Era il 9 novembre del 1969 quando, a Bologna, veniva inaugurato il primo asilo nido comunale d’Italia, anticipando di ben due anni la prima legge italiana che chiedeva l’istituzione di nidi gestiti dai comuni. Fortemente voluto dall’amministrazione Fanti, in particolare dal sindaco e dall’allora assessora ai Servizi sociali Adriana Lodi, il nido veniva intitolato alla memoria dei genitori dell’industriale Aldo Patini, Carolina e Giuseppe, che finanziò la struttura. Si tratta di un asilo comunale ancora oggi aperto e che si appresta, in questi giorni, a spegnere tante candeline quante quelle che celebrano mezzo secolo di storia.
Rinnovarne la memoria è l'occasione per mettere in evidenza l’evoluzione di questo servizio, la sua conquistata funzione educativa (e quindi i benefici pedagogici per la crescita dei più piccoli), il ruolo fondamentale che hanno assunto i nidi per consentire agli adulti di conciliare al meglio il tempo del lavoro pagato con quello della vita quotidiana. Senza dimenticare il fatto che, nelle politiche pubbliche, essi rappresentano un luogo di incontro tra i cittadini e le amministrazioni, in cui far crescere un capitale sociale di cui troppo poco si parla, ma che è così necessario per il (buon) funzionamento della democrazia: la fiducia nella politica e nelle istituzioni.
Adriana Lodi – che domani sarà insignita della massima onorificenza del Comune di Bologna, il Nettuno d’Oro, per lo stesso motivo per cui il 3 dicembre prossimo l’Alma Mater le consegnerà la laurea ad honorem – è stata colei che più si è spesa, impegnata, adoperata per inaugurare il Patini. Ha avuto più volte modo di parlarne, mettendo in evidenza il senso di una battaglia politica e sociale frutto di un’esperienza maturata sul campo, nella convinzione profonda che occuparsi di educazione non sia solo un fatto privato, come pure conservare il posto di lavoro una volta diventati genitori. Lodi (e con lei tutta l’amministrazione dell’epoca) poteva contare sul fatto che queste questioni poggiavano, a Bologna, anche su scelte che l’avevano preceduta: quelle, in particolare, dei sindaci Dozza e Zanardi.
Dozza aveva investito moltissimo nelle politiche educative, e specialmente nella scuola. Aveva inoltre, nel 1956, nominato la prima assessora d’Italia ai Problemi della donna (carica che oggi definiremmo di Pari opportunità, oppure di Cultura delle differenze), riconoscendo così le particolari fatiche che soprattutto le donne incontravano, prevalentemente quando madri, nel mondo del lavoro. Anche il sindaco Zanardi aveva impegnato molto la sua amministrazione sullo stesso terreno, in particolare per contrastare la piaga dell’analfabetismo. Fin dal titolo del programma con cui aveva vinto le elezioni a Bologna, nel 1914, è possibile riconoscere questo impegno: Pane e alfabeto furono le parole riassuntive di un poderoso investimento di giustizia sociale, a partire dai servizi scolastici, rivolti ai più piccoli abitanti di Bologna.
Per inaugurare il Patini, cinquantacinque anni dopo, l’amministrazione comunale mise in moto tutti gli uffici. Persino l’allora falegnameria del Comune fu chiamata a costruire nuovi arredi adatti ai cittadini più piccoli. Alle scuole Sirani si chiese di mettere a punto professionalità adeguate all’applicazione delle teorie pedagogiche più innovative. L’esperienza personale di Adriana Lodi anche come madre fu poi preziosa per farle decidere che cosa fare: aveva conosciuto un servizio improntato al concetto di assistenza, quello dell’Omni (Opera nazionale maternità e infanzia), frequentato per un breve periodo dal figlio, e ne aveva visto i molti limiti. Si trattava di un servizio impersonale; i bambini erano spogliati all’arrivo a scuola per indossare una divisa comune, il tempo del gioco era lasciato a sé e perfino gli orari per andare in bagno erano stabiliti a priori, a prescindere dai bisogni dei singoli bambini.
