Il 3 maggio scorso «la Repubblica», in un articolo dedicato alle competenze degli studenti di terza media, recitava: «Istat, ragazzini promossi ma ignoranti. Il 34% alla fine della terza media non ha competenze sufficienti». Ancora più allarmista il «Corriere della Sera», sempre lo stesso giorno: «Uno studente su tre esce dalle medie senza saper leggere, scrivere e fare di conto». Si tratta di due esempi recenti di un sotto-genere letterario che meriterebbe uno studio a parte: le denunce della superficialità imperante condotte, ironicamente, con una buona dose di superficialità. Basta infatti analizzare con cura i dati su cui questi allarmi si basano per accorgersi che le voci sull’ignoranza dei nostri studenti sono molto esagerate. Nello specifico, i quotidiani nazionali stavano riprendendo dei dati Invalsi pubblicati a luglio 2018 e poi rielaborati dall’Istat nell’aprile successivo, nell’ambito dell’annuale Rapporto SDGs (Sustainable Development Goals, ossia obiettivi di sviluppo sostenibile): un documento molto lungo e complesso (478 pagine in tutto), di cui qui interessa l’obiettivo 4, Istruzione di qualità per tutti (pp. 79-92 del Rapporto; l’intero documento è disponibile qui. Fra i vari dati messi in luce sull’istruzione italiana nel Rapporto SDGs, è interessante notare sia quelli ripresi dai media e dal dibattito pubblico, sia quelli rimasti in larga parte taciuti.

Iniziamo dai primi: come si è visto, gli allarmi mediatici si concentrano sulla presunta insufficienza delle competenze maturate dai nostri studenti al termine delle medie. Su questo aspetto il Rapporto SDGs si basa sostanzialmente sui dati Invalsi del luglio 2018, ma operando una significativa semplificazione semantica. Nel Rapporto Invalsi non si parla mai direttamente di competenze insufficienti, né viene menzionato lo spauracchio del cosiddetto «analfabetismo funzionale», tanto caro al dibattito pubblico: si distribuiscono invece gli studenti in livelli di competenza, e ciò che conta è capire come tali livelli vengono costruiti.

Per quanto riguarda le competenze sulla lingua straniera, i livelli derivano da criteri a priori: si usano standard previsti dal quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (Qcer) e si verifica quanti studenti manifestano le competenze previste da tali criteri, e in che misura. Invece i livelli di competenza di italiano e matematica, quelli al centro dello scandalo mediatico sulla presunta ignoranza dilagante, sono «stabiliti su una base empirica e corrispondono a fasce di punteggio su una scala quantitativa (Rasch), sulla quale le risposte degli studenti e il loro livello di competenza sono ordinati su uno stesso continuo. Essi fanno dunque riferimento non a un criterio, ma a una norma statistica direttamente costruita sulle prestazioni degli studenti» (Rapporto Invalsi 2018, p. 67, corsivo mio). Poiché l’Invalsi pone il livello intermedio come soglia per la sufficienza, non solo non sorprende che circa 1/3 degli studenti risulti sotto soglia, ma è addirittura statisticamente inevitabile che ciò accada, dato il modo in cui sono costruiti i livelli: come sottolinea un recente intervento sul sito Roars, qualcosa di analogo accadrebbe anche se il campione testato fosse composto interamente da premi Nobel, oppure da perfetti somari. Naturalmente ciò non toglie che la comparazione fra diverse distribuzioni nei livelli di competenza, ad esempio in differenti zone d’Italia, possa consentire riflessioni interessanti, sulle quali infatti si concentra maggiormente il rapporto Invalsi, come anche la preoccupazione destata dai dati Ocse- Pisa quando si confronta la situazione italiana con quella di altri Paesi. Purtroppo, non è questo che cattura l’attenzione mediatica, bensì l’incredibile percentuale di insufficienze, che invece non solo non è incredibile, ma anzi è inevitabile.

 

[L'articolo completo pubblicato sul "Mulino" n. 4/19, pp. 612-619, è acquistabile qui