare, e mi dispiace per lei, che non ha ancora quarant’anni, è un'insegnante, ha due figlie piccole e un marito «che mi vergognerei a far uscire con le scarpe sporche» e la sera, o nel week end, gestisce le incombenze di casa tutte da sola, convinta di fare prima e meglio. Le meno volenterose, o le più ricche, pagano qualcuno – o meglio, qualcuna – che sbrighi le faccende «al posto loro». Perché a quanto pare, ancora, per le figlie e i figli della generazione del femminismo, la gestione della casa e di chi la abita – dal marito ai bambini al gatto – è appannaggio femminile. E se non si arriva a farlo in prima persona ci si fa sostituire da un’altra donna.A quanto pare, ancora, per le figlie e i figli della generazione del femminismo, la gestione della casa e di chi la abita – dal marito ai bambini al gatto – è appannaggio femminile
Vizi di pensiero come se ne trovano tanti nel libro di Emma, Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano, appena uscito in Italia da Laterza, con una prefazione di Michela Murgia. Un compendio della ormai piuttosto ricca produzione della fumettista francese, che dapprima ha pubblicato sul suo blog e quindi in diversi volumi usciti in Francia a partire dal 2017. Pagine popolate da uomini come ne conosciamo tutte, che si stupiscono se la compagna a fine giornata è stanca o addirittura nervosa, dopo che ha lavorato, organizzato il pomeriggio dei figli, preparato la cena e via andando verso l’ora in cui crollerà con la fronte stampata contro le sbarre del lettino del figlio minore, in attesa che il proprio compagno rientri a casa dopo essere stato in ufficio a oltranza e aver bevuto «una birra veloce» coi colleghi. Uomini che giustificano il non aver svuotato la lavastoviglie, o steso, o cucinato un pasto per la famiglia con uno stupito «non mi avevi detto che dovevo farlo». Ma anche donne che preferiscono infantilizzare i loro compagni e ancora riconoscono come un potere la gestione in solitaria del ménage famigliare; donne per cui essere multitasking è un vanto, prima che un obbligo; donne che inevitabilmente arrancano, sovraccaricate tanto dalle pratiche quotidiane quanto dal «carico mentale», ossia l’avere sempre la mente affollata. Un lavoro di progettazione e organizzazione ancora più invisibile delle faccende domestiche: incastri da pianificare, persone a cui si dovrebbe telefonare (mica amiche; l’idraulico per quella macchia di umido comparsa sul soffitto del bagno o la società del gas per comunicare l’autolettura del contatore), impegni che non si porteranno a termine (è un mese che l’asta della tenda della sala è rotta ed è un mese che non faccio in tempo a fermarmi in ferramenta per comprarne una nuova, è incredibile!).
Gli uomini tutti questi pensieri ce li hanno? Emma ne dubita. Altrimenti saprebbero «dove comprare i vestiti ai figli, che cosa preparare loro da mangiare, qual è la data del prossimo vaccino o il numero della baby-sitter». E non si limiterebbero, nel migliore dei casi, a chiedere «che cosa posso fare», ma farebbero, in autonomia.
Ci riconosciamo nelle situazioni descritte da Emma? Ci infastidiscono certi suoi attacchi o il suo incedere spesso esageratamente didattico? Certamente Emma non lascia spazio al non detto, all’allusione. Ha le idee molto chiare su quale dovrebbe essere la direzione da prendere e più che «suggerire», come pure scrive spesso, afferma con decisione. Parla a un pubblico molto preciso, quello delle quarantenni che lavorano, vivono in una coppia eterosessuale e per lo più hanno figli. Un po' come lei: trentanove anni, ingegnere elettronico, madre di un bambino. Un paio d’anni fa però Emma ha lasciato il suo lavoro «diurno» in azienda per dedicarsi a tempo pieno a quanto faceva quando aveva «finito tutto il resto»: disegnare. E ha deciso – ma lo scrive strizzando l’occhio, conscia di quanto potrebbe apparire pomposo – «di consacrarsi alla causa di democratizzare le idee femministe e rivoluzionarie, nella speranza che saremo sempre di più a lottare per un mondo migliore». Donne e uomini insieme. Perché per cambiare i comportamenti legati agli stereotipi di genere servono anche gli uomini.Ci riconosciamo nelle situazioni descritte da Emma? Ci infastidiscono certi suoi attacchi o il suo incedere spesso esageratamente didattico? Certamente Emma non lascia spazio al non detto, all’allusione
Prendiamo l’esempio apparentemente innocuo del «lavoro emozionale», ossia quell’impegno, tradizionalmente femminile, a mantenere relazioni armoniose dentro e fuori la famiglia, ad avere attenzioni e cura per gli altri. Emma non è certo la prima a dire che si tratta di costrutti culturali, che l’etica della cura non deve essere riservata alle donne e che la società trarrebbe giovamento da uomini più empatici e disponibili ad ascoltare i bisogni di chi li circonda. Però fa certamente bene a ribadirlo, e a chiosare che «spetta soprattutto agli uomini fare lo sforzo di impegnarsi nella sfera emotiva». Le donne lo fanno da millenni, e non è inscritto nel loro Dna. Un discorso simile vale per l’aggressività, sanzionata paginesocialmente in una donna e scusata, quando non incoraggiata, in un uomo sin dall’infanzia, sia nel privato sia nella sfera pubblica: se a urlare è una donna è un’isterica in preda a sconvolgimenti ormonali, se è un uomo è un impavido che afferma con forza le sue idee.
Dunque, annota Emma al termine di Non va bene, ma…, storia dedicata al consenso delle donne in fatto di sessualità, «la sola condizione per far cambiare le cose è essere in tanti a sostenere il cambiamento». Dall'assegnazione sociale di priorità differenti per uomini e donne (lavoro vs famiglia) agli immancabili commenti, positivi o negativi che siano, sull'aspetto fisico delle donne (no, cari uomini, non sempre ci interessa il vostro parere sulla nostra forma fisica, a maggior ragione se non vi conosciamo). Ma in realtà Emma insiste molto anche su un'altra condizione indispensabile perché le cose cambino: l'educazione delle nuove generazioni. Se oggi le donne subiscono, patteggiano, combattono, tutte e tutti dobbiamo fare in modo che le nostre figlie e i nostri figli possano vivere invece relazioni diverse, improntate all'equità degli equilibri quantomeno nella sfera personale. Facciamo in modo che le nostre figlie non debbano provare quel senso di colpa per non fare abbastanza e quella frustrazione per fare tutto e da sole, come troppo spesso capita alle loro madri; facciamo in modo che i nostri figli non si sentano ospiti nella casa che abitano, come troppo spesso capita ai loro padri.
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