Fu scelto di superare quel modello, ben sapendo che la critica avanzata all’inaugurazione del primo nido comunale fosse cocciutamente la stessa di sempre: suggerire di utilizzare quel poderoso piano di investimenti per pagare le madri affinché stessero a casa a occuparsi della crescita dei figli. A questa prospettiva, Adriana Lodi, che, prima di diventare assessora, era stata sindacalista e ben conosceva le difficoltà e le battaglie legate al lavoro delle donne, rispose sempre per le rime: «L’università, forse, non costa? A chi mai verrebbe in mente di pagare i famigliari per tenere lezioni a casa?».
Dopo l’inaugurazione di quel primo nido, fu certo un percorso faticoso costruire la più ampia rete di nidi della città: fu necessario per Lodi seguire passo passo ogni fase, richiamare più volte la giunta e la macchina amministrativa a rispettare i tempi di quel poderoso impegno, mobilitare la cittadinanza per rivendicare il fatto che i nidi fossero in primo luogo servizi necessari per migliorare la crescita dei bambini, e poi anche per consentire agli adulti di conservare il posto di lavoro una volta diventati genitori. Ci fu anche uno sciopero in cui i lavoratori e le lavoratrici chiesero che l’1% del proprio salario fosse destinato ai servizi sociali e ai servizi dei trasporti della città. Si trattò, forse, del segno più manifesto di un servizio cresciuto non solo in una logica amministrativa, ma politica, con l’ambizione quindi di risolvere problemi legati alla vita quotidiana delle persone e, allo stesso tempo, di modificare la società nella direzione di una maggiore giustizia sociale.
Una volta inaugurato il primo asilo nido comunale, venne il tempo di concentrarsi sul modello educativo di questi nuovi servizi pubblici. Vennero messe a punto visite domiciliari per conoscere il contesto di vita dei bambini, promosse feste allargate alle famiglie in ogni quartiere per costruire fiducia nel progetto dei nidi, costruiti arredi e giochi per favorire la crescita e la creatività dei più piccoli, definiti spazi più intimi e raccolti per favorire la relazione tra i bambini e valorizzare i linguaggi non verbali. Nel corso del tempo si sviluppò il coordinamento dei pedagogisti della città e i nidi tesero sempre a favorire, con alcune specifiche attività, anche la partecipazione dei genitori (inizialmente le sole madri, poi entrambi i genitori. Oggi anche i nonni).
Le cifre parlano da sole: 4 bambini su 10 a Bologna nascono con un posto al nido disponibile. In Italia solo 2,4 su 10 possono vantare la stessa condizione. Al Sud, neppure 1 su 10 può sperare di incontrare, nella propria crescita, un asilo nido. La diffusione sul territorio nazionale è infatti estremamente eterogenea: da una copertura dei potenziali utenti 0-3 anni del 7,6% in Campania si va a quella del 44,7% della Valle D’Aosta.
Nel complesso i numeri sono ancora molto distanti dagli auspici delle istituzioni europee, che fin dal 2006 (anno europeo delle Pari opportunità) fissarono al 33% l’obiettivo di posti nido per nascite, al fine di sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Suona dunque ancora più preoccupante il dato Istat che riporta che dall’anno scolastico 2011/12 si registra una riduzione delle risorse pubbliche disponibili sul territorio a favore dei nidi e un calo dei bambini iscritti nei nidi comunali, mentre aumentano le gestioni affidate ai privati, dove i costi medi per bambino a carico dei comuni sono decisamente più bassi. Di fronte a queste prospettive, la memoria del Patini assume una nuova centralità: prima di questa esperienza i bambini e le bambine molto piccoli erano affidati a scelte private, confessionali, legate a logiche assistenzialistiche, più che a servizi educativi veri e propri. Con il primo nido comunale le cose cambiano: esso diventa un servizio educativo, necessario certo per la conciliazione del lavoro pagato e non, ma, soprattutto, un servizio che vuole garantire pari opportunità di primo apprendimento a tutti e tutte, e occasioni di inserimento dei bambini e delle loro famiglie nella comunità, luogo per eccellenza in cui apprendere quelle regole indispensabili per vivere in una società aperta, inclusiva, solidale, egualitaria, giusta, equa.
Riproduzione riservata