Nelle ricostruzioni sulla criminalità organizzata, la Toscana non risulta essere tra le terre di mafia ma, al limite, una regione potenzialmente permeabile. Cultura civica, classe politica integra e apparati di contrasto particolarmente attenti al tema limiterebbero le presenze delle mafie “solo” ad attività di riciclaggio. Eppure, le vicende pratesi – qui sintetizzate – sono un chiaro esempio di infiltrazione in uno specifico settore economico laddove il contesto mostra elementi di fragilitàche necessitano di una riflessione più accorta. Infatti, nonostante la presenza dei gruppi mafiosi nella provincia pratese trovi poco spazio nel dibattito pubblico, soprattutto in seguito a episodi di violenza, un'analisi approfondita dei fatti rivela che le attività di questi gruppi coinvolgono anche attori locali di diversa natura e con ruoli differenti, consapevoli del profilo criminale dei personaggi vicini alle consorterie mafiose.

Semplificando, sul territorio si riscontrano due tipi di presenze criminali: una dedita prevalentemente ad attività predatorie, l’altra ad attività imprenditoriali. Nel primo caso, gioca un ruolo importante lo stretto rapporto che si mantiene con il contesto di origine, soprattutto in termini di disponibilità di capitali. Gli affari, che si estendono su un’area che supera i confini pratesi, riguardano l’acquisizione, con metodi tipicamente mafiosi, di attività imprenditoriali ed economiche, lo sfruttamento della prostituzione attraverso l’immigrazione irregolare, la gestione del gioco d’azzardo e l’usura, specie a danno di imprenditori in difficoltà che si trovano costretti prima a condividere la propria società e poi a cederla del tutto. Emblematici del secondo tipo di presenza più “imprenditoriale” sono gruppi criminali cinesi e due clan di camorra, inseritisi in segmenti di mercato secondari nell’ambito del distretto industriale e, anche per questo, sottovalutati nelle fasi iniziali del loro insediamento.

I gruppi criminali cinesi sono basati prevalentemente sui legami familiari e l’appartenenza totalizzante al gruppo, che implica fedeltà e rispetto dell’autorità. Oltre all’inserimento nell’economia legale, in particolare nel settore del pronto moda, le principali attività illecite riguardano contraffazione, riciclaggio, traffico di clandestini, tratta degli esseri umani ed estorsioni, praticate a danno di imprenditori cinesi soprattutto per instaurare e affermare un controllo stabile sull’esercizio di attività lecite, come ristoranti e laboratori di confezioni e pelletterie.

Nel caso dei gruppi criminali campani si registrano presenze di singoli esponenti dei clan Iacomino-Birra e Ascione, che nell’area di origine (Ercolano, Napoli) hanno dato vita fin dagli anni Novanta a una faida cruenta. Entrambi i gruppi si dedicano prevalentemente ad attività illegali, mentre le attività legali riguardano il commercio degli abiti usati.

Questo particolare settore economico risulta centrale in entrambi i contesti considerati: a Prato per la vocazione al tessile e la produzione del cardato di lana; a Ercolano per il commercio al dettaglio, che trova la massima espressione nel mercato di Resina. La condivisione di questo settore permette di comprendere il flusso migratorio degli ercolanesi che, a partire dagli anni Settanta, si spostano a Prato e avviano attività imprenditoriali di cernita degli stracci. Su questa rete s’innestano, senza sovrapporsi totalmente, anche gli spostamenti criminali-imprenditoriali degli esponenti dei clan.

Questi arrivano nel territorio pratese dalla fine degli anni Settanta, con un profilo criminale diversificato, sfruttando a proprio vantaggio misure alternative al carcere, grazie ad assunzioni garantite da parenti o amici imprenditori. S’inseriscono, quindi, nel tessuto produttivo pratese e svolgono soprattutto attività legali nel settore della commercializzazione degli abiti usati, relazionandosi con le aziende che si occupano di altre fasi della filiera (cernita e igienizzazione).

È proprio nel complesso intreccio di rapporti tra queste imprese che sono emersi casi di imposizioni da parte degli esponenti dei clan ai danni dei proprietari delle piccole ditte di cernita. E nello stesso frame matura e si consuma l’omicidio di Ciro Cozzolino nel 1999, realizzato con modalità di vero agguato mafioso, che rivela la proiezione della faida tra i gruppi fuori dal contesto d’origine (Cozzolino gravita infatti nella formazione in quel momento perdente a Ercolano) e la gestione monopolistica del settore degli stracci da parte degli esponenti toscani dei clan (dal punto di vista giudiziario, i filoni di indagine si concentrano su due versanti: l’omicidio e i rapporti tra le attività degli esponenti del clan e un’azienda con proprietario pratese. Negli ultimi mesi della ricerca è emerso il coinvolgimento dell’esponente principale del clan Iacomino-Birra, al momento latitante, in episodi di usura).

Le vicende offrono spunti di riflessione più generali, relativi al rapporto tra le dinamiche espansive delle mafie e i “contesti di accoglienza”. Dalla ricostruzione del dibattito pubblico nell’area pratese emerge una doppia rappresentazione dell’illegalità. Il ricorso a pratiche illegali, quali ad esempio il mancato rispetto della normativa, perpetrate da “semplici” imprenditori autoctoni appare giustificato e tollerato come strategia di sopravvivenza alla crisi. A questo atteggiamento fa da contraltare una notevole attenzione mediatica e una posizione di netta condanna verso dinamiche in parte analoghe ma implementate da presenze più visibili, riconducibili soprattutto alla comunità cinese, percepita dall’opinione pubblica come una delle principali fonti di illegalità.

Nel lungo periodo, questa duplice rappresentazione sembra funzionale alle strategie di mimetizzazione dei gruppi mafiosi: proiettando l'attenzione all'esterno (“è tutta colpa dei cinesi”), le eventuali presenze criminali sono lasciate sullo sfondo o non sono affatto tematizzate